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Il caso Bechtel

di Mark Dowie - 27/08/2009

bechtel

Abbiamo resuscitato un articolo di Mark Dowie per “Mother Jones” risalente al 1978, nel quale è descritta in maniera magistrale la sinergia, spesso misconosciuta, tra sfera politica (intelligence compresa) e mondo degli affari che caratterizza gli Stati Uniti d’America.

Oggi, Jubail è un piccolo sonnolento villaggio di pescatori sul Golfo Persico. Fra 16 anni sarà una delle maggiori città industriali sullo stile di Toledo, Ohio, con raffinerie di petrolio, acciaierie, un porto con fondali profondi, alberghi, ospedali, un aeroporto internazionale, svariate centrali elettriche ed il più grande impianto di desalinizzazione del mondo. Questa colossale opera ingegneristica è al centro del progetto dell’Arabia Saudita di trasformarsi da nazione di nomadi del deserto nel maggiore stato industriale. Jubail è di gran lunga il più grande progetto edilizio della storia. L’intera città viene costruita da una famiglia riservata, proprietaria di affari a San Francisco, il cui nome è noto ai primi ministri e presidenti in giro per il mondo, ma è sconosciuto alla maggioranza degli americani: la Bechtel Corporation.
Bechtel sarebbe già importante se non altro per la sua dimensione. Se le imprese venissero catalogate da Fortune 500 in base ai capitali detenuti, Bechtel verrebbe classificata attorno al 25° posto, più avanti di Coca-Cola, Lockheed o American Motors. Bechtel, comunque, è ben più che semplicemente un’altra grande corporation. C’è un impero che assume i suoi dirigenti direttamente dai gabinetti dei Presidenti con enormi incrementi salariali, riceve contratti governativi da miliardi di dollari, mantiene stretti contatti con le élite dei Paesi più importanti e detiene i segreti dell’arricchimento dell’uranio.
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Avviata da un conciatore immigrato di pelli di asino chiamato Warren “Papà” Bechtel nel 1898, questo “piccolo affare di famiglia” è cresciuto fino a diventare la più grande compagnia di progettazione e costruzioni al mondo. Tutti e tre i figli di “Papà”, Warren, Steve e Ken, hanno lavorato nella compagnia nel corso degli anni; ma durante gli anni Trenta il coriaceo e risoluto Steve emerse come leader dei tre fratelli e, nel ’77, rimase l’Amministratore Delegato dell’impero della Bechtel.
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Nonostante Bechtel sembri proprio una vera corporation internazionale – con una forza lavoro poliglotta, con la maggioranza dei suoi uffici di rappresentanza all’estero e con più del 50% dei suoi introiti da progetti stranieri – è molto americana. Malgrado stipuli contratti con i generali Obasanjos del mondo, la scalata al potere della compagnia è stata aiutata soprattutto da un’amicizia chiave a Washington.
Durante i suoi primi quaranta anni in affari Bechtel rimase negli Stati Uniti, costruendo soprattutto negli Stati occidentali.
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Partita con una stabile partecipazione nel ramo delle costruzioni e abbastanza guadagni consolidati da espandersi rapidamente in nuove industrie, Bechtel cominciò a guardare al di là del mercato americano. E si estese, diversificando in centrali elettriche, miniere, raffinerie e costruzioni navali.
Nel 1940 accettò la sua prima commissione all’estero – l’oleodotto Mene Grande in Venezuela.
Quando la Diga Hoover veniva progettata, un giovane intraprendente venditore di acciaio di nome John McCone venne chiamato alla Bechtel. Da quando la compagnia aveva bisogno letteralmente di migliaia di sbarre di rinforzo da impiegare nell’impianto della diga che si era rovinato anticipatamente, Bechtel fu il cliente naturale per il datore di lavoro di McCone, Consolidated Steel. Il distaccato, attraente e dagli occhi grigi McCone venne probabilmente chiamato perché il suo vecchio amico dei tempi dell’Università della California, Steve Bechtel, aveva l’incarico di reperire il materiale per il progetto.
McCone si era laureato all’Università di California nel 1922, laddove Steve aveva lasciato gli studi prima perché “Papà aveva bisogno di me negli affari”. McCone e Bechtel riallacciarono la loro vecchia amicizia e, dopo che la diga fu conclusa, costituirono una società d’affari chiamata Bechtel-McCone, di cui McCone divenne presidente.
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Dopo la guerra McCone lasciò la compagnia e andò dove erano già andati così tanti appaltatori del governo: al Dipartimento della Difesa.
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Nonostante il sodalizio fra Bechtel e McCone si fosse sciolto, l’alleanza segreta Bechtel-McCone rimase intatta. Quando John McCone salì attraverso la burocrazia di Washington – dal suo lavoro alla Difesa a quello di presidente della Commissione per l’Energia Atomica e infine al posto di direttore della CIA – non si dimenticò mai del suo vecchio amico Steve Bechtel.
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Accordarsi sottobanco ad alto livello è un reciproco affare. John McCone venne nominato direttore della CIA a fine 1961, al tempo in cui l’agenzia stava allargando i suoi accordi con le ditte americane per fornire copertura agli agenti della CIA e per condividere informazioni segrete, specialmente in Paesi come Iran, Algeria e Libia, ove Bechtel stava costruendo, progettando o cercando di avviare grandi progetti.
Da ogni punto di vista, Bechtel è un sogno del direttore della CIA che diventa realtà:
• Il presidente esecutivo della compagnia è un vecchio e fidato amico (recentemente i fatti hanno dimostrato che la CIA preferisce accordarsi fra vertici nelle relazioni con le ditte).
• È detenuta da privati ed è già riservata come stile.
• La compagnia opera in più di 100 Paesi.
• Molti dei suoi progetti sono all’estero nei “Paesi tranquilli”, dove spesso comincia un’attività rivoluzionaria – e dove solitamente è difficile trovare copertura per gli agenti.
• La compagnia sposta molti equipaggiamenti e materiali attorno al mondo (“Una sezione da 30 piedi di tubi per oleodotto può contenere un sacco di fucili” mi disse un impiegato della Bechtel, che trascorse 4 anni in Libia).
• Finché le sue strutture non sono stabili sul posto, ad esempio con miniere ed industrie, Bechtel non mette radici e può abbandonare rapidamente i progetti se la situazione politica si fa tesa (ciononostante, il personale della compagnia spesso non parte, scegliendo altresì di stabilirsi in un hotel finché la crisi rientra ed emerge un nuovo uomo forte con cui essi possono negoziare un nuovo contratto).
• Lo scambio di notizie potenziale è reciprocamente proficuo – informazioni industriali (i retroscena per qualcosa come la fabbrica Bechtel in Nigeria) per informazioni politiche (il genere d’informazioni di cui la CIA aveva bisogno per organizzare con successo iniziative in posti come Iran e Guatemala)
Due organizzazioni tanto attente alla sicurezza come Bechtel e la CIA non lasciano molte tracce evidenti della loro interrelazione.
E gli impiegati della Bechtel sono obbligati al segreto, sia quando la compagnia li assume sia quando la lasciano.
Però il passaggio di uomini avanti e indietro fra le due istituzioni indica più che semplici coincidenze.
Prendiamo John Lowrey Simpson, per esempio.
La sua improvvisa assunzione come presidente del comitato finanziario di alto livello della Bechtel nel 1952 sorprese i vecchi soci della compagnia. Bechtel ha una solida tradizione di promozioni interne, e Simpson, la cui precedente occupazione era vicepresidente esecutivo della semisconosciuta Schroder Bank a New York, sembrò spuntare dal nulla. Quel che i vecchi soci non sapevano, per l’appunto, fu che Simpson aveva stretti contatti con l’Ufficio dei Servizi Strategici (OSS) attraverso la sua amicizia con Allen Dulles (direttore e fondatore di Schroder Bank così come dell’OSS), e che Simpson, che aveva avuto accesso a informazioni militari durante la guerra, lavorò come consulente della Bechtel durante quegli anni. Dopo la guerra l’OSS, in effetti, divenne la CIA, ed era stato scoperto che la Banca Schroder, di cui Simpson rimase uno dei direttori dopo l’assunzione in Bechtel, era stata una banca per i controversi fondi a discrezione del direttore della CIA.
Poi c’è C. Stribling Snodgrass (il cui nome non è uno pseudonimo), il quale fece il percorso inverso. Come vicepresidente alla Bechtel, Snodgrass pianificò la quasi monopolizzazione da parte della compagnia delle costruzioni pesanti in Arabia Saudita, innanzitutto attraverso cordiali relazioni con ufficiali del Dipartimento di Stato che introdussero Bechtel presso Re Faisal ed il suo predecessore, Ibn Saud. Snodgrass si ritirò presto dalla sua vicepresidenza alla Bechtel e tirò su una piccola impresa di consulenza energetica chiamata LSG Associati.
Finchè Snodgrass fu in vita, LSG Associati fu uno dei cinque soggetti autorizzati dalla CIA ad accedere agli uffici legali di Washington di Burwell, Hansen e Manley. Sotto la copertura LSG, il ruolo di Snodgrass fu indubbiamente quello di raccogliere informazioni economiche e passarle a compagnie americane che, come Bechtel, fossero in una posizione tale da approfittarne. Le compagnie in cambio avrebbero fornito cospicue informazioni politiche riguardo i Paesi in cui operavano a Snodgrass, che le avrebbe trasmesse alla CIA.
I legami di Bechtel con la CIA attraverso uomini come Simpson e Snodgrass dettero alla compagnia un vantaggio incalcolabile nei suoi rapporti col Terzo Mondo. Guardiamo, per esempio, alle operazioni della Bechtel in Libia. Poche compagnie americane erano intenzionate ad operare in Libia durante gli instabili anni Sessanta; tuttavia, con il Canale di Suez chiuso, il petrolio libico era vitale per l’Occidente.
Coerentemente con l’orgoglioso slogan di Steve senior, “Noi costruiremo qualsiasi cosa, ovunque, sempre”, Bechtel costruì un oleodotto dal Deserto del Sahara alla costa mediterranea per la Occidental Petroleum (costo preventivato 43 milioni di dollari, costo finale 147). Occidental, ed altre compagnie petrolifere americane, pagarono alla Bechtel una commissione del 18% affinché si prendesse cura dei loro affari piuttosto che inviare propri dirigenti nel clima politico esplosivo della Libia. Occidental si accordò costantemente con Bechtel affinché provvedesse a corrispondere i “premi” ai funzionari libici per poter continuare a lavorare nel Paese (un legale della Bechtel ci ha recentemente avvisato che la compagnia ci avrebbe querelato se avessimo usato la parola “tangente”).
Bechtel fu in grado di stare in Libia senza gravi conseguenze costituendo una joint venture con un ex premier corrotto di nome Mustafà Ben Halim. Nonostante Ben Alim fosse caduto pesantemente in disgrazia presso la maggior parte dei libici, Bechtel era stata avvisata dalla CIA che era il personaggio con cui avere a che fare per costruire l’oleodotto.
Nel caso libico, come sempre, la corrispondenza della Bechtel con la CIA si svolgeva al vertice. Un dirigente della compagnia scrisse a Jerome Komes, il responsabile interno del progetto di oleodotto, chiedendo se dovesse o no accordarsi con Ben Halim. Komes scrisse un memorandum a Steve Jr., chiedendogli di domandare a suo padre di attivarsi presso il Sottosegretario di Stato C. Douglas Dillon e le fonti della Bechtel presso la CIA per avere informazioni riguardo Ben Halim.
Non abbiamo riscontri di quelli che furono gli sviluppi: sembra che si sia svolto tutto a voce.
Ma i risultati sono chiari: a Ben Halim fu versata una “rendita” di 2.500 dollari al mese per non ostacolare il progetto.
E in cambio del “consiglio disinteressato”, Bechtel fornì copertura ad almeno due agenti della CIA operativi in Libia fra il 1965 ed il 1969.
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Impiegare persone ai piani alti per fare affari con altri altolocati non è nulla di nuovo per le corporation statunitensi. La porta girevole fra grande finanza e governo è ben nota. Ma Bechtel sembra puntare ancora più in alto. Quando ha bisogno di collegamenti finanziari, si relaziona con il Ministero del Tesoro. Quando ha bisogno di tecnologia nucleare, si collega con il Direttore Generale della Commissione per l’Energia Atomica.
Quando ha bisogno di appoggi internazionali, noleggia un Sottosegretario di Stato. E quando ha bisogno di esperti nello scavalcare la burocrazia incipiente, affitta il Segretario alla Salute, Educazione e Welfare.
Nomi come George Schultz, Caspar Weinberger, Cordell Hull, Contrammiraglio John Dillon e William Hollingsworth (già General Manager dell’AEC) si trovano sparsi nell’archivio Bechtel. Uno sguardo ad uno solo degli agganci strategici della Bechtel, George Schultz, rivela i vantaggi di questo genere di affari.
Se John McCone fu il collegamento chiave Bechtel-Washington negli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta, George Schultz coprì certamente quel ruolo nei Settanta.
Finché fu Segretario al Lavoro, direttore dell’Ufficio della Dirigenza e delle Risorse (OMB) e Segretario del Tesoro, Schultz giocava a golf con Steve Bechtel Jr. ogniqualvolta Steve veniva a Washington. Steve Jr. era colpito dalla mente e dal retroterra di Schultz.
C’erano anche alcuni aspetti secondari del suo curriculum che rendevano Schultz sempre più interessante per Bechtel – già presidente del Consiglio dei Consulenti Economici, membro del Comitato Consultivo per la Politica Estera del Presidente e membro dei Comitati di Gabinetto del Credito Federale e dell’Edilizia.
Inoltre, come Segretario del Tesoro, Schultz andò in Russia nell’aprile del 1973 per trattare un credito statunitense per un gigantesco progetto inerente il gas naturale cui Bechtel era interessata. E come Direttore OMB si adoperò per la privatizzazione dell’arricchimento dell’uranio, un favore ispirato da Nixon che avrebbe potuto anche dare a Bechtel un monopolio mondiale nella vendita di combustibile nucleare.
Fino a quando non lasciò il Dipartimento del Tesoro per la Bechtel, Schultz scelse i membri dei consigli di amministrazione di Morgan Guaranty, J.P. Morgan Company, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Banca per lo Sviluppo Inter-Americano e Banca per lo Sviluppo Asiatico. Questi collegamenti, assieme all’occupazione di altri consigli bancari da parte di membri della famiglia Bechtel e di altri direttori Bechtel (Crocker National, Wells Fargo), coprono i mercati finanziari splendidamente.
Oggi Bechtel è in grado di incanalare capitali finanziari a lungo o corto termine ovunque nel mondo.
L’accesso di Bechtel al capitale ha posizionato la compagnia in una situazione contrattuale unica. Se può garantire ad un Paese del Terzo Mondo un finanziamento degli USA ad un progetto significativo, non ha da preoccuparsi eccessivamente riguardo la concorrenza. Da quando la maggior parte dei Paesi in via di sviluppo non può permettersi di spendere miliardi per strade, impianti elettrici, porti o raffinerie, il finanziamento statunitense è conditio sine qua non per lo sviluppo. E poiché Bechtel non è mai il destinatario diretto dei prestiti della Banca Mondiale o dei crediti del FMI, George Schultz può usare la sua influenza senza temere quel genere di accuse per conflitto d’interessi che condizionò John McCone durante i suoi anni in seno al governo.
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La strepitosa trasformazione di Bechtel da conceria di pelli d’asino ad una sorta di Stato sovrano non è del tutto sorprendente in un Paese la cui economia è diventata dominio di un pugno di corporation multinazionali.
Una corporation le cui vendite annuali sono spesso più cospicue del PIL del Paese in via di sviluppo con cui tratta, tanto da non sembrare distinguibile essa stessa da un Paese. I collegamenti ad ogni livello prendono caratteristiche diplomatiche: i contratti appaiono come trattati, l’attività dei venditori come missioni diplomatiche e gli incontri fra Steve Bechtel Jr. ed il Capo di Stato rassomigliano a conferenze internazionali.
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I Bechtel ben sanno, come ogni organismo multinazionale, che il loro obiettivo di sviluppo non è riuscito ad incontrare le necessità umane, che il sottosviluppo e la povertà sono spesso cresciuti nel Terzo Mondo invaso da tecnologie occidentali e che in particolare troppo spesso l’elite decide di proteggere le sue nuove industrie da lavoratori e contadini recalcitranti con dittature militari armate dagli Stati Uniti.
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Dal 1950, allorché Bechtel concluse le infrastrutture della gigantesca Compagnia Petrolifera Arabo-Americana, piccole guerre rivoluzionarie si sono sviluppate attraverso la penisola arabica – guerre deliberatamente occultate dal punto di vista americano dietro una preoccupazione riguardo l’energia orchestrata dai media. Il golpe sostenuto dalla CIA in Iran installò una delle più brutali autocrazie del mondo, ed il progetto di sviluppo industriale “Volume 12” della Bechtel per il Paese ha rafforzato, non allentato, il dominio dello Scià. L’aiuto statunitense all’Arabia Saudita è parzialmente impiegato per supportare una speciale “Armata Bianca” addestrata per la repressione interna.
E i fiumi dell’Indonesia si sono più di una volta riempiti con i corpi di contadini ribelli massacrati che avevano perso la loro terra per lo “sviluppo”.
E attraverso tutto ciò, Bechtel costruisce e costruisce e costruisce.
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Traduzione di L. Salimbeni