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Cosa ha in serbo il futuro per la Turchia e l’Iraq?

di Mustafa Kibaroglu* - 16/07/2009



Nel suo discorso al Cairo del 4 giugno, il presidente Usa Barack Hussein Obama ha dichiarato che "al contrario dell’Afghanistan, l’Iraq è stata una guerra scelta che ha provocato grosse divisioni" negli Stati Uniti e nel resto del mondo. Ciò può essere letto come un chiaro segno della sua intenzione di ritirarsi dall’Iraq, anche se in maniera graduale.

Dunque, come primo passo per realizzare questo obiettivo, il 30 giugno le forze da combattimento Usa si sono ritirate dai centri urbani dell’Iraq e hanno passato il compito di controllare le strade alle unità della sicurezza irachena che sono state addestrate dagli americani negli ultimi anni.

Tuttavia, gli osservatori, dentro e fuori dall’Iraq, non sono concordi sul se questo debba essere considerato come un grosso passo verso la riconquista della piena sovranità sull’Iraq da parte degli iracheni a tutti i livelli, o se si tratti semplicemente di un’illusione che letteralmente non porta cambiamenti significativi allo stato delle cose in Iraq; per esempio, riguardo la dominazione da parte di una potenza straniera.

Il punto di vista prevalente tra gli analisti della sicurezza, specialmente in questa parte del mondo, è che sia più probabile per le future amministrazioni americane, quella di Obama e dei suoi successori, che gli Stati Uniti mantengano un certo numero di proprie truppe sul terreno in Iraq allo scopo di assolvere alla raison d'etre originale dell’invasione, che era il controllo sulle riserve petrolifere e di gas del Paese, così come quello di spaventare Stati come Iran e la Siria dall’interno della regione. In questa ottica, sarebbe fuorviante pensare che solo poiché le unità da combattimento Usa si sono dislocate lontano dai centri urbani iracheni, le politiche della regione o in Iraq cambieranno in maniera significativa.

Come risultato, non sta per verificarsi alcun drammatico cambiamento nell’approccio della Turchia nei confronti della situazione della sicurezza in Iraq. Ci si attende che gli Usa, essendo un alleato di lunga data, rispettino gli interessi della Turchia nel processo di ricostruzione dell’Iraq e, in parallelo, riguardo al miglioramento delle relazioni raggiunte tra i due Paesi dopo la visita di Obama ad Ankara all’inizio dell’aprile di quest’anno.

Ma se Obama ha sia la volontà che la capacità di fare un cambiamento decisivo in quello che fino ad ora sembra essere lo stato della politica degli Stati Uniti e non solo le ambizioni dei neo-con, e realizzare un ritiro totale, non ci saranno ragioni per la Turchia di allarmarsi.

Due anni fa, funzionari civili e militari (o paramilitari) turchi e iracheni (lèggi kurdi) si impegnarono in una "guerra di parole", accusandosi l’un l’altro di perseguire politiche ostili. Ma da qualche tempo a questa parte il clima politico nel sudest della Turchia, su entrambe le sponde del confine con l’Iraq, sembra essere cambiato in maniera considerevole.

Nonostante i profondi disaccordi su come trattare i terroristi del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan, ndt) che usano l’Iraq settentrionale come un rifugio sicuro, o sullo status di Kirkuk, le autorità turche e kurde irachene hanno apparentemente raggiunto una "tregua" nella loro guerra di parole. Per esempio, una compagnia turca ha preso una partecipazione nel progetto dell’oleodotto che porterà il petrolio del nord Iraq ai mercati mondiali, un piccolo ma significativo passo nella giusta direzione. La Turchia sta anche prendendo in considerazione l’apertura di consolati a Mosul ed Erbil, nel nord Iraq. Di nuovo, questo è un passo importante, specialmente se uno ricorda i tentativi della Turchia, pochi anni fa, di distogliere i suoi alleati dall’aprire dei consolati in queste città.

Questi e altri esempi indicano la corretta lettura da parte dei politici turchi dell’andamento degli sviluppi in Iraq e della loro preparazione per il periodo post-invasione, quando Iraq e Turchia saranno, col tempo, lasciati a sé stessi.

Guardando da questa prospettiva, ci si potrebbe attendere che le relazioni tra Turchia e Iraq si normalizzeranno. Tuttavia, sarebbe più saggio mantenere un certo margine di cautela in modo da non  reagire in maniera eccessiva, da una parte o dall’altra, di fronte a un’eventuale delusione delle aspettative.

Una ragione particolare per sottolineare questo aspetto si è avuta all’inizio di luglio, quando il ministro iracheno delle Risorse idriche Latif Rashid, un membro kurdo del governo, si è lamentato con le capitali europee del progetto della Turchia per la diga di Ilisu e ha chiesto loro di impedire alla Turchia di portare avanti i lavori nello stesso momento in cui il ministro turco dell’Ambiente Veysel Eroglu si era impegnato a concedere una maggiore quantità di acqua all’Iraq (in virtù delle maggiori precipitazioni di questo anno). Non c’è dubbio che le dichiarazioni di Rashid inaspriranno le relazioni bilaterali e ciò prova quanto possano essere fragili, in generale, le relazioni tra Turchia e Iraq.

Fino agli accordi di Adana, firmati dopo che i due Paesi arrivarono sull’orlo di un vero conflitto nell’ottobre 1998, la Siria ha solitamente giocato a sostenere il terrorismo di Asala (Armenian Secret Army for the Liberation of Armenia, ndt) e Pkk con l’intenzione di fare pressione sulla Turchia riguardo alle sue rivendicazioni sulle acque del fiume Eufrate.

Le relazioni turco-siriane adesso hanno raggiunto un grado di prossimità senza precedenti, con oltre 15 visite ufficiali ad alto livello, compreso uno scambio di visite tra i presidenti Bashar al-Assad e Abdullah Gul. Entrambe le nazioni al momento cercano il modo di cooperare e di risolvere le loro divergenze sull’uso di risorse attraverso progetti comuni. I politici iracheni farebbero bene a seguire lo stesso percorso lineare tracciato con fatica da Turchia e Siria per un lungo periodo di tempo.

(Traduzione di Carlo M. Miele per Osservatorio Iraq)


* Mustafa Kibaroglu tiene corsi sul controllo delle armi e il disarmo presso il Dipartimento di Relazioni internazionali della Bilkent University di Ankara