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Io sono l'orto (o il prato, o il bosco, o il marciapiede)

di Nicola Savio - 14/09/2009

La natura è intorno a noi e reclama la sua stessa sopravvivenza. Continuando a considerarla qualcosa di altro da noi, e quindi maltrattandola o idolatrandola, non otterremo altro che isolarci nei nostri singoli comportamenti, chiusi nel percorso tracciato dall'evoluzione inconsapevole del genere umano. La vera sfida sta nell'iniziare a guardare il mondo considerandoci, nuovamente, parte di esso.

 

natura
"La natura lavora in evoluzione (verso il futuro), l'uomo sull'esperienza (ciò che è stato)"
Prima del tipo di lavorazione del terreno, delle tecniche di coltivazione o germinazione delle piante, prima ancora delle diverse tipologie di concimazione e delle teorie sui nutrienti, il valore per eccellenza nella mia concezione dell'orto (e dell'agricoltura in generale) è la biodiversità. Più elementi animali e vegetali gravitano nel mio micro-megamondo e più questo sarà stabile e produttivo.

 

Quindi, si suppone che la biodiversità vada protetta e salvaguardata nella sua purezza.

 

Ma cos'è la biodiversità?

 

La biodiversità è una categoria filosofica. Non esiste, non può esistere in termini oggettivi se non come mero conteggio di specie diverse in un dato spazio. E' un valore soggettivo e locale legato agli schemi di lettura che, noi umani, caliamo sulla realtà che ci circonda.

Sto bestemmiando? Forse per una “vecchia scuola” dell'ecologia sì...

Ma allora i danni perpetrati più o meno volontariamente dall'uomo sull'ambiente autoctono? Le rane toro in Australia, l'invasione dell'ailanto, malattie e parassiti prima sconosciuti approdati in zone remote attraverso il commercio e i trasporti o le famigerate “limacce killer-slug” (vero flagello dell'orticoltore, emigrate clandestinamente nel terriccio di roseti spediti in tutto il mondo per valorizzare i giardinetti della villette suburbane) sono danni reali non opinabili.

 

Si potrebbe rispondere che la Natura è una realtà mobile: persino nel peggiore dei deserti non c'è un giorno uguale all'altro, la vita si muove, striscia, vola, a volte distrugge ma tendenzialmente per ricostruire. Ma questa non può essere una risposta valida o, quantomeno, non è sufficiente.

 

 

mais
Il mais comune non compare nella lista delle 100 specie aliene più pericolose ma, per assurdo, è una di quelle che ha fatto più danni
Facciamo un passo indietro. La Naturalità è categorizzata dall'uomo: nessuna pianta o animale discerne consapevolmente tra naturale ed artificiale. Per fare questa categorizzazione applichiamo una serie di valori in “retrospettiva”: ciò che era prima che arrivasse il clandestino. E qui ci si scontra con il primo problema. La natura lavora in evoluzione (verso il futuro), l'uomo sull'esperienza (ciò che è stato). È evidente come sia reale il rischio di una lettura “statica” di ciò che ci circonda.

 

 

Come se non bastasse, anche con le migliori intenzioni, la lettura di ciò che è naturale e autoctono e di ciò che è clandestino e infestante è spesso antropocentricamente utilitaristica. Uno dei “clandestini” più temuti e riconosciuti nell'orto è la Phytophtora infestans, famosa per aver devastato interi raccolti di patate tanto da creare situazioni estreme come la carestia in Irlanda e l'omicidio di un presidente a Dallas. Difficilmente, però, considereremo “clandestino” Zea Mais (il mais comune) eppure, per permetterne lo sviluppo, intere foreste native e acquitrini, veri tesori di “biodiversità”, sono stati spazzati via. Zea Mais non compare nella lista delle 100 specie aliene più pericolose ma, per assurdo, è una di quelle che ha fatto più danni...

 

E qui ci scontriamo con una serie di compartimentazioni che di volta in volta vengono applicate nella difficile definizione di “natura” e “biodiversità”. Come già detto, tendenzialmente cancelliamo dalla nostra lettura ciò che scegliamo per opportunità, quindi il mais va bene, l'ailanto no. Poi, tendiamo a distinguere tra naturale ed artificiale. Il miele rigurgitato dalle api dopo una complessa elaborazione del nettare è, in questa generalizzata accezione, naturale. Il vialetto in asfalto davanti alla villetta è artificiale.

In realtà, entrambi sono il prodotto di forme di vita generatesi attraverso percorsi evolutivi di milioni di anni. Le nostre città, le nostre tecnologie (OGM compresi) sono l'equivalente delle colonne create dalle termiti, i nidi degli uccelli, i favi delle già menzionate api.

 

 

biodiversità
In quanto parte della biodiversità, siamo soggetti ad una basilare e semplice legge che, tra le altre cose, prevede che anche noi, in quanto genere umano, possiamo estinguerci.
Condannare o abbracciare “l'artificiale” in maniera acritica non può sicuramente aiutarci a risolvere molti dei problemi legati all'ambiente e allo sviluppo. Rimanere bloccati in questa logica aiuta sicuramente ad individuare colpe e colpevoli (e stimola il nostro gusto alla “cronaca nera” con storie di cozze nascoste in paratie di navi, parassiti saldamente ancorati ad aerei di linea e sciocchi nostalgici che trasbordano animali ai quattro angoli del globo) ma non contribuisce particolarmente alla ricerca delle soluzioni oltre a escluderci, ingiustamente, dai processi evolutivi: in quanto appartenenti al mondo naturale e, in quanto parte della biodiversità, siamo soggetti ad una basilare e semplice legge che, tra le altre cose, prevede che anche noi, in quanto genere umano, possiamo estinguerci.

 

 

Non apprezzo molto le teorie Gaiane di Lovelock ma ho sempre trovato molto calzante la frase di Lynn Margulis : “Earth is a thought bitch” (La terra è una vecchia cagna), intendendo con questo che, qualsiasi cosa noi si faccia, alla fine chi vince è comunque la natura.

Vincerà a nostre spese o ci sapremo schierare dalla parte destinata a vincere? Tutto dipende da questo.

 

Consideriamo inoltre lo sviluppo delle specie invasive alloctone. Spesso e volentieri si insediano in ambienti già precedentemente “disturbati”. Pensiamo all'ailanto incuneato tra le crepe del cemento cittadino, le gaggie sui terrapieni delle autostrade, le nutrie nelle canalizzazioni irrigue o le cozze nelle condutture degli scarichi urbani.

 

 

natura
La natura è intorno a noi, continuamente, e reclama la sua stessa sopravvivenza
A questo abbiniamo alcune delle funzioni specifiche di questi “alieni”: la gaggia è un potente azoto fissatore in grado di ristabilire terreni resi sterili da pesanti lavorazioni, le cozze sono filtri naturali in grado di bloccare quantità incredibili di inquinanti. Persino l'ailanto (pianta per molti versi, ma tutti umani, esecrabile) svolge la sua funzione di ripristino della materia organica nel suolo.

 

Il risultato apparente è quello di una “reazione”, una risposta che la natura dà all'operato umano basato sulla dicotomia artificiale-naturale.

 

Sono convinto che l'ecologia della preservazione e della conservazione non sia più una scelta possibile. Non possiamo più limitarci alla semplice creazione di “riserve naturali”. La natura è intorno a noi, continuamente, e reclama la sua stessa sopravvivenza. Continuando a considerarla qualcosa di altro da noi, e quindi, maltrattandola o idolatrandola, non otterremo altro che isolarci nei nostri singoli comportamenti, chiusi nel percorso tracciato dall'evoluzione inconsapevole del genere umano.

 

La vera sfida sta nell'iniziare a guardare il mondo considerandoci, nuovamente, parte di esso. Anche le nostre città, i nostri balconi, le strade e, poi, i nostri orti.

Forse, così facendo, attraverso una nuova coscienza, la smetteremo di “vomitare cemento” ed inizieremo a “rigurgitare miele”. Infondo, visti da molto lontano, non siamo altro che uno dei tanti insettini brulicanti sulla faccia della terra.

 

Questo articolo nasce dalla lettura di scritti di altre persone ed amici. Grazie quindi a

 

 

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