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Una pagina al giorno: La Palestina sarà una terra di sangue, di G. Preziosi

di Francesco Lamendola - 25/08/2009

 

Tornare a parlare di Giovanni Preziosi è certamente cosa ardua, data la perenne «damnatio memoriae» che è calata su di lui e non tanto, o non solo, per il suo fascismo estremista (fu amico di Roberto Farinacci e, durante il capitolo finale del regime, quello della Repubblica Sociale Italiana,  nemico perfino di Alessandro Pavolini, che non era certo un tiepido, perché non lo riteneva abbastanza intransigente contro i nemici interni), quanto per il suo fervente antisemitismo, che lo rendeva un po' un «unicum» nel panorama politico-culturale del Fascio il quale, come è noto, nel complesso non condivideva tali posizioni, almeno fino alla svolta del 1938.
Ora, in un establishment culturale come quello italiano, che, subito dopo il 1945, ha saputo voltare bandiera con stupefacente rapidità, fabbricandosi una verginità democratica e antifascista che mai aveva avuto, la cosa più importante era persuadere tutti, a cominciare da se stesso, che il fascismo, per usare l'immagine adoperata dal Pontefice Massimo della patria filosofia, Benedetto Croce, altro non era stato che un malattia in un corpo sostanzialmente sano; e che una malattia nella malattia, dunque una cosa doppiamente estranea al corpo sano della nazione, era stato l'antisemitismo di alcuni suoi esponenti.
Giovanni Preziosi, suicidandosi, insieme alla moglie, il 26 aprile 1945, in una Milano appena conquistata dai partigiani, tolse ai propri connazionali l'incresciosa necessità di imbastire un pubblico processo che avrebbe portato a galla cose spiacevoli per molti. Perché, se è verissimo che la maggioranza del popolo italiano ebbe pietà della sorte degli ebrei cacciati a morte dai nazisti, e che l'esercito regio li aveva sempre difesi nei territori da esso occupati durante la guerra (Francia, Jugoslavia, Grecia), sottraendoli alle richieste tedesche, è altrettanto vero che nemmeno in Italia, prima del secondo conflitto mondiale, gli ebrei godevano di particolari simpatie presso l'opinione pubblica, e che la loro cospicua presenza in alcuni settori chiave della vita nazionale, come le banche, la stampa, l'editoria e alcune libere professioni, era stata causa di un certo malumore fin da prima dell'avvento del fascismo, ai tempi dello Stato liberale.
Lungi da noi, peraltro, l'intenzione di rivalutare questo particolare aspetto della complessa personalità di Giovanni Preziosi, uomo di vaste esperienze sociali ed umane: dapprima sacerdote e parroco nella Chiesa cattolica, poi spretato per potersi sposare con la donna che amava; acceso interventista allo scoppio della prima guerra mondiale; sensibile alle istanze della democrazia cristiana e alle esigenze dei nostri emigranti, di cui avvertì il dramma più di tanti uomini politici che nulla facevano davanti allo spaventoso fenomeno; vicino agli emarginati, a coloro che soffrono, per vocazione e per istinto (un tratto del suo carattere, questo, che lo accomuna a un altro antisemita tremendamente scomodo, lo scrittore Céline), ma anche spirito settario, portato alla polemica esasperata, al punto da farsi una infinità di nemici anche all'interno del fascismo, al quale aveva aderito fin dall'inizio, raggiungendo posizioni eminenti quale ministro di Stato.
Piaccia non piaccia, tuttavia, Preziosi è stato un protagonista della vita culturale italiana per circa un trentennio, e precisamente da quando, nel 1913, fondò la rivista «La vita italiana all'estero», rivelandosi attento osservatore delle cose politiche ed economiche, sia in Italia, sia nel resto del mondo, ed instancabile animatore di dibattiti nonché, dal proprio punto di vista, Cassandra inascoltata: diciamo subito, infatti, che egli fu uno degli intellettuali dell'epoca (che non furono affatto pochi, anche se poi si è cercato di far credere il contrario) che fermamente credettero all'esistenza di un complotto giudaico mondiale, di cui la Massoneria, il comunismo (specialmente sovietico) e le plutocrazie occidentali, Gran Bretagna e Stati Uniti specialmente, non erano che l'inconsapevole (fino a un certo punto) «longa manus»; complotto il cui fine ultimo era realizzare una sorta di dominio occulto sulla comunità internazionale, servendosi di un numero ristretto, ma altamente qualificato, di posizioni chiave nell'alta finanza, nell'industria, nella politica e nella cultura delle maggiori potenze, e specialmente di quelle anglosassoni, dopo averlo ottenuto in Unione Sovietica mediante la cosiddetta Rivoluzione d'Ottobre del 1917.
Noi non vogliamo stare qui a discutere su quanto di esagerato, di fuorviante, o di francamente paranoico vi fosse in una tale idea, e di quanto, invece, potesse esservi di plausibile, con tutte le delimitazioni e i distinguo del caso; sta di fatto che la dimostrata falsità dei «Protocolli» dei Savi Anziani di Sion» non smentisce interamente, di per sé - come invece la Vulgata storiografica dominante ha sempre sostenuto - la fondatezza, e addirittura la plausibilità,  dell'idea di un complotto globale ordito da alcuni centri di potere occulto, fra i quali la Massoneria internazionale, certi potentissimi ambienti finanziari ed alcuni circoli sionisti.
L'idea, ripeto, non dovrebbe scandalizzare, tanto più che noi oggi, cittadini del terzo millennio, sappiamo che certe tentazioni di dominio occulto a livello planetario non sono affatto cosa da fantascienza, ma cronaca (per lo più negata, almeno sulla grande stampa e sulle principali reti radio e televisive): valga per tutti l'esempio del famigerato gruppo Bilderberg. Il fatto che questa tesi abbia portato acqua, in passato, alla macchina del genocidio contro gli ebrei, e che, oggi, sia stata parzialmente ripresa da uno scrittore del tutto screditato nel mondo della cultura politicamente corretta, come David Icke, non dovrebbe comportare, automaticamente, la censura totale su qualunque tentativo di dibattito o di ricerca in proposito.
Il fatto che, invece, avvenga proprio questo, lascia parecchio pensosi e sembra quasi suggerire, per contrasto, l'idea che le tesi di un complotto globale di una élite occulta e potente, che agisce stando nell'ombra e che si serve di uomini di facciata per scatenare guerre, colpi di stato, crisi finanziarie (ai nostri giorni come nel 1929?), non sia il parto della fantasia di pochi allucinati allarmisti di professione, ma qualcosa che merita di essere presa seriamente in considerazione, e sia pure come semplice ipotesi di lavoro.
Un minimo di esperienza di vita, infatti, suggerisce che certe reazioni rabbiose, quasi isteriche, quando ci si interroga su strane coincidenze o su inquietanti connessioni di eventi, quasi sempre cela qualcosa di molto più profondo e di molto più pericoloso di un semplice atteggiamento di conformismo intellettuale e politico. Cela, al contrario, degli interessi ben precisi ed estremamente concreti, i quali si sentono disturbati nei propri affari clandestini e sono capaci di mobilitare tutto l'establishment culturale per ridurre al silenzio il rompiscatole di turno, magari infangandolo con la nomea di razzista e distruggendone con ogni mezzo la credibilità, in modo che al grosso pubblico non giunga se non un'eco totalmente deformata dei termini reali della questione.
Tanto per non fare nomi, ricordiamo il caso del giornalista e saggista Maurizio Blondet, il quale, da quando ha incominciato a ventilare l'ipotesi di un siffatto complotto globale, si è visto cacciato come un lebbroso dal circuito dei grandi mezzi d'informazione e sistematicamente bollato come fascista e come provocatore, in modo che gli è stato impossibile trovare qualcuno disposto a confrontarsi con lui non già sulle sue credenziali democratiche, ma sulle sue tesi e sulle sue  ipotesi storico-politiche.
Ma torniamo a Giovanni Preziosi.
La «Enciclopedia Biografica Universale» della Biblioteca Treccani (edizione 2007, vol. 16, p. 6) ne dà un profilo estremamente sommario, ma sostanzialmente esatto, che non rende l'idea, tuttavia, della estrema complessità cultuale ed umana dell'uomo, come sopra si è accennato:

«PREZIOSI, GIOVANNI. Pubblicista italiano (Tornella dei Lombardi, Avellino, 1881 - Milano 1945); ex sacerdote, autore di studi sull'emigrazione (1904), fondò (1913) la rivista "La vita italiana all'estero". Interventista, denunciò l'invadenza economica tedesca in Italia e (1917) promosse  con M. Pantaleoni la costituzione del fascio parlamentare di difesa nazionale. Dopo la guerra aderì al fascismo e contribuì a elaborarne il programma economico. Fu precursore e sostenitore accanito dell'antisemitismo. Fu poi direttore del "Mezzogiorno" e del "Roma"; nel 1942 fu nominato ministro di Stato. Aderì tra i primi ala Repubblica di Salò; morì suicida."»

Una biografia estremamente interessante, comunque, e sintomatica di una certa tendenza - minoritaria, ma non ininfluente - della vita politica e culturale del tempo, caratterizzata da una diffusa inquietudine (si pensi al passaggio di Mussolini dal socialismo massimalista all'interventismo e, poi, alla fondazione del fascismo) e da disordinate spinte al rinnovamento, sovente intrecciate a umori e pulsioni di natura ambigua e, si direbbe, regressiva (se «progressismo» non fosse un termine che ci è francamente antipatico, per ragioni che abbiamo ripetutamente spiegato in altri lavori).
Ad ogni modo, ci è sembrato non privo di interesse proporre qui uno scritto di Preziosi il quale, per quanto se ne possa criticare l'impostazione generale (come quando parla enfaticamente dei «crocifissori» di Gesù Cristo) e taluni aspetti specifici, ci sembra, nondimeno, che contenga aspetti degni di essere attentamente valutati, specialmente se si tiene conto che esso fu scritto quasi novant'anni fa, quando la Palestina era stata appena affidata dalla Società delle nazioni alla Gran Bretagna, in qualità di «mandato».
A quell'epoca, la percentuale ebraica della popolazione della Palestina era assolutamente esigua; ma, grazie alla politica di immigrazione favorita dalla potenza mandataria, e promossa dall'organizzazione sionista mondiale, stava aumentando rapidamente, dando luogo ai primi, sanguinosi incidenti con la stragrande maggioranza araba.
Nel 1921, Preziosi è stato, purtroppo, buon profeta nel delineare il sanguinoso futuro di quella terra martoriata, che, da simbolo di pace e di riconciliazione fra i popoli, è divenuta, al contrario, il simbolo della cieca violenza quotidiana, come le cronache dei nostri giorni ci ricordano costantemente.
Ecco alcuni passaggi dell'articolo di Giovanni Preziosi «Sotto il dominio ebraico la Palestina sarà non più simbolo di pace, ma terra di guerra e di sangue», apparso su «La vita italiana» il 15 settembre 1921 e ripubblicato nel volume antologico: G. Preziosi, «Giudaismo bolscevismo plutocrazia massoneria», Milano, Mondadori, 1941, pp. 133-49, passim):

«Il primo settembre si è inaugurato a Carlsbad il 12° Congresso sionistico mondiale. Data l'importanza assunta dalla questione sionistica per le rivalità tra ebrei e arabi da un lato e pel disaccordo tra le Potenze dall'altro, sull'assetto della Terra Santa, i deliberati del Congresso avranno notevole influenza oltreché sugli ebrei di tutto il mondo, per un maggiore impulso al loro movimento, anche sui buoni rapporti tra le Potenze, perché attualmente, mentre l'Inghilterra appoggia il movimento sionista, Francia e Stati Uniti dopo un periodo di disinteresse cominciano a nutrire delle preoccupazioni e gli altri paesi sono in attesa degli avvenimenti. Intanto alla fine di questo mese sarà discusso davanti alla Lega delle Nazioni il progetto del mandato inglese sulla Palestina, e gli ebrei vogliono naturalmente preparare il terreno.
Il movimento sionistico è ormai largamente diffuso fra gli ebrei di tutti gli Stati e si calcola che siano intervenuti al Congresso di Carlsbad i delegati  di circa 500.000 organizzati. Tra le principali personalità del mondo ebraico trovasi sul posto lord Rotschild, presidente del "Grande comitato d'azione". L'Italia è rappresentata dal rabbino Dante Lattes, segretario della "Federazione sionistica italiana" e dall'avvocato Giuseppe Ottolenghi. […]
Un telegramma da Londra alla "Wiener Morgenzeitung" il 6 maggio diceva: "Il Comitato esecutivo dell'organizzazione sionista lancia un appello al popolo israelita invitandolo a mantenere la calma, ad onta dei gravi fatti di Giaffa.  Il Governo inglese non si lascia influenzare da atti di violenza e da perturbazioni della pace. Sir Herbert Samuel gode la fiducia incrollabile di tutto il popolo israelita e di tutti gli elementi amanti della pace in Palestina. La causa sionista è salda. Gli avvenimenti di Giaffa non faranno che rafforzare il popolo israelita nella sua volontà di proseguire nell'opera di ricostituzione della Palestina. Ogni sionista, ogni israelita deve comprendere che tali fatti non si sarebbero verificati se fosse stato possibile trasportare nel paese le varie migliaia di israeliti che attendono. Agli sciagurati incidenti di Giaffa il popolo israelita deve rispondere fornendo sufficienti mezzi in denaro, sviluppando poderosamente l'immigrazione e adottando misure preventive contro le perturbazioni della pace. […]
Intanto sempre la  "Wiener Morgenzeitung" (5 maggio 1921) commentando gli avvenimenti di Giaffa diceva: "Se v'ha qualcuno che debba portare la colpa e la responsabilità d codesti avvenimenti deplorevolissimi, è questo il popolo israelita, tutto quanto. […]
Il popolo israelita non s'è ficcato in testa che ad esso spetta ormai il peso della responsabilità. Il popolo ha il compito importantissimo di trasformarsi da una minoranza in una maggioranza  che non si limita a esprimere, ma che dimostra i suoi diritti e che convalida le sue pretese con la sua esistenza e col fatto che occupa il paese. […] La Palestina deve diventare israelita:  a questo deve tendere l'opera concorde di tutti gl'israeliti; questo deve essere l'orgoglio e l'onore di ognuno.. A questo deve contribuire il lavoro tenace di tutti, così che ogni catastrofe venga superata e ogni sciagura prevenuta."
Dal tono si troppo chiaro e sincero di queste dichiarazioni è evidente che la situazione che si va delineando in Palestina rappresenta per i non israeliti una nuova e più dura oppressione di quella che fu l'oppressione turca. […]
Nel mese di aprile i giornali inglesi pubblicavano lo schema del mandato all'Inghilterra sulla Palestina. […] Infatti il punto più essenziale del mandato - contenuto già nel trattato di Sévres e che ora viene posto solennemente in principio del Trattato sul mandato - è questo: che la Potenza mandataria (l'Inghilterra) sarà responsabile della costituzione d'una sede nazionale (National home) per il popolo israelita, "restando bene inteso che non verrà fatto nulla che possa ledere i dritti civili e religiosi di comunità non israelite esistenti in Palestina, o i diritti e la situazione politica che godono gli israeliti in qualunque altro paese."
La natura di questo Trattato, dal punto di vista politico e giuridico-istituzionale è senza precedenti nella storia. Per opera di questo trattato vengono riconosciute le pretese di un popolo che da duemila anni ha perduto la sua terra, in cui oggi esso non costituisce se non una piccola minoranza della popolazione; pretese che, a tener conto dei plebisciti e delle dichiarazioni compiute durante la guerra, sono state avanzate da tre quarti della popolazione israelita di tutto il mondo. Di questa popolazione - complessivamente costituita di 14\e mezzo - 15 milioni di uomini - più di un milione è organizzato sionisticamente.
Nella dichiarazione che serve da introduzione al Trattato sul mandato, viene detto a questo proposito che in virtù del Trattato stesso "è avvenuto il riconoscimento della connessione storica del popolo israelita con la Palestina e delle ragioni fondamentali della ricostituzione della sua sede nazionale in questo paese."
Le più importanti disposizioni del Mandato sono le seguenti: la Lega delle Nazioni (alla quale è stata ceduta la Palestina dalla Turchia) designa l'Inghilterra come potenza mandataria. L'organizzazione sionista verrà riconosciuta come "conveniente rappresentanza degli israeliti" (Jewish Agency), vale a dire come corporazione pubblica che avrà il diritto di cooperare alla costituzione della sede nazionale israelita.
L'immigrazione degli israeliti verrà incoraggiata; verrà promossa la formazione di una colonia chiusa di israeliti, e a questo scopo verranno messi a disposizione terreni di Stato e terreni incolti. Per il riconoscimento di lavori pubblici, in quanto essi non vengono assunti dal Governo palestinese stesso, l'organizzazione sionista avrà un diritto di preferenza, nel quale caso gli utili verranno limitati ad un conveniente calcolo degli interessi del capitale. La protezione dei luoghi sacri delle varie confessioni viene assunta dalla potenza mandataria che comunicherà le sue intenzioni ed il suo punto di vista a corporazioni ed enti appropriato. Vengono dichiarate lingue ufficiali: l'inglese, l'arabo e l'ebraico. ]…]
Il 1° luglio 1920 l'amministrazione della Palestina accolse l'Alto Commissario nominato dall'Inghilterra, sir Herbert Samuel, ebreo e zelante sionista, un uomo che è stato ripetutamente ministro, una gloria del partito liberale della Gran Bretagna. […]
Scrive Roberto Paribeni nella "Rassegna Italiana del Mediterraneo" (aprile-maggio 1921, pag. 129):
"Partiti ormai gli ultimi contingenti militari italiano e francese in seguito ala assunzione del mandato sulla Palestina per parte dell'Inghilterra, questa sembra disposta a tenere piena fede alle promesse fatte da Balfour ai sionisti. La popolazione della Palestina, timida, abituata ad obbedire tremando e a credere alla onnipotenza di chi governa, poco preparata per le sue profonde dissensioni religiose allo sviluppo di un sentimento nazionale, si è rassegnata assai facilmente al brusco diniego della "self determination", ammessa invece per gli arabi dello Hegiaz. Solo gli abitanti di Palestina si dimostrano intolleranti all'idea che possa costituirsi uno Stato ebraico. In questo, cristiani e musulmani sono perfettamente d'accordo, tranne forse gli ortodossi, sempre opportunisti e dall'Inghilterra sempre favoriti.
I Musulmani si rivolsero con vibrati indirizzi antisemitici anche al cardinale Giustini, quando andò a rappresentare la Santa Sede alla festa centenaria di S. Francesco d'Assisi, in Terra Santa.
Gli ebrei dal canto loro nulla fanno per diminuire queste antipatie. Come spesso avviene di chi è stato lungamente oppresso, sono passati d'un tratto dal terrore e dall'abiezione alla tracotanza, salvo ripiombare nel terrore quando si preannunzia quello di cui in Oriente si parla comunemente tutti i giorni, come da noi di sciopero, e che sembra laggiù il miglior rimedio per risolvere questioni intricate: il massacro. Le autorità inglesi non sembra che siano molto più assennate dei sionisti, arrivando a stabilire dei criteri di favore di privilegio per gli ebrei, del tutto irragionevoli ed intollerabili. Non solo infatti si favorisce in ogni modo la immigrazione di ebrei, e il loro comodo stanziamento nel paese, mentre si pongono bastoni fra le ruote a chiunque altro; non solo si riempiono di ebrei i pubblici uffici, eliminando successivamente gli altri elementi, ma negli sessi uffici si fa agli ebrei un trattamento di favore rispetto ai colleghi non ebrei che compiono la stessa funzione. E questo negli alti come nei bassi gradi; un fuochista ferroviario, o un cantoniere stradale ebreo è pagato più del fuochista o del cantoniere cristiano o musulmano." […]
Intanto l'acuirsi della situazione in Palestina faceva ritenere a Governo inglese necessario l'invio del ministro Churchill al quale, appena giunto, il Presidente del Congresso arabo di Caifa, Musa Kazim Pascià al-Huseyni, presentava un "memorandum" contenente le seguenti richieste antisioniste:
a) Abolizione del principio della sede nazionale ebraica.
b) Costituzione di un governo nazionale responsabile davanti a un parlamento eletto dalla popolazione palestinese che risiedeva nel paese prima della guerra.
c) Interruzione dell'immigrazione ebraica finché non sia costituito il governo nazionale.
d) Applicazione delle leggi e dei regolamenti dell'anteguerra ed abolizione di quelli promulgati dopo l'occupazione inglese. Non s dovranno approvare nuove leggi fino all'entrata in vigore del governo nazionale.
e) La Palestina non dovrà essere separata dagli atri Stati arabi.
Il ministro Churchill da parte sua tenne il seguente discorso di risposta alla Delegazione araba palestinese: "Venuto al Cairo per studiare la questione della Mesopotamia, sono stato invitato in Palestina da Sir H. Samuel: egli è il rappresentante della Crona, io non lo sostituisco; dietro sua richiesta ho accettato questo colloquio con voi, che non ha nulla di ufficiale, e parlerò chiaramente per evitare malintesi. Ritengo che le vostre richieste siano in parte settarie e inopportune. Io non posso e non desidero annullare la Dichiarazione Balfour e sospendere l'immigrazione. Il governo inglese, per mezzo di Balfour, si è impegnato a favorire la sede nazionale - ciò implica l'immigrazione - ed ha ottenuto l'approvazione delle potenze alleate e vincitrici. L'impegno presi quando le sorti della guerra erano incerte deve considerarsi  sanato dalla vittoria, ed io son certo che la Lega delle nazioni accetterà tale punto di vista. È del resto giusto che gli ebrei dispersi possano riunirsi in una sede nazionale in Palestina, alla quale sono legati da 3.000 anni d storia. Ciò sarà secondo noi un bene per il mondo, per l'impero britannico, ed anche per gi arabi palestinesi, che, lungi dal soffrirne, ne beneficeranno. […]
Questa la situazione creatasi in Palestina, e questi i precedenti dei fatti sanguinosi di Caifa sui quali si mantiene ancora il più rigoroso silenzio, ma contro i quali è stata applicata la più cruda reazione. E così quel paese di Gesù, che era divenuto per tutti il simbolo di unione e di pace, si avvia ad essere, tra il silenzio generale, la terra di nuove guerre e di nuovo sangue, perché si vuole ad ogni costo che diventi la sede nazionale de crocifissori di Gesù.»

Non è nostra intenzione entrare nel merito delle vicende descritte qui da Preziosi, che sono state determinanti per il futuro destino di quella terra e per la sorte del popolo arabo-palestinese, ridotto dopo il 1947, a vivere come una minoranza a stento tollerata sulla propria terra, oppure ad emigrare nei Pesi vicini, con sempre più fievoli speranze di poter fare, un giorno, ritorno.
È storia dei nostri giorni; così come è storia dei nostri giorni la strage orrenda di Gaza, avvenuta tra l'indifferenza e l'ipocrita silenzio della comunità internazionale, quasi che non fossero stati uccisi centinaia di bambini e bambine (novella strage degli innocenti), ma centinaia di passeri o di animali infestanti dei raccolti agricoli.
Tutto questo non rende più presentabile, né politicamente, né culturalmente, l'antisemitismo di Giovanni Preziosi.
Tuttavia, quell'antisemitismo non dovrebbe farci cadere nemmeno nell'eccesso opposto: quello, cioè, di respingere con farisaica indignazione tutto quello che egli ha scritto a suo tempo, se è vero che la ricerca della verità prescinde dalla persona fisica di coloro che interroghiamo, per concentrarsi sulla plausibilità delle sue parole; non necessariamente di TUTTE le sue parole, ma anche soltanto di alcune.