Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La toponomastica dei non luoghi

La toponomastica dei non luoghi

di Alessandro Giuliani - 20/07/2009

Fonte: benecomune

 

Chiunque abiti in una città italiana avrà notato (magari senza prestarci particolare attenzione) una netta singolarità, una brusca transizione di fase, tra i nomi delle strade antiche e i nomi delle strade post-unitarie. Mentre i primi si riferiscono alla realtà ed al carattere del luogo sia in termini di funzione che di effettiva collocazione della via, i secondi sono artificiali, imposti da una regola puramente arbitraria indipendente dal carattere del luogo.

Così nel nucleo rinascimentale di Roma, all’interno dell’ansa del Tevere, incontreremo via dei Calderari, via dei Cestari, via dei Coronari, via dei Sediari con riferimento alla tipologia delle botteghe artigiane presenti lungo la strada stessa (il nome segue la funzione) oppure via dei Tre Archi, piazza della Rotonda, piazza Navona con riferimento alle emergenze architettoniche (il nome segue la struttura riportando la denominazione popolare e condivisa della struttura stessa).

Passando alle vie aperte dagli sventramenti ottocenteschi seguiti all’annessione all’ Italia notiamo invece il dominio imposto sul tessuto urbano da nomi assegnati dall’alto senza alcun interesse per la storia e l’uso del luogo: Via Cavour (Camillo Benso per inciso non mise mai piede a Roma che detestava dal profondo del cuore), Piazza Unità, Piazza Verdi. La denominazione si stacca dal luogo che diventa di fatto muto e privo di senso, non c’è nulla di particolarmente ‘Cavouriano’ o ‘Verdiano’ nella via o nella piazza che ne porta il nome.

Il salto brusco va insieme all’imposizione di un modulo architettonico alieno al tessuto cittadino che sottolinea la perdita del ‘Genius Loci’ come lo chiamavano gli antichi romani, cioè il particolare sapore del luogo che lo rendeva unico e pieno di senso. Allo stesso modo la ‘cultura alta’ si separa dalla vita delle persone reali, proprio perché diviene laica, cioè fondamentalmente intercambiabile e gestibile come categoria astratta.

Nei quartieri novecenteschi questa determinazione a tavolino dello spazio ha portato alla recente toponomastica per cui un impiegato comunale, senza neanche vedere i luoghi che denomina, decide che le strade di un certo circondario siano tutte dedicate agli storici, in un’altra sezione invece si dispiegheranno i nomi degli scienziati, in un’altra i capoluoghi di provincia o i fiumi. E’ il trionfo del cruciverba, delle definizioni fini a sé stesse e programmaticamente separate dalla realtà. Così si apre la strada all’abuso dei luoghi che perdono ogni connotazione specifica, diventano non-luoghi, pura localizzazione fisica.

Il rapidissimo sviluppo della città nel secondo dopoguerra ci consente di scoprire, nell’agro diventato periferia, lo sfondo dei libri di Pasolini e del neorealismo, una lotta sorda tra la cultura ‘alta’ che impone il ‘cruciverbone astratto’ ed una resistenza ‘dal basso’ dei luoghi significanti.

Avremo quindi via Sartre e Via Elsa Morante (cruciverba) a fianco di Via dei Cessati Spiriti e via di Femmina Morta (spirito dei luoghi). E’ curioso notare come nell’ Agro, abitativamente molto meno denso del centro città, i nomi spontanei (e quindi portatori di informazione) si riferiscano spesso ad eventi memorabili e puntuali (apparizione di fantasmi e fatto di sangue nei casi riportati) più che ad un uso continuativo.

Non si pensi che il cruciverba abbia avuto sempre vita facile; una clamorosa vittoria dei nomi spontanei è ad esempio la dolce denominazione Garbatella per il godibilissimo quartiere nella zona sud occidentale della città derivante da una mitica gentilissima ostessa (..garbata) che gestiva il suo ritrovo da quelle parti battute dalle carovane di pellegrini che in epoca barocca seguivano l’itinerario delle sette chiese promosso da San Filippo Neri.

Il caso è più serio di quello che si pensi: di fatto riassume tutto il dramma odierno del declino della cultura occidentale dominante negli ultimi duecento anni che è proprio il distacco dalla realtà. Il sogno di poter astrarre delle categorie generali da imporre al reale indipendentemente dal contesto è ciò che ha provocato i problemi ambientali, la drastica diminuzione della biodiversità, la crisi della scienza, la morte del ruolo sociale dell’arte, la pulizia etnica.

Uscire dal tunnel significa ripartire dal legame stretto con la realtà, con le pratiche validate dall’uso e non imposte dall’alto, e l’incessante lotta tra specificazione del carattere del luogo e sua cancellazione intellettualistica è un caso da studiare attentamente per trarne stimolo ed ispirazione.