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La geopolitica della confusione

di Giovanni Petrosillo - 03/08/2009

 

La nostra era sarà a lungo caratterizzata da intensi sommovimenti geopolitici. Quest’ultimi scaturiscono in parte dall’indebolimento egemonico della superpotenza americana - colpita da una crisi d’identità molto profonda e alle prese con una gravissima debacle sistemica, tanto economica che politico-militare - e in parte in seguito al recupero in potenza di aree e paesi portatori di modelli di rapporti sociali non assimilabili alla tipologia capitalistica occidentale (benché, come dice La Grassa, anch’essi imperniati sui capisaldi dell’impresa e del mercato). Con una formula usata dagli strateghi russi diciamo pure che le tendenze geopolitiche odierne segnalano, in ogni caso, l’uscita dal precedente ordine unipolare e l’ingresso in una fase post-monocentrica, con gli Usa che vanno down, L'Asia up e l’Europa out.

La crisi economica sarebbe un segnale inequivocabile della fine di un ciclo storico ed essa va, pertanto, interpretata come effetto del disgregamento di quell’identità storico-politica (estesa su tutto l’occidente e, dopo la caduta dell’Urss, anche ad est) che aveva permesso alla formazione sociale americana (quella dei funzionari del capitale) di imporre, quasi ovunque, il proprio carattere dominante.

L’intensificazione dei processi multipolari, con la comparsa sulla scena mondiale di nuovi attori (paesi e aree), non fa tuttavia “condensare” schieramenti e alleanze strategiche stabili le quali, invece, saranno meglio delineate solo con l’entrata del mondo in una fase pienamente policentrica. Questa sarà contraddistinta dal compattamento, in funzione antiegemonica, delle formazioni sociali alternative agli Usa le quali, solo coordinandosi tra loro, potranno effettuare un reale recupero (politico, militare, economico) sull’attuale centro di dominio mondiale (o almeno così si spera).

In questo momento, lo scompiglio geopolitico viene però accentuato dal doppio gioco di queste potenze, culturalmente eterogenee e non ancora in grado di far coincidere al meglio i loro interessi (cosa che diverrà un fatto concreto solo allorché una di esse affermerà la sua forza preponderante, assurgendo al ruolo di guida per tutte le altre), per una sempre più accentuata trasformazione degli assetti del potere mondiale.

Sicuramente, l’arena asiatica e mediorientale rappresenterà, nell’immediato futuro, il laboratorio dove si sperimenteranno nuove convergenze e intese tra Stati, fino al momento in cui gli allineamenti del conflitto strategico internazionale dovrebbero addivenire ad un profilo più discernibile, proprio in conseguenza della solidificazione dei comuni obiettivi strategici. Ma siamo nell’alveo delle possibilità e non è da escludersi che la futura sintesi possa essere ancora appannaggio degli Usa, anche se in coabitazione con nuovi partners.

Al momento, l’azione confusa di tali nazioni emergenti e riemergenti mostra molti problemi di prospettiva. Per esempio, Cina e India accentuano la loro concorrenza geopolitica, tanto che alcuni analisti hanno parlato di string of perals (collana di perle) cinese stretta al collo dell’India. Il riferimento è alle basi e ai porti detenuti dall’Impero di Mezzo, dai quali vengono poste sotto stretta osservazione le fonti di approvvigionamento energetico: dallo stretto di Malacca al golfo Persico, fino all’Oceano Indiano. Per rompere questo assedio, l’India si è costruita, con l’aiuto tecnologico dei russi (i quali, contemporaneamente, partecipano ad esercitazioni militari congiunte con i cinesi), un sottomarino nucleare e ha previsto, per i prossimi anni, il varo di altri 10 esemplari del medesimo tipo. Ma tali iniziative hanno accresciuto le apprensioni del Pakistan, tanto che la marina di quest’ultimo Paese ha affermato che quanto messo in opera da New Delhi costituisce una provocazione, un attentato alla pace e un pericolo per l’equilibrio di tutti i paesi che si affacciano sull’Oceano Indiano.

Proprio qui si trovano altri Stati più piccoli che pencolano verso Pechino (Sri Lanka, dove esiste una base cinese a Hambantota) o verso entrambi i giganti asiatici (come la Birmania, alleata cinese che ha ceduto un porto all’India). Non è inutile ricordare che anche il Pakistan è legato ai cinesi ma subisce profondamente l’influenza e l’ingerenza americana, in questo momento ancor più destabilizzante a causa degli sconfinamenti militari dal versante afghano, con i soldati statunitensi che si spingono sino in territorio pakistano per colpire i Taliban. Gli Usa, inoltre, hanno avviato una serie di collaborazioni per gli armamenti e il nucleare civile con l’India (ma non solo), facendo crescere l’apprensione di Islamabad e delle altre potenze regionali.  

Come si può ben comprendere le potenze emergenti mantengono una certa sensibilità verso gli Usa, in quanto non sono ancora nelle condizioni di gestire un eventuale confronto diretto con gli stessi, facendosi anche condizionare da questi nei loro rapporti reciproci. Da qui nascono quei contatti bilaterali tra Usa e Cina (finanza) Usa e Russia (scenario afghano) Usa e India (settore militare) che impediscono un dialogo più libero e senza mutui sospetti tra i cosiddetti “non allineati”. La strada verso il policentrismo è ancora molto in salita.