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Generazione X, Generazione "ni-ni", problema sociale e problema demografico

di Eugenio Orso - 17/07/2009


 Esplode, dalla Spagna all'Italia, un problema generazionale che riguarda le fasce d'età dai 15 ai 19 anni e poi fino ai 35 anni, limite superiore riconosciuto della giovane età.
In Spagna si dice "ni estudia ni trabaja" e in Italia il fenomeno è di un'ampiezza allarmante, tanto che se ne è occupato di recente anche il principale quotidiano nazionale.
Questo autentico default generazionale, che nulla di buono promette da qualsiasi lato si guardi il fenomeno, mai come oggi è legato all’incognita di un universo giovanile senza stimoli, senza idealità, senza nerbo e senza speranza, indifferente davanti al proprio destino, da qualcuno opportunamente battezzato Generazione X.
Non si tratta soltanto dell'azione di un "effetto del lavoratore scoraggiato" che in periodo di disoccupazione crescente e sottoccupazione diffusa, come l'attuale, colpisce le fasce d'età più giovani che si apprestano ad entrare nel mondo del lavoro.
Vi è l'inquietante aspetto del diffondersi di una "passività" indotta fra i membri predestinati della futura Pauper class, nelle sue stratificazioni più alte.
Questo effetto rilevante è dovuto al processo di flessibilizzazione delle masse in corso, imposto dalle oligarchie globaliste [a partire dal livello di comando, da me definito Strategic Global class] e all'affermarsi del mercato come meccanismo di razionamento ed esclusione, che distrugge la prospettiva di un maggior benessere materiale futuro e di un miglioramento della situazione sociale per strati sempre più ampi della popolazione.
L'accesso ad un lavoro stabile e dignitoso diventa sempre di più un lusso da concedere a ristrette minoranze di subordinati, che non dovrebbero superare, in futuro ormai prossimo, la misura di un quarto, o di un quinto, degli occupati totali.
A ciò si aggiunge l'occasione data da questa fase della crisi sistemica globale per ridurre ulteriormente e con maggior velocità l'occupazione stabile, sostituita da quella temporanea nei paesi [ex]ricchi, e nel contempo "tagliare" tout court i posti di lavoro nel privato e nel pubblico.
L'assenza di prospettive induce a non intraprendere studi superiori e [soprattutto] universitari, anche laddove ci sono i mezzi per poterlo fare e funzionano ancora quelle "reti familiari e amicali" tanto care al macellaio sociale Maurizio Sacconi, che vorrebbe così sostituire progressivamente lo stato sociale, destinando altrove - banche, profitti, "grandi opere", ecc. - le risorse per tale via liberate [vedi, a tale proposito,  il "libro verde"-programma di distruzione del welfare prodotto di recente dal suo ministero].
Disoccupazione crescente e precarietà, questa ultima intesa come alternativa neo-schiavista all'espulsione definitiva dai processi produttivi, scoraggiano anche la semplice ricerca di un posto di lavoro e pongono pesanti interrogativi sul modello di scuola e su quello di università adottati, fino a dire che il titolo "non serve a nulla", che il lavoro comunque non si trova.
A ciò si somma l'effetto di modelli educativi sbagliati, ormai ridotti a "riflesso condizionato" e nati nell'alveo di quella società delle aspettative crescenti, volta al consumo, liberaldemocratica, permissiva e anti-etica, che ha costituito il presupposto indispensabile per giungere a questa fase dominata dal "capitalismo assoluto e definitivo", dalla fine del welfare [e forse anche del più limitato workfare di matrice anglosassone, in altri contesti], dalla preminenza della finanza e della sofisticate forme di potere neofeudale di cui è investito lo strato più alto della Global class.
Il fatto che i livelli di comando globalisti, anche nell'Italia delle privatizzazioni, della demolizione dell'industria pubblica, dell'adesione "forzata" all'euro e della politica spettacolo addomesticata, abbiano potuto prendere decisioni cruciali ha avuto un peso determinante nella formazione di questa Generazione X o Generazione "ni-ni", in quanto le decisioni cruciali non hanno riguardato esclusivamente materie economico-finanziare, ma la riproduzione strategica considerata nella totalità sociale, e quindi anche negli aspetti culturali, ideologici, di costume, ecc. 
All'assenza di prospettive concrete, per gli sbocchi occupazionali futuri e per l'assunzione di un dignitoso ruolo sociale, si somma il mutamento antropologico-culturale indotto nel quadro della ricordata flessibilizzazione, che distrugge le "vecchie" scale valoriali, indebolendo le resistenze sociali e culturali al neoliberismo e al mercato.
La flessibilizzazione delle masse, in atto da un buon paio di decenni, prevede sia la flessibilità del lavoro - con interventi in campo legislativo, giuslavoristico e contrattuale, in parte rilevante già realizzati e ampiamente “metabolizzati” dal corpo sociale - sia il mutamento culturale con l'imposizione di modelli che distruggono la coscienza critica e la coscienza sociale, non consentendo che si riproducano nella parte più giovane della popolazione.
Forse il fatto che nella fascia dai 15 ai 19 anni, in Italia, cinquantamila giovanissimi su circa duecentosettantamila né studiano né lavorano e non hanno alcuna intenzione di farlo non sarà sociologicamente rilevante, mentre lo è senza dubbio nella fascia dai 25 ai 35 anni, in cui sono circa settecentomila su un milione e novecentomila disoccupati i "rinunciatari", ma se questa rinuncia continuerà e si aggraverà, pur nell’accettazione passiva dei miti dell’epoca e non certo sintomo di “esodo” moltitudinario, fatalmente non potrà non combinarsi con l'evoluzione della situazione demografica da qui al 2050 ...
Non si dimentichi che proprio l'Italia divide con il Giappone il titolo poco gratificante di "paese più vecchio del mondo", con un crollo della fertilità fino a 1,3 figli per donna [il rapporto che garantisce stabilità di popolazione, senza crescita o decremento nel tempo, è fissato convenzionalmente al 2,06] e una relativa stabilità demografica potrà essere assicurata al paese soltanto dai flussi migratori.
Si tenga conto, inoltre, che i flussi migratori a livello planetario hanno un’importanza notevolmente più ridotta rispetto a quella che possono avere nei confronti delle singole parti del tutto, essendo un fattore di riequilibrio nei paesi di destinazione, nella gran parte dei casi a bassa fertilità ed elevata longevità della popolazione, producendo un effetto più ridotto nei paesi di transito, e avendo a lungo termine effetti talora meno positivi nei paesi di origine dei flussi, in cui comunque sembra destinato a manifestarsi, da qui alla metà del secolo, un invecchiamento significato della popolazione e un aumento della speranza media di vita.
Ne consegue che i posti di lavoro, generalmente a basso reddito ed elevata precarietà, "lasciati liberi" dai giovani italiani inattivi e “rinunciatari”, pur nel quadro di una complessiva riduzione dell'occupazione, costituiranno in futuro e in misura sempre più significativa occasioni di lavoro per gli immigrati e i loro figli.
La fertilità nei decenni venturi sarà significativamente sostenuta dagli immigrati, parte dei quali provenienti da aree del mondo in cui vi è ancora oggi un rapporto pari o addirittura superiore a 4,8 figli per donna [tipicamente l'Africa centro-meridionale].
Ciò comporterà, in Italia, condizioni di lavoro sempre più precarie e sfavorevoli con ulteriori squilibri nel riparto del prodotto sociale a favore del capitale, con la definitiva riproletarizzazione di parte consistente dei ceti medi figli del welfare e del keynesismo assistenziale, ridotti a strato alto della classe povera "globale", da me chiamato con un efficace esotismo Middle class proletariat, e il formarsi di un ulteriore strato alto della predetta classe povera [con interessi molto simili e vicini a quelli del primo strato], che io chiamo New Workers [proletariat] e che sarà costituito dagli eredi della vecchia classe operaia e proletaria occidentale, ormai in via di estinzione.
Fra i New Workes italiani crescente sarà il peso degli immigrati che progressivamente si integreranno e acquisiranno la cittadinanza, se già oggi quasi duecentomila fra loro lavorano nella siderurgia e nelle fonderie, con un’importanza relativa accentuata dalla discesa nei prossimi anni del numero totale dei posti di lavoro disponibili e dalla denatalità che affligge e continuerà ad affliggere i “vecchi” italiani.
Se una parte rilevante della nuova generazione "ni estudia ni trabaja" è da considerarsi perduta e "flessibilizzata", priva di nerbo, di speranza futura e di combattività politica e sociale [i globalisti liberaldemocratici e neoliberisti hanno lavorato bene, purtroppo ...], l'unica speranza è che nasca, in questo quadro politico, culturale, sociale e demografico quanto mai fosco, una nuova coscienza di classe negli starti alti in formazione della Pauper class e che il "motore della storia" di memoria marxiana, rappresentato dalla lotta di classe e oggi grippato per la scomparsa delle vecchie classi sociali e della dicotomia Borghesia-Proletariato [meglio sarebbe evocare la tripartizione Borghesia-Ceti Medi figli del welfare-Proletariato], possa rimettersi in funzione pur con una diversa "alimentazione", data dal futuro e inedito scontro fra Global class e Pauper class.