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Scacco alle torri

di Marco Milioni - 14/09/2009

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Il Gruppo l'Espresso e La Repubblica in particolare, hanno sempre rappresentato una precisa area liberal-progressista del Paese, con il cuore a sinistra e il portafoglio, se non a destra, comunque ben sistemato nelle giacche della finanza laica italiana, con gli inevitabili collegamenti a certi ambienti della finanza internazionale. Il quotidiano romano non ha mai nascosto quindi certe sue simpatie atlantiche. La cosa è valsa anche e soprattutto dopo i fatti tragici dell'11 settembre 2001, quando un certo appiattimento sulla dottrina "Bush-Cheney" è sembrato assai evidente.
Allo stesso tempo però nel giornalismo, come in tutte le attività umane, oltre gli schieramenti, gli apparati, le sovrastrutture per dirla alla Marx, ci sono gli uomini. E quando la loro pasta umana è veramente buona, il buono viene fuori. Inevitabilmente. Non c'è sinistra, destra, sopra o sotto che tenga: quel mix invisibile di dignità, onore, onestà intellettuale e passione, se si ha a che fare con un uomo autentico, salta fuori.
Carlo Bonini
, un giornalista sensibile e attento, questo esprit humain lo ha fatto toccare con mano ai suoi lettori con un pezzo del 28 agosto 2009 pubblicato da Il Venerdì, l'inserto settimanale de La Repubblica. In modo pacato e lucido Bonini racconta alcuni passaggi di un libro inchiesta del seriosissimo Philip Shenon, uno dei cronisti di punta del New York Times (il lavoro in Italia è edito da Piemme edizioni col titolo "Omissis, tutto quello che non hanno voluto farci sapere sull’11 settembre").
E Bonini parla chiaro: «Nello scomporre e passare al microscopio i passaggi cruciali del lavoro della Commissione 11 settembre, l’inchiesta di Shenon, in un plot rigidamente cronologico (maggio 2002-luglio 2004), si svela infatti per quello che è: una cronaca del potere. Innanzitutto vera e non avventurosa, perché documentata. Ma anche simbolica. Per la sua capacità di raccontare come, all’indomani dell’11 settembre, il problema (peraltro non solo americano, per chi ha voglia di ricordare quale sia stato il cover-up del governo italiano sul coinvolgimento dell’intelligence del nostro Paese nella vicenda dell’uranio nigeriano: il cosiddetto affare Niger-gate) non fu la ricerca della verità. Ma la ricerca di una verità "compatibile". Che, al contrario di qualunque verità, non facesse male a nessuno».
Dalle parole dell'articolista di Repubblica, come da quelle di Shenon, traspira, pur non esplicitato, un sottile quanto incombente senso di imbarazzo per il "contagio patriottico" che ha colpito una grandissima fetta delle elite intellettuali occidentali; una grandissima parte che ha preso quasi per dogma il resoconto ufficiale relativo all'attentato al World Trade Center.
Personalmente non so immaginare chi o che cosa ci sia veramente dietro la strage di Manhattan. Ma per certo so cinque cose. Uno, la versione ufficiale raccontata dalla commissione parlamentare sull'11 settembre è pesantemente omissoria per volontà di Phil Zelikow, direttore dello stesso organo, uomo legato a filo doppio a Karl Rove, il principale spin doctor di George W. Bush. Due, la spinta emotiva seguita all'11 settembre è stata uno dei principali strumenti per dare una scusa agli Usa al fine di iniziare e condurre una guerra illegale contro l'Iraq; motivata per di più da prove false. Tale conflitto ha provocato centinaia di migliaia di vittime tra i civili irakeni. Tre, in seguito ai fatti dell'11 settembre gli Usa hanno adottato provvedimenti normativi come il "Patrioct act" così invasivi delle libertà individuali da risultare incostituzionali. Soprattutto per l'abolizione, in diverse circostanze, dell'habeas corpus: ovvero di quel paradigma giuridico che autorizza le pubbliche autorità a limitare o reprimere parzialmente le libertà individuali (leggi arresto) solo dietro un motivato pronunciamento della autorità giudiziaria. Restrizioni così dure non si erano viste nemmeno quando gli Stati Uniti erano in guerra con la Germania nazista e il Giappone, nemici ben più organizzati, potenti e temibili dei terroristi islamici. Quattro, i presunti attentatori, non si capisce perché, non saranno processati dall'autorità giudiziaria. Nemmeno da tribunali militari. Nemmeno da tribunali speciali. Saranno giudicati da speciali commissioni militari al cospetto delle quali la pubblica accusa (non appartenente al potere giudiziario, ma emanazione del governo) avrà il potere di non rendere note alla difesa le sue fonti di prova: un'altra fattispecie incostituzionale. Cinque, la commissione ufficiale non ha chiesto alcuna testa tra coloro che in qualche modo sono stati identificati come responsabili dei molti buchi nella macchina della sicurezza nazionale.
Insomma, la maggiore potenza mondiale, che si vanta di avere le più solide basi costituzionali del globo, per processare un plotoncino di terroristi è de facto obbligata a violare la stessa costituzione e gli stessi diritti che vuole difendere dal terrorismo. I conti non mi tornano. In questi giorni di commemorazioni sarebbe importante ricordare anche tutto ciò. Frattanto faccio i complimenti a Bonini che ha avuto l'onestà intellettuale di far cadere il velo anche sui media mainstream.