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Le autorità monetarie: «sia fatto il denaro». E il denaro fu. Ma fu anche distruzione di economie

di Gerardo Coco - 29/08/2009

Fonte: www.brunoleoni.it

Se il destino delle economie dipende da un pensiero economico dominante, di questi tempi è difficile essere ottimisti.
Il pensiero dominante è infatti quello che si basa sulle politiche di stabilizzazione e di stimoli del sistema del credito e delle Banche Centrali. E’ evidente che non abbiamo imparato nulla dopo secoli di distruzione monetaria. Non abbiamo cioè imparato che la quantità di denaro in circolazione non a nulla a che fare con la crescita economica di un paese.
Ma i geniali laureati Nobel dell’economia ci vogliono ancora far credere che stampare denaro è la giusta risposta alle recessioni. Consideriamo il cataclisma dell’ultima crisi finanziaria. A partire dalla seconda metà del 2007 le principali banche centrali hanno perseguito una irresponsabile politica di abbassamento dei tassi e di espansione del credito per rilanciare le economie. La Banca Centrale Inglese lo ha ridotto dal 5.75 all’1% La Federal Reserve dal 5.75 a livelli prossimo allo zero come la Banca del Giappone paese già in recessione da 20 anni. La Banca Centrale Europea, la più conservatrice di tutte, si è adattata ai ribassi riducendo il tasso dal 4,25 del settembre 2008 al 1,5% attuale. Specialmente negli USA e in Giappone, tutte queste misure hanno alimentato una massa monetaria mostruosa. Il perché del continuo deterioramento della situazione e della inanità delle misure anticongiunturali ho tentato di spiegarlo in un articolo precedente.
La parola d’ordine delle autorità monetarie è stata: sia fatto il denaro. Ed il denaro fu. Ma insieme, fu distruzione delle economie. Vogliamo ancora credere che il denaro sia agente di crescita economica?
Già 2500 anni fa Aristotele aveva capito che questa particolarissima merce non fa parte della ricchezza di un paese rappresentando semplicemente un intermediario di scambio. Pertanto il filosofo non si preoccupò minimamente dei benefici che potessero derivare da variazioni della base monetaria.
David Hume (1711-1776) una delle menti più potenti del XVIII secolo disse che, se durante la notte si fosse raddoppiata magicamente la quantità di denaro nelle tasche dei cittadini, il giorno dopo non si sarebbero trovati “doppiamente” ricchi. Perché ? Perché ciò che rende più ricchi è l’abbondanza di beni e ciò che limita la loro abbondanza è la scarsità di risorse: cioè terra, lavoro e capitale. Al momento avrebbero avuto l’illusione di sentirsi più agiati, senza accorgerci che il miracolo notturno avrebbe solo “diluito” il denaro in loro possesso come l’acqua fa col vino. Nel momento che i cittadini si fossero affrettati a spendere il denaro apparso dal nulla, i prezzi sarebbero raddoppiati lasciando invariato il potere d’acquisto.
Il grande banchiere e uomo d’affari d’origine irlandese Richard Cantillon, (1680 –1734) autore del Saggio sulla Natura del Commercio in generale (1755) trattato sistematico, unanimemente riconosciuto come uno dei documenti più straordinari sul funzionamento dell’economia, metteva in guardia contro la pericolosità della “fabbrica del credito” e dell’aumento della massa monetaria che avrebbe provocato una delle più grandi bolle speculative della storia, il progetto del Missisipi di John Law, teorico monetario (non per nulla assertore della moneta cartacea gestita dalla banca pubblica per rimuovere i rigidi freni imposti dall’offerta di metalli preziosi).
Il filosofo francese illuminista Étienne Bonnot de Condillac (1715 –1780) che si occupò di problemi economici previde il “boom” e susseguente crollo finanziario della Francia prerivoluzionaria che in cerca di una “solida” base finanziaria deliberò di emettere degli “assegnati” una specie di moneta fiduciaria simile agli attuali biglietti di banca. La convinzione che la crisi economica fosse causata dalla mancanza di denaro fece presa sull’immaginazione popolare. E l’idea promettente che dal nulla (stampando carta) si sarebbe potuto creare qualcosa (la crescita economica) ebbe in Mirabeau, delegato agli Stati Generali nel 1788, il più vivace assertore. Appoggiato da esperti dell’Assemblea Nazionale dichiarò solennemente che la moneta cartacea rappresentava il mezzo per garantire risorse illimitate senza pagare interessi! La Francia era in regime di gold standard ma da quel momento gli scambi sarebbero stati regolati con la “carta”. Non era più garantita da oro ma da “immobili”: chiese e terreni sottratti al clero e a nobili. In questa nuova situazione si cominciarono ad elaborare progetti brillanti e grandiosi offrendo investimenti sicuri. Si sviluppò lo spirito del gioco d’azzardo, della speculazione e fiorì la corruzione. Ma presto divampò una inflazione incendiaria, il denaro perse completamente valore, crollarono i progetti e si bruciarono i risparmi. Anche la Francia dell’epoca ebbe i suoi Greenspan, Bernanke, e i suoi keynesiani.

Il denaro non è neutro
Le politiche monetarie espansive e stabilizzatrici non alterano solo il potere d’acquisto ma determinano altri squilibri.
Ciò che il pensiero d’antan non aveva ancora maturato era il concetto che l’aumento della quantità di denaro non ha effetti neutri. Si pensava, infatti, che un aumento della massa monetaria provocasse solo un aumento proporzionale del “livello” dei prezzi senza disturbarne la “struttura”. Questa lacuna concettuale, già evidenziata da John Stuart Mill (1806–1873) fu ben chiarita dall’economista austriaco Ludwig Von Mises (1881–1973) ai primi del secolo scorso ma è rimasta lettera morta fino ad oggi. Nel 21° secolo questa lacuna si è addirittura trasformata in dottrina della neutralità e sta alla base delle cosiddette “politiche di stabilizzazione” delle Banche Centrali. Quando le autorità monetarie espandono il credito, lo stock monetario non aumenta istantaneamente distribuendosi fra tutti gli attori economici in modo uniforme, ma il denaro va nelle tasche prima di alcuni poi di altri e così via fino agli ultimi, i percettori di reddito fisso e i pensionati, i quali non fanno a tempo ad avvantaggiarsi di nessun aumento, avendo i primi beneficiari già inflazionato i prezzi attraverso l’esercizio del loro maggiore potere d’acquisto. Ma vi è di più, perché il nuovo potere d’acquisto non solo provoca inflazione ma cambia le abitudini e le priorità di spesa alterando non il livello ma la struttura dei prezzi cioè il rapporto degli uni con gli altri (i prezzi relativi) squilibrando la struttura produttiva dell’economia. Quello che sfugge è che i prezzi dei beni e servizi, non sono solo determinati dalla loro domanda e offerta, ma anche dalla domanda e offerta di denaro. Se ad esempio in un arco di tempo il prezzo della pasta aumenta del 10% e quello della carne diminuisce del 3%, queste variazioni non ci dicono se gli aumenti sono dovuti a mutamenti nella domanda ed offerta di questi prodotti o se sono dovuti a variazioni dello stock monetario. L’ignoranza di questa distinzione critica, porta le politiche di stabilizzazione a sortire effetti opposti a quelli desiderati, provocando eccedenze in alcune produzioni e insufficienze in altre. In breve, esse distorcono le strutture produttive.

Il risparmio è la fonte del credito
Le politiche di stabilizzazione e di stimolo presuppongono che nell’economia ci sia un problema di quantità di denaro. Ma questo problema non esiste. Qualsiasi sia lo stock esistente, esso è sempre sufficiente a far funzionare bene l’economia. Il denaro viene sempre utilizzato al massimo grado perché sovrabbondanza e scarsità si riequilibrano immediatamente attraverso gli aggiustamenti del suo potere d’acquisto: è una legge economica. Un aumento dello stock monetario non beneficia l’economia nel suo complesso perché ne diluisce il potere d’acquisto. Se beneficia qualcuno, lo fa, come abbiamo visto a spese di qualcun altro, distorcendo anche la struttura produttiva. Per contro, una diminuzione dello stock non comporta perdite per l’economia perché ha l’effetto di far aumentarne il suo potere d’acquisto. Ma l’illusione monetaria è sempre pronta a prendere il sopravvento e le politiche degli stimoli e delle stabilizzazioni ne sono l’effetto. L’economia non ha bisogno di più denaro ma di maggior capacità di produrre.
La capacità di produrre beni e servizi reali deriva dal risparmio, dal “denaro guadagnato”, che in quanto tale rappresenta la vera fonte del credito. Nulla può surrogare il sacrificio e la disciplina del risparmio volontario intesa come rinuncia al consumo immediato per creare beni futuri. La crescita economica reale non conosce le scorciatoie dell’espansione artificiale del credito e l’inflazione dei mezzi di pagamento che diluiscono il risparmio e distorcono la produzione falsificando i fondamentali dell’economia. A riprova: la crisi finanziaria negli USA è arrivata al picco quando in questo paese, il risparmio volontario è addirittura diventato negativo. Ed è per questo che oggi questo paese è entrato in una grande crisi produttiva. Se il denaro ed il credito fossero agenti di ricchezza la povertà sarebbe già stata sconfitta da molto tempo. A riprova: i miliardi di dollari erogati per sostenere le economie del terzo e quarto mondo non sono serviti a nulla, anzi, come era prevedibile, hanno fatto aumentare la povertà.
Il credito anziché agente di ricchezza può diventare fattore di sottosviluppo. Speriamo