Basta con i piagnistei. Le «colpe della società» siamo noi stessi a fabbricarcele, uno per uno. Il «non cercate scuse» che Barack Obama ha rivolto ai giovani neri, invitandoli a smetterla di sognare di essere rapper o campioni di basket, per diventare invece «scienziati, ingegneri, dottori, insegnanti, giudici della Corte suprema e presidenti degli Stati Uniti» era diretto - ha poi spiegato - a tutti: bianchi e neri, giovani e adulti. E vale non solo per gli Usa, ma per tutto l’Occidente.
Il grande problema in questa parte del mondo è infatti il calo delle aspettative, delle ambizioni, della voglia di impegnarsi. Anche il far soldi (e distruggere ricchezza sociale) con le truffe finanziarie che hanno provocato l’ultima crisi economica, o il peso assunto dal narcotraffico e dal consumo di droghe su cui esso prospera, sono altri volti dello stesso problema: il disincanto dell’Occidente e la caduta delle speranze e delle ambizioni dei suoi giovani.
Quest’anno i media spagnoli li hanno soprannominati la «generazione né-né», né studio né lavoro. In Italia sono circa un milione i giovani in età lavorativa che non cercano un lavoro, né sono disposti a studiare per qualificarsi meglio. Due anni fa il ministro Padoa Schioppa aveva liquidato l’intero problema parlando di «bamboccioni» che non volevano crescere, uscire di casa ed assumersi le proprie responsabilità. Le cose sono molto più complesse. Tra l’altro, come ha ricordato Obama, l’atteggiamento rinunciatario dei figli dipende anche da quello dei loro genitori: «I genitori devono assumersi le loro responsabilità, mettendo da parte i videogiochi e mandando i figli a letto presto».
La parola chiave in tutta questa faccenda è infatti: responsabilità. I figli non si prendono le loro, né come studenti né come lavoratori, perché i padri non gli hanno insegnato come si fa, rinunciando per primi a prendersi le responsabilità poco gratificanti del genitore-educatore. Così come gli insegnanti non si sono assunte le loro, e molti continuano a non volerlo fare, come le maestre di Bologna che hanno promosso gli allievi col «dieci politico» generalizzato, pur di non assumersi la responsabilità, richiesta dal ministero, di valutarli coi voti numerici.
Dietro a questa mancata assunzione di responsabilità sta (come l’osservazione clinica dimostra) il fondo depressivo della cultura del narcisismo. «I ragazzi né-né sono anche figli delle famiglie che non li spronano», ricorda il ministro per la gioventù Giorgia Meloni. Genitori e maestri sono troppo depressi per reggere il confronto ed il conflitto provocato dal «no». La bassa autostima dell’adulto narcisista non regge siffatta prova.
Questo opportunismo impedisce però di trasmettere ai giovani, assieme ai no, anche l’energia e la forza che ogni giusto sacrificio sprigiona. La vita e lo sviluppo psicologico non sono infatti il risultato di continue acquisizioni, ma anche di rinunce, di limiti imposti alle proprie pulsioni, al proprio egoismo, alla propria prepotenza, in nome di uno sviluppo, di un «diventare altro» (e meglio), che rafforza ed orienta il senso della nostra vita. È questo, in fondo, il processo educativo, ed è proprio dallo smarrimento di questa consapevolezza che nasce quella «emergenza educativa» che genera gran parte dei problemi attuali anche nel nostro paese; da quelli che chiamiamo impropriamente «morali» a quelli economici, a quelli funzionali, dei servizi.
Occorre assumerci le nostre responsabilità di adulti per aiutare i giovani a sperare, e a volere. Obama esprime un’esigenza e un pensiero ormai sempre più diffuso in Occidente.