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Utopia: una necessità biologica

di Jean-louis Aillon - 24/08/2009

Nella logica evolutiva non è la spinta rivoluzionaria giovanile, bensì la rassegnazione degli adulti a costituire un’aberrazione biologica.

Mi chiamo Jean-louis, ho 24 anni e studio medicina.
Mi ritengo molto fortunato. Sono un sopravvissuto, lo siamo in pochi.
Sono un sopravvissuto alla devastazione culturale e morale che il sistema consumista-capitalistico ha portato avanti subliminalmente negli ultimi 30 anni.
Guardo il mondo e mi sento alieno, un pesce fuor d’acqua.
E’ possibile che gli uomini nell’anno 2.000 non abbiano ancora capito che si vive meglio aiutandosi gli uni con gli altri che facendosi la guerra? E’ possibile che non abbiano ancora capito che benavere, o meglio ancora “tanto-avere”, non è sinonimo di ben-essere? Che lavorare tutto il giorno come dei muli per comperarsi poi una miriade di oggetti inutili non rappresenta proprio l’apice del progresso umano? Che poiché la terra ha delle materie prime e uno spazio finiti l’economia non può crescere all’infinito?
Sono uno di quei pochi giovani che non si rispecchia in questa società, che ci vede tante, troppe cose sbagliate, ingiuste, stupide e insensate…
Sono uno di quei pochi giovani che crede ancora che sia possibile cambiare il mondo, che crede in qualche ideale trascendente il suo misero essere, che spera… che ha dei sogni in un cassetto che non hanno ancora lasciato il posto alla rassegnazione e al conformismo.
Sono uno di quegli esuli che non riesce a non andare alla ricerca del senso (relativo) più profondo della vita nell’aiutare gli altri, nel dare, nell’amore (nella sua connotazione più ampia) e nel cercare di cambiare questo strano mondo in cui viviamo. Mi sento solo. Mi sembra proprio di appartenere a quella che Giorgio Gaber definisce “una razza in estinzione”1.

Se tra i giovani c’è ancora qualcuno che la pensa come me, nel mondo degli adulti questo è ancora più raro, quasi un eccezione. Riporto qui un esempio per dimostrare che ne esiste ancora qualche esemplare. E’ l’introduzione ad un libro di cardiologia del professor Agnati:
Agli studenti. Un’altra quota di autori, specie d’oltre oceano, ringrazia gli studenti.
Non vorrei essere cosi generico, ringrazio perciò quei pochi studenti che pensano che l’utopia sia una scelta di vita obbligata, e cosi facendo ci insegnano a non dimenticare mai le nostre “illusioni” perdute. Luigi Francesco Agnati 2


Pensieri come questi ci appaiono lontani, un’ eco d’altri tempi..
E’ da quando avevo 18 anni, invece, che parlando con la gente più grande, con “gli adulti”, mi sento ripetere puntualmente frasi stereotipate del genere: “Eh sì, hai ragione, ma…. sei giovane!
Vedrai, crescendo capirai che le cose non sono così facili, il mondo è un altra cosa.. Ne riparliamo poi fra una decina d’anni, eh!. Vedrai..”
Ho aspettato, aspetto..ma continuo a non capire. “L’illuminazione” non mi è ancora arrivata? Non sarò ancora abbastanza grande? O forse è che sono un po’ tugno..
Finche’ un giorno, ad un congresso di psichiatria sulla psicoterapia nella depressione ho perso le staffe. Posi la seguente domanda, facendo riferimento a un passo del libro “un altro giro di Giostra” di Tiziano Terzani. Quest’ ultimo interroga un anziano eremita sull’Himalaya sul significato di un suo sogno. Il vecchio gli risponde:
“Il contenuto dei sogni, disse, era roba da psicanalisti che considerano loro compito riadattare i pazienti alla società invece che cambiare la società per adattarla ai bisogni dell’umanità in generale”3


Chiesi, in questo contesto, visto l’aumento del numero dei suicidi, del consumo di psicofarmaci e dello stress nella società moderna, se la psichiatria non dovesse incominciare ad acquisire un ruolo importante nella prevenzione primaria dei disturbi psichiatrici.
Mi rispose un anziano professore. Avevo un po’ paura di contrariarlo. Disse, invece, contento: “Ah, lei è giovane! E’ bello e giusto che dica queste cose. ” per poi spiegarmi che la psichiatria non si poteva occupare della felicità degli uomini, del cambiamento della società. Quella era una scelta personale che ognuno poteva prendere, ma che non si poteva imporre a un’ intera disciplina.

Insomma, non ha risposto alla mia domanda (che era tecnico-scientifica) e, velatamente, mi è stato dato per l’ennesima volta del giovane utopista!
In quel momento ho veramente capito.
Fare prevenzione primaria non è un utopia, non è “aleh, psichiatri di tutto il mondo unitevi e salviamo il mondo!”. E’ medicina, è scienza. E’ “lavarsi i denti perché non ci vengano le carie”.
Significa modificare l’ambiente, in questo caso la società, affinché il rischio di incorrere in una determinata patologia sia molto minore. Insomma, il famoso motto: “Prevenire è meglio che curare”!
Come si fanno le campagne culturali sugli stili di vita, per spiegare alla gente che se mangia poco e bene e se fa attività fisica non gli viene il diabete di tipo 2 o la sindrome metabolica ed è anche più felice (l’attività fisica stimola la produzione di endorfine); cosi, se si riuscisse per esempio a confutare psicologicamente l’equazione:
bellezza=magrezza, oppure realizzazione della vita= denaro/potere= consumismo= acquisto di tante merci inutili= iper- lavoro nell’ottica di essere sempre il migliore penso che avremmo molte meno pazienti anoressiche, depressi, ansiosi, frustrati e stressati cronici.
Riusciremmo inoltre a vivere più serenamente e felicemente.

Chi aveva ragione?
La giovinezza è un momento passeggero e illusorio in cui si fanno tanti bei pensieri, incollimabili però con realtà, e l’età adulta è quella della ragione? L’età in cui si diventa “maturi”, realisti, si comprende il mondo nella sua interezza?..
oppure è solo da giovani, da “puri” perché non ancora ingranaggi della megamacchina capitalista, che si riesce a concepire al meglio il mondo nella sua interezza e la disillusione degli adulti non è altro che una deviazione egoistica, un aberrazione biologica?
Io propendo decisamente per quest’ultima ipotesi. Penso proprio che non sia “normale” essere disillusi a 40 anni e lo scopo di questo scritto è proprio quello di dimostrare scientificamente che non è l’utopia giovanile ad essere un’aberrazione biologica, ma che la vera aberrazione, da un punto di vista evolutivo, è la rassegnazione dell’età adulta.

Ma cosa intendiamo per normale? Intendiamo quello che sono tutti, che fanno tutti, ovvero il 95 % delle persone che sta all’interno della famosa gaussiana, oppure ciò che è meglio per la sopravvivenza del singolo e della sua specie?
Generalmente queste due cose coincidono. Tutti parlano, è normale parlare. Tutti fanno pipì, è normale. Tutti abbiamo due occhi, un cuore e un fegato. Non siamo né alti 6 m, né 4 cm.
Dormiamo, mangiamo, ridiamo e facciamo l’amore… Se non è così è un problema. Non essere normali significa essere svantaggiati, perché l’evoluzione ha fatto sì che sopravvivessero i migliori, e questi di conseguenza risultano essere “i normali”. Secondo la teoria Darwiniana, infatti, solo i migliori riescono a sopravvivere fino all’età adulta e fra questi solo i più forti riescono ad accoppiarsi ( a causa della competizione per la femmina) e a trasmettere il loro patrimonio genetico, che altrimenti viene perduto. Attraverso questo meccanismo, semplicemente lottando per la sopravvivenza, si è realizzato un progressivo miglioramento della specie umana, inscritto nelle pagine del suo DNA.
Oggi però , nella cosiddetta società occidentale, le cose non stanno più così. Ci stiamo disevolvendo!
L’evoluzione della specie attraverso la selezione naturale dei più forti, dei più adatti, non esiste quasi più, ovvero esiste in una forma molto ridimensionata (solo per quelle patologie gravissime e incurabili che non permettono all’individuo di raggiungere l’età riproduttiva, la maggioranza delle quali sono costituite da aborti spontanei).

L’ evoluzione della nostra società, sia nel versante tecnico-scientifico (soprattutto nel campo della medicina) che in quello culturale, ha radicalmente mutato l’ambiente con cui l’essere umano si relaziona. Se da una parte è aumentato il benessere, dall’altra inevitabilmente è diminuita quella che i genetisti definiscono ” la pressione selettiva”, ovvero la selettività di quel test che tutti dobbiamo superare prima di poter “metter su famiglia”.
Ciò ha reso possibile alla stragrande maggioranza delle persone, indipendentemente dalla loro costituzione fisica, di sopravvivere fino all’età adulta, di accoppiarsi e trasmettere alla progenie il loro patrimonio genetico, nonostante questi siano magari portatori di mutazioni genetiche che li rendono particolarmente deboli e vulnerabili.
Pensiamo a una persona cieca alla nascita, un talassemico omozigote, ad un bambino a cui viene trapiantato da piccolo il cuore, o anche semplicemente ad un diabetico di tipo 1, ad una persona miope, asmatica o con problemi di fertilità.
Tutti possono avere dei figli e le probabilità che queste persone ne abbiano non dipende certamente dalla loro “prestanza genetica”, ma da molti altri fattori.
E’ brutto a dirsi, ma ci stiamo geneticamente disevolvendo.
Il progresso, la scienza, la cultura hanno mutato radicalmente il nostro ambiente naturale, e in questo diverso contesto il motore dell’evoluzione non funziona più! Abbiamo mutato le leggi della natura, e se da una parte ciò ha portato molti benefici alla specie umana e ha migliorato decisamente il nostro vivere sulla terra, dall’altra ci stiamo indebolendo e siamo potenzialmente più vulnerabili.
Oltre ad essere sempre più deboli e vulnerabili siamo disadattati! Infatti abbiamo dentro di noi un patrimonio genetico dell’uomo dell’età della pietra, un uomo che viveva nella foresta e che, in mezzo a mille insidie, lottava quotidianamente per garantirsi quel minimo di cibo che lo tenesse in vita.
Oggi sappiamo che non è più cosi. Viviamo in mezzo al cemento.. in città, in appartamenti. Ci muoviamo in automobile e facciamo la spesa al supermercato. Il nostro stomaco ha pero’ ancora quella fame “atavica” e assimila tutto ciò che può assimilare, ragione per cui obesità e diabete stanno diventando dei problemi sanitari di una portata devastante per i cosiddetti paesi civilizzati (e ora ciò si sta rapidamente diffondendo anche nei paesi in via di sviluppo).
Siamo inoltre disadattati nel tempo, oltre che nello spazio. I nostri geni infatti sono stati selezionati per garantire le massime probabilità di sopravvivenza fino a circa 35 anni 3b, il tempo er arrivare all’età riproduttiva ed accudire poi fino alla maggiore età la propria prole.

Non siamo fatti per invecchiare! Quello che a 20 anni può esser vantaggioso a 60 può diventare uno svantaggio, per esempio la ritenzione sodica. Era utile per l’uomo primitivo trattenere la maggior quantità possibile di sodio, perché ne assumeva basse quantità, mentre questo stesso meccanismo, nella vecchiaia e nella società dell’abbondanza, risulta dannoso e porta all’ipertensione e quindi a serie patologie come ictus e infarto miocardico.
..Ma quali sono le ragioni per cui questi istinti vengono repressi?
Penso siano fondamentalmente di due tipi:
1)SOCIETA’ DI “VECCHI”
A differenza delle società primitive, la nostra è una società di vecchi (sempre in senso relativo). Siccome l’istinto utopico decresce fisiologicamente con l’aumentare dell’età, è facile che un mondo costituito principalmente da persone anziane sia un mondo disilluso, che rinnega l’ utopia. Mentre l’istinto utopico si affievolisce, quello di autoconservazione e l’egoismo rimangono costanti e prendono quindi il sopravvento. Essendo però la nostra società pervasa dalla cultura cristiana (almeno in facciata), in cui teoricamente i principi da seguire sono basati sull’altruismo e sull’amore, il viraggio egoistico non può che essere accompagnato dal senso di colpa. Si predica bene, ma si razzola male e la colpa che ne deriva difficilmente può essere accettata.
Viene perciò, a mio avviso, eliminata attraverso due meccanismi: da una parte viene rimossa, negata e quindi rimane inconscia; dall’altra viene negata l’utopia stessa e si delegittima chi vi crede dandogli dell’illuso, dell’ ”utopista”. E’ impossibile raggiungere la meta, quindi è inutile percorrere quella pericolosa strada e chi la percorre è un povero illuso. In questa maniera i comportamenti egoistici sono giustificati e possono essere accettati.
Questo secondo comportamento è molto dannoso perché questo meccanismo di difesa presuppone la distruzione della controparte. Queste persone cercheranno in tutti i modi di dissuadere i giovani a credere, a sperare e battersi per un mondo migliore… In cuor loro pensano di farlo per aiutarli, ma in realtà lo fanno esclusivamente per giustificare sé stessi e la loro deviazione egoistica.
La devianza non è però solo causata dall’invecchiamento della popolazione, ma soprattutto dal modello “dis-culturale” che viene trasmesso in diretta 24 ore su 24, attraverso mille diversi canali, dal “sistema della crescita”, ovvero il capitalismo consumista e iperproduttivista.
2)INFLUENZE DEL “SISTEMA DELLA CRESCITA”
Il sistema capitalistico-consumista si basa sulla massimizzazione della produttività e sull’accumulazione illimitata nell’ottica di una crescita infinita.
I valori che permettono di raggiungere i massimi rendimenti non sono certo quelli altruistici, bensì:
egoismo, competizione sfrenata, ossessione del lavoro, efficienza produttivistica, materialismo, razionalità ed un atteggiamento di dominio nei confronti della natura.
L’utopia in questo contesto non può essere concepita in quanto rappresenta un ostacolo alla massimizzazione dei profitti, anzi è addirittura un pericolo per la sopravvivenza del sistema stesso in quanto essa è per natura rivoluzionaria e egualitaria. Di conseguenza è naturale che “la megamacchina” tenda a contrastarla in tutte le manieri possibili.
Serge Latouche sostiene che il nostro sistema agisca su di noi come un virus e allo stesso tempo una droga:
“Per introdursi negli spazi vernacolari il primo homo oeconomicus ha adottato 2 metodi, uno ricorda l’azione del retrovirus HIV e l’altro
le strategie dei trafficanti di droga. In pratica si tratta della distruzione delle difese e della creazione di nuovi bisogni. Il primo obiettivo è stato raggiunto attraverso la scuola, il secondo attraverso la pubblicità, ma è soprattutto l’assuefazione a creare la tossicodipendenza. La crescita, attraverso il consumismo, è diventata nel contempo un terribile virus e una droga”.7
L’annientamento dell’istinto utopico penso faccia parte della distruzione delle difese da parte del temibile virus della disillusione. Ciò avviene precocemente, sul nascere dello slancio rivoluzionario, attraverso il meccanismo precedentemente descritto e fa sì che, al giorno d’oggi, non solo “i vecchi” non inseguano l’utopia, ma neanche più i giovani!
Il bisogno di utopia difficilmente resta represso nell’inconscio per sempre. Per questo motivo, ovvero per scongiurare il rischio che si riaffacci improvvisamente ai nostri occhi, veniamo tenuti continuamente in sedazione attraverso i tranquillanti del consumismo: una miriade di oggetti, servizi, piaceri..che tendono a mantenere l’ individuo in uno stato di “incoscienza esistenziale” senza farlo rendere conto dei suoi veri bisogni, i quali vanno ben oltre la mera realtà materiale e l’apparenza.
Inoltre, a causa del connubio fra il nichilismo dei nostri tempi e il fallimento di alcuni tentativi rivoluzionari (il comunismo in primis), è riuscita una mossa formidabile8:
la distruzione degli ideali e delle ideologie, ovvero di tutti quei sistemi di riferimento in cui lo slancio utopico può declinarsi. Senza una base( ovvero senza una possibilità), senza una cornice di riferimento, una teoria, un futuro; in un mondo dove tutti remano al contrario è veramente difficile per un giovane coltivare le sue speranze. E se lo slancio non si declina in qualche maniera, se continua ad essere represso, i sedativi del consumo posso non bastare. Fanno la loro comparsa allora l’alcol, il sesso sfrenato, le droghe… infine il vivere la nullità dell’esistenza , il vuoto di senso e la noia…
A tutto ciò poi bisogna aggiungere l ‘assuefazione di cui parla Latouche e il bisogno di conformismo. Vivendo senza valori e ideali, immersi in un eterno presente, è molto difficile coltivare una propria identità e per ovviare a ciò ci si omologa sugli stereotipi che il sistema propina, i quali non sono troppo inclini all’utopia.
La repressione da parte della nostra società dell’istinto utopico e di quello altruistico è molto grave e pone a rischio la sopravvivenza stessa della nostra specie.
Già nel 1974 Konrad Lorenz ci metteva in guardia dalla pericolosità per la specie della “selezione intraspecifica” 9:
“Oggi come oggi però, nel sistema in cui viviamo, in questa lotta di tutti contro tutti per arrivare il più in alto possibile, in cui la tecnologia ci ha immolati a indiscussi padroni della natura, quegli istinti altruistici che un tempo erano vantaggiosi risultano all’interno della specie degli handicap!
Essendosi invertita la pressione selettiva dell’ambiente potrebbe instaurarsi nel corso del tempo una “selezione intraspecifica ” negativa di tutti gli istinti altruistici che, anche se avvantaggia il singolo, potrebbe rivelarsi deleteria per la specie.”
“ una mutazione che interessi il comportamento altruistico.. deve portare a un vantaggio selettivo all’individuo che ne è colpito.”
Diciamo che a porgere sempre l’altra guancia non si diventa amministratori delegati di una grande azienda..
“ L’eccessiva competizione fra gli uomini porta non più solo alla sopravvivenza della specie, ma modifica il patrimonio genetico di una specie considerata attraverso alterazioni che non solo favoriscono le prospettive di sopravvivenza, ma nella maggior parte dei casi, la ostacolano. ”
Penso che sia difficile il delinearsi di un impoverimento genetico (come sostiene Lorenz) per quanto riguarda i geni che controllano gli istinti altruistici e utopici, in quanto il vantaggio che ne risulterebbe per il singolo è in termini di qualità di vita più che di fitness, ossia capacità iproduttiva.
Come dicevamo in precedenza, oggi quasi tutti arriviamo all’età riproduttiva, indipendentemente dall’egoismo e dalla posizione in società e fortunatamente non perderemo i geni altruistici.
La cultura, la morale e i costumi sono anch’essi soggetti alla logica evolutiva e al posto dell’impoverimento genetico, la pressione selettiva del sistema, nella logica dell’ultracompetizione fra gli uomini per il profitto, rema contro, oltre che a tutti quei valori altruistici che abbiamo dentro, anche a tutta la cultura che da essi è imperniata e che costituisce l’humus attraverso il quale essi possono proliferare.
Potremmo arrivare così ad un progressivo impoverimento culturale.
Questo concetto, che una volta poteva sembrare così campato un po’ in aria, ha delle forti basi scientifiche e si ripercuote a livello molecolare sul nostro genoma.
Il premio nobel per la medicina Eric Kandel ha dimostrato scientificamente come il nostro patrimonio genetico non sia stabile e immutabile, ma come l’espressione dei geni possa essere modificata dall’ambiente in cui viviamo.
“La funzione trascrizionale del gene è soggetta a intensa regolazione, ed è a questa regolazione che si deve l’influenza dei fattori ambientali…..stimoli interni ed esterni-stadi di sviluppo del cervello, ormoni,stress, apprendimento e interazioni sociali- modificano il legame dei regolatori trascrizionali con l’elemento enhancer e questo processo coinvolge diverse combinazioni di regolatori trascrizionali. Questo aspetto della regolazione genica è talvolta indicato con il nome di regolazione epigenetica.
In parole povere, la regolazione sociale dell’espressione genica predispone alle influenze sociali tutte le funzioni corporee, ivi incluse le funzioni cerebrali.10”
In ogni istante nel nostro cervello, quando memorizziamo qualcosa, si accendono alcuni geni e se ne spengono altri. Ciò porta alla sintesi di nuove proteine che consentono ai neuroni di variare i loro contatti sinaptici (ovvero i collegamenti fra un neurone e l’altro), selezionando di conseguenza quei network neurali che sono più adatti all’ambiente circostante. Questo processo, grazie al quale
possiamo continuamente apprendere nuovi comportamenti, è noto come plasticità sinaptica.
“Queste influenze sociali saranno incorporate biologicamente attraverso l’espressione modificata di specifici geni in specifiche cellule nervose di specifiche aree del cervello. Queste modificazioni indotte da fattori sociali sono trasmesse attraverso la cultura; non sono incorporate nello sperma e nell’ovulo, e quindi non si trasmettono geneticamente. Nell’uomo, la modificabilità dell’espressione genica dovuta all’apprendimento (per via non trasmissibile) è particolarmente efficace, tanto che ha portato a un nuovo tipo di evoluzione: l’ evoluzione culturale. La capacità di apprendimento degli esseri umani è cosi evoluta che la specie umana è molto più soggetta a mutamenti innescati dall’evoluzione culturale che non da quella biologica. Misurazioni su reperti fossili di crani suggeriscono che le dimensioni del cervello umano non sono cambiate dalla comparsa dell’Homo Sapiens, avvenuta circa 50.000 anni fa; è chiaro tuttavia che la cultura umana si è evoluta enormemente da allora.11”
Dal punto di vista biologico ci stiamo disevolvendo.
E dal punto di vista culturale?
Penso che ci stiamo disevolvendo anche dal punto di culturale! Parafrasando quello che abbiamo detto precedentemente in termini biologici la dis-cultura del sistema capitalistico-consumista ha portato ad una deregolazione epigenetica negativa dell’istinto utopico e di quello altruistico! In altre parole l’ambiente in cui viviamo, ovvero la cultura della società occidentale è andata a spegnere quei geni che controllano il desiderio di utopia e l’altruismo.
Quali saranno i risultati? E’ presto a dirsi.. ma i primi danni cominciano a intravedersi.. Ne abbiamo le conferme scientifiche. La nostra civiltà non è sostenibile: la CO2 non è mai stata alta come è oggi da 700.000 anni. Ne produciamo il 30% in più di quella che il nostro pianeta è in grado di assorbire.
Se tutti avessero gli stili di vita occidentali sarebbero necessari 6 pianeti terra… La temperatura aumenta, i ghiacciai si sciolgono. Tutto ciò è causato dall’attività dell’uomo e dalle tecnologie scientifiche a sua disposizione, le quali hanno ampliato a dismisura la sua portata distruttiva.Ma se l’evoluzione biologica seleziona i soggetti più adatti in base alla sopravvivenza e alla riproduzione, in base a che cosa vengono selezionate le varie culture nell’evoluzione culturale?
Propongo qui quattro fattori:
a) Viene selezionata la cultura che garantisce più benessere alla comunità che la possiede, sia da un punto di vista materiale ed economico( es. libero mercato) che psichico (es. le religioni)11b.
b) Vengono selezionate le culture che garantiscono più forza, più potenza (soprattutto nel campo bellico ed economico). Pensiamo per esempio ad una civiltà che vive venerando la pace e in armonia con la natura rispetto ad una società guerriera ed ipertecnologica. Gli indiani d’ America, penso anche a causa della loro “saggezza” che li ha resi meno forti, vivono ora nelle riserve . Lo stesso potrebbe succedere nel lungo periodo a noi Europei..
c) Un altro fattore importante è la stabilità, la quale deriva a sua volta dal benessere, dalla tolleranza e dall’uguaglianza. Più le società antiche sono state tolleranti e più hanno limitato le disuguaglianze e più sono state durature.
d) Infine l’ armonia con la natura. Verranno nel lungo periodo selezionate negativamente le società che sconvolgeranno irreversibilmente la natura e i suoi bioritmi. Questo tipo di fattore però condiziona quella che potremmo definire una macro-evoluzione, ovvero l’ evoluzione finale di un sistema (es. la terra) il quale, se non raggiunge la stabilità, è destinato ad estinguersi.
La società occidentale in questo momento è in testa nell’evoluzione culturale rispetto alle altre in quanto è la più potente (grazie soprattutto alla tecnologia), è tollerante (se lo può permettere, in quanto mantiene i suoi seguaci in uno stato di assuefazione da cui è difficile liberarsi) e perché garantisce ai suoi membri un ottimo benessere materiale . Grazie a questo e grazie al costante indottrinamento telematico sono tollerate le diseguaglianze e il malessere psichico, senza quasi alcun segno di ribellione interna. Le diseguaglianze verso il resto del mondo sono molto elevate, ma grazie alle tecnologie belliche e alla diffusione capillare del sistema capitalistico, per ora, la forza dei paesi “sviluppati” è insuperabile.
Queste caratteristiche rendono la nostra civiltà quasi invincibile. Purtroppo, la massimizzazione della produttività difficilmente si associa con l’armonia con la natura, ed è per questo che se non cambieremo rotta il nostro sistema farà la fine dell’isola di Pasqua e il nostro non sarà che uno dei tanti esperimenti falliti nell’evoluzione culturale dell’universo.
Per rendere meglio l’idea di quanto la forza possa costituire un’arma a doppio taglio penso sia ancora validissimo il paragone che Lorenz faceva della nostra società con la crescita ipertrofica delle cellule tumorali:
“Basta confrontare con occhi spassionati il vecchio centro di una qualsiasi città tedesca con la sua periferia moderna, oppure quest’ultima, vera lebbra che aggredisce le campagne circostanti, con i piccoli paesi ancora intatti. Si confronti poi il quadro istologico normale con quello di un tumore maligno, e si troveranno sorprendenti analogie! Se consideriamo obiettivamente queste differenze e se esprimiamo in forma numerica, anziché estetica, constateremo che si tratta essenzialmente di perdita di informazione.
La cellula neoplastica si distingue da quella normale principalmente per aver perduto l’informazione genetica necessaria a fare di essa un membro utile alla comunità di interessi rappresentata dal corpo.
Essa si comporta perciò come un animale unicellulare o, meglio ancora, come una giovane cellula embrionale: è priva di strutture specifiche e si riproduce senza misura e senza ritegni,con la conseguenza che il tessuto tumorale si infiltra nei tessuti vicini ancora sani e li distrugge. Tra l’immagine della periferia urbana e quella del tumore esistono evidenti analogie: in entrambi i casi vi era uno spazio ancora sano in cui erano state realizzate una molteplicità di strutture molto diverse, anche se sottilmente differenziate fra loro e reciprocamente complementari, il cui saggio equilibrio poggiava su un bagaglio di informazioni acquisite nel corso dei secoli: laddove nelle zone devastate dal tumore o dalla tecnologia moderna il quadro è dominato da un esiguo numero di strutture estremamente semplificate.

Il panorama istologico delle cellule cancerogene, uniformi e poco strutturate, presenta una somiglianza disperante con la veduta aerea di un sobborgo moderno con le sue case standardizzate, frettolosamente disegnate da architetti privi ormai di ogni cultura. 12”
La nostra sopravvivenza è in pericolo.
L’unica soluzione che abbiamo a disposizione per scongiurare questo pericolo è la lotta per una più favorevole evoluzione culturale.
Come la psicoanalisi ha lottato contro il taboo del sesso e la repressione sessuale nei primi del novecento, la prima tappa per una neo-rivoluzione culturale del genere non potrà che essere una lotta contro la repressione degli istinti utopici e altruisti, da attuare a partire dal basso.
Dobbiamo riattivare la trascrizione dei geni repressi e dedicarci anima e corpo a quello che dal punto di vista della specie uomo rappresenta, al giorno d’oggi, il vero e unico scopo della vita.
Perché il vero e unico scopo della nostra vita?
A medicina ci hanno insegnato che lo scopo della nostra esistenza è sopravvivere e riprodursi. Penso che ciò sia riduttivo e soprattutto non sia più attuale. Il vero e unico scopo della vita da un punto di vista strettamente biologico e scientifico è il miglioramento della specie. Un tempo per ottemperare questo scopo era necessario semplicemente sopravvivere e riprodursi; oggi questo non serve più a niente!
Il miglioramento della specie può attuarsi solo tramite l’evoluzione culturale e, siccome la sopravvivenza della specie umana è in pericolo, siamo in dovere di portare avanti una lotta culturale per la sopravvivenza della specie, una lotta per la miglior evoluzione culturale Possibile!
E’ l’evoluzione culturale (insieme alla scienza) che ha reso impotente la selezione biologica e che ci sta facendo dis-evolvere. Paradossalmente la stessa cultura potrebbe costituire la via di uscita, in quanto grazie ad essa potremmo ovviare alla dis-evoluzione biologica e reindirizzarci coscientemente su quei binari che permetterebbero alla nostra specie di ritrovare l’ equilibrio e l’ armonia con la natura e all’interno della nostra stessa specie.
Questo tipo di evoluzione consentirebbe alla nostra civiltà di riappropriarsi di un futuro che ora non intravede, ma la sua attuazione non è così immediata come lo era per l’evoluzione biologica, la quale necessitava per funzionare solo della mera sopravvivenza e della riproduzione dell’individuo.
L’ evoluzione culturale necessita di uno sforzo cosciente, in parte intellettuale. Necessita di una cornice di riferimento nel quale si possa declinare lo slancio utopico “liberato”.
Questo tipo di visione della vita ha inoltre dei gran vantaggi dal punto di vista esistenziale.
Uno dei problemi maggiori dell’uomo moderno, se si fermasse un poco nella sua folle corsa, sarebbe quello di come investire il tempo libero. Subentrerebbero facilmente, dopo un iniziale periodo di divertimento, la noia, la melancolia, il non senso e poi di conseguenza l’alcol, le droghe e così via..
L’uomo primitivo non aveva di questi problemi. Non è che vivesse meglio di noi, ma era occupato a tempo pieno nel suo vero e unico scopo: sopravvivere. Non si faceva quindi troppe domande ed era dal punto di vista esistenziale abbastanza sereno, un po’ come gli animali.
Per l’uomo moderno sopravvivere è una banalità. Non riusciamo più a gioire di questo semplice fatto. Ora che siamo più evoluti, infatti, questo non è più il nostro compito; tra l’altro non servirebbe! Ora il nostro vero e unico scopo è cercare di cambiare il mondo, lottare per la migliore evoluzione culturale possibile e penso che ciò sia sufficiente a riempire una vita intera.
L’utopia dei giovani, non può però pretendere di percorrere sola questo cammino.
Occorre un’alleanza fra le varie generazioni, fra giovani e “vecchi”, in un rapporto di scambio reciproco che arricchisca e rafforzi entrambi.
Compito dei giovani è quello di “ non far mai dimenticare le illusioni perdute” ai più vecchi, di continuare a instillare energie a quella fiammella di speranza che è cosi difficile coltivare con il passare degli anni.
Dall’altra parte la vecchiaia, che dal punto di vista dell’evoluzione biologica potrebbe essere considerata un aberrazione , riacquisisce un senso e un ruolo importante nell’evoluzione culturale.
Pensiamo a persone come Aristotele, Socrate, Galileo, Darwin, Freud, Popper etc.. Se tutte le persone di questo calibro fossero morte a 35 anni a che punto sarebbe ora la nostra cultura?
Solo nella nostra società di lavoratori-macchine, con il progresso che avanza inesorabilmente buttando fra i rifiuti tutto ciò che è vecchio, gli anziani non hanno più un ruolo. Macchine che non funzionano più e sono quindi da rottamare.
Compito degli anziani dovrebbe essere invece quello di aiutare i giovani ad addomesticare l’utopia ed a canalizzarla in un sistema di riferimento.
Lo slancio utopico adolescenziale è infatti spesso esagerato e a volte troppo distruttivo. Il desiderio e la speranza rischiano così di diventare fede, assoluti, e le forti aspettative deluse possono poi allontanare per sempre i giovani dai loro sogni. Bisogna cercare di riportare “l’utopia cieca” sui dei binari più razionali. Continuare a sperare e a cercare di cambiare le cose, ma in una maniera più matura.
E’ necessario fornire una cornice di riferimento allo slancio rivoluzionario giovanile perché possa da una parte delinearsi al meglio e dall’altra frenare la sua distruttività. 12b
Insegnare a puntare al massimo, ma anche ad essere consci dei limiti che la realtà ci impone e quindi prepararsi all’idea di ottenere probabilmente qualcosa di minore rispetto alle nostre aspettative. Accettare che probabilmente sarà difficile che una singola persona “cambi il mondo” e soprattutto che veda con i suoi occhi i grandi cambiamenti che ha portato. Collocarsi quindi in rete con gli altri e ragionare in un ottica di lungo periodo.
A me piace pensarmi quale un ingranaggio. Un piccolo ingranaggio nel grande orologio della vita. Conscio della sua insignificanza se considerato singolarmente, ma dell’enorme importanza che potrebbe avere se considerato come parte dell’orologio, orologio stesso. Ogni buon ingranaggio è infatti essenziale per fare andare avanti le lancette nella direzione giusta, o meglio, guardando il mondo attuale, per porre le condizioni in cui le lancette un giorno possano riprende a uovmersi nella direzione giusta.
“L’utopia è come l’orizzonte: cammino due passi, e si allontana di due passi. Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile. E allora, a cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare.13”
Buon viaggio..

 

BIBLIOGRAFIA:
1 Giorgio Gaber, Brano musicale: La razza in estinzione; CD:La mia generazione ha perso.
2 Luigi Francesco Agnati, Fisiologia cardiovascolare (Piccin)
3 Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra, Longanesi, 2004
7 Serge Latouche, La scommessa della Decrescita, Feltrinelli, 2007, p. 107
8 Non sostengo nessun complotto etc.. è stata la naturale evoluzione culturale sotto la spinta del Sistema dominante
9 Konrad Lorenz, Gli otto peccati capitali della nostra civiltà; Adelphi 1974, p. 67-69
10 Eric R. Kandel, A New Intellectual Framework for Psychiatry, Am J Psychiatry 1998; 155:457-469
11 Eric R. Kandel, A New Intellectual Framework for Psychiatry, Am J Psychiatry 1998; 155:457-469
11b Da questo punto di vista la religione cristiana penso rappresenti, rispetto ad altre religioni, un buon livello di evoluzione della cultura religiosa in quanto è una cornice ideale per l’ istinto utopico e per quello utopista.
12 Konrad Lorenz, Gli otto peccati capitali della nostra civiltà; Adelphi 1974, p. 38
12b Penso che, ad oggi, il sistema di valori ed di società prospettato dalla decrescita costituisca l’humus ideale per questo scopo
13 Eduardo Hughes Galeano (1940), giornalista e scrittore uruguayano.