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Contro i diritti umani. Perché la pretesa che altri popoli rispettino i diritti umani è imperialismo

di Stefano D’Andrea - 15/09/2009

Fonte: appelloalpopolo

Contro i diritti umani. Perché la pretesa che altri popoli rispettino i “diritti umani” è un atteggiamento imperialistico, tra l’altro estremamente presuntuoso.

         
           Sebbene la formula “diritti umani” abbia un significato non univoco e anzi molto controverso, è sempre difficile contestare la formula senza incorrere nella obiezione che chi è contro i diritti umani è per un diritto non umano o inumano.

           Noi intendiamo, tuttavia, argomentare che il concetto di “diritti umani”  deve essere bandito, nella speranza che la forza politica che prima o poi dovrà sfidare il “partito unico delle due coalizioni”  non soltanto faccia a meno del concetto, bensì possegga tutto l’arsenale critico contro di esso.

           La critica del concetto di diritti umani si svolge attraverso cinque passaggi.

           1. In primo luogo, i “diritti umani” non hanno alcun rilievo, logico, prima che giuridico e politico, per chi sia fedele a una concezione strettamente positivistica del diritto, secondo la quale il diritto è soltanto quello posto dall’uomo. Secondo la concezione positivistica, nessun diritto si impone all’uomo, perché derivante da Dio, dalla natura o dalla ragione. È diritto soltanto ciò che l’uomo pone come tale (e purtroppo tutto ciò che l’uomo pone come diritto), sicché nessun diritto è universale, bensì ciascun diritto è sempre e necessariamente relativo e particolare: vige perché in un certo luogo e in un certo tempo coloro che hanno l’autorità di emanare il diritto lo hanno previsto. In altro luogo e, eventualmente, dopo quel tempo, il diritto non sarà vigente o potrebbe non essere vigente. Segue che non si lotta per ottenere “il riconoscimento dei diritti” (il riconoscimento è compito dei Tribunali, non dei Parlamenti) ma per ottenere la conquista o l’attribuzione della titolarità di un diritto, ossia di una possibilità giuridicamente tutelata. È la “lotta per il diritto”.

           Se il diritto è positivo (ossia diritto posto dall’uomo) e nient’altro che diritto positivo, allora esso è anche relativo. Un diritto è concesso da un ordinamento; mentre un altro ordinamento non attribuisce quel diritto. Un diritto è attribuito oggi da un ordinamento che ieri non lo prevedeva e verrà meno in forza di una norma abrogativa che sarà emanata domani.

           2. Se si è disposti a superare la barriera del positivismo giuridico, si avrà comunque l’onere di allegare il fondamento dei diritti umani: da dove deriva la loro universalità?

           Si può anche ammettere – ma in realtà il tema andrebbe indagato a fondo – che all’interno di una religione o di una antica cultura tradizionale o di una determinata concezione razionalistica – e già abbiamo specificato di una “determinata” concezione razionalistica e non di qualsiasi concezione razionalistica – sia dato dedurre dal sommo principio un complesso di diritti “naturali”, che all’uomo non possono essere tolti. Ma si tratterà pur sempre di diritti umani relativi agli appartenenti a quella religione, a quella cultura, a quella concezione razionalistica e non di diritti universali.

           Così, un’antica cultura muoverà dal presupposto che la terra appartiene all’uomo; e un’altra dal presupposto che l’uomo appartiene alla terra. Presupposti antitetici e inconciliabili che impongono di escludere che il diritto di proprietà su un pezzo di terra sia oggetto di un diritto umano universale.

           L’unico criterio per fondare (la universalità  de) i diritti umani, sarebbe la storia. E quest’ultima dimostra che nessun diritto soggettivo è universale, nel senso che è stato previsto in ogni luogo e in ogni tempo. E addirittura nemmeno il concetto di diritto soggettivo è universale.

           In proposito, il più importante studioso italiano della materia ha chiarito che “la teoria e la pratica dei diritti soggettivi e dello Stato di diritto è priva di qualsiasi fondamento “universale”. È una vicenda sviluppatasi in una particolare fase storica, in una parte dell’Europa, in seguito a grandi tensioni e conflitti politici e sociali. (I diritti sono strettamente legati al conflitto e alla lotta politica). In particolare il mondo islamico, le culture religiose indiane e la millenaria tradizione cinese-confuciana sono profondamente estranee alla dottrina occidentale dei diritti soggettivi e dello Stato di diritto. Pretendere che il mondo intero riconosca l’universalità dei diritti soggettivi e delle forme istituzionali dello Stato di diritto – Costituzione rigida, Corte costituzionale, divisione dei poteri, principio di legalità, etc. – è un vero e proprio imperialismo culturale” (Intervista a Danilo Zolo, I Filosofi e la politica/6, di Giorgio Fazio e Ilario Belloni, in www.giornaledifilosofia.net).

           Naturalmente non intendo asserire che noi europei dobbiamo imparare dai popoli del Sud Est asiatico o del Sud America; bensì che ogni popolo deve essere lasciato di vivere secundum iuxta propria principia.

           3. Inoltre, anche a sorvolare sulla precedente obiezione, che invero è insuperabile, relativa alla impossibilità di rinvenire un fondamento universale – senza il quale i diritti umani non hanno e non possono avere alcuna ragion d’essere – e anche ad accettare, quindi, che comunque sussista un nocciolo duro, più o meno ampio, di diritti che sogliono essere qualificati come diritti umani, restano altre obiezioni.

           In particolare, una terza obiezione riguarda la pretesa gerarchia tra “diritti umani”. Le situazioni storiche – materiali, culturali, religiose – in cui si trova a vivere un popolo potrebbero porre un problema di priorità. Nel senso che la classe dirigente di una nazione potrebbe trovarsi nella necessità o avere più semplicemente la volontà di scegliere – in considerazione delle scarse risorse, delle richieste provenienti dalle parti della popolazione che hanno espresso quella classe dirigente, della cultura tradizionale di quel popolo, nonché di altri fattori – se prevedere e rendere effettiva prima la tutela di un “diritto umano” e soltanto successivamente, magari a distanza di anni – le storie dei popoli sono secolari – prevedere e rendere effettiva la tutela di altro “diritto umano” o viceversa.

           Infatti, una certa e diffusa tradizione europea suole distinguere tra diritti umani di prima generazione (libertà dinanzi alle quali stanno doveri di non fare degli Stati) e diritti umani di seconda generazione (diritti dinanzi ai quali si trovano doveri di fare dello stato). A queste due prime generazioni se ne vanno aggiungendo, con il tempo, altre. Secondo taluni saremmo già alla quarta generazione. La terza e la quarta generazione di diritti umani sarebbe relativa a temi “moderni”, come l’ambiente e la bioetica.

           Questa classificazione, e altre simili, dimostrano già di per sé  come la categoria dei diritti umani, lungi dal designare esigenze e valori avvertiti in ogni tempo e in ogni luogo, sia legata, oltre che alla cultura dei popoli (che possono anche disinteressarsi alla categoria) allo sviluppo delle forze produttive (emersione della seconda generazione) e della tecnica (terza e quarta generazione), la quale pone problemi che, lungi da essere avvertiti in tutti i tempi e in tutti i luoghi, sorgono soltanto là dove si siano verificate determinate condizioni storiche e siano state acquisite capacità tecniche (di inquinare, di fecondare artificialmente, di manipolare i geni, e così via).

           Comunque, è certo che quelle classificazioni rischiano di essere graduatorie gerarchiche dei diritti umani, con la conseguente pretesa imperialistica che anche altri popoli, estranei alla tradizione europea, seguano il nostro cammino e quindi provvedano dapprima a tutelare i diritti di prima generazione; poi quelli di seconda; e così via.

           4. In quarto luogo, accanto ai problemi di gerarchia o di priorità si pone il problema del possibile conflitto tra cosiddetti diritti umani e diritti dei popoli o diritti collettivi. Infatti, la categoria dei diritti umani potrebbe non tener conto delle esigenze e della volontà di alcuni popoli, usciti tardi dal colonialismo e/o soggetti a nuove forme di colonialismo (neocolonialismo), di porre la liberazione dai vincoli imposti dalle nazioni che li dominano come prima e fondamentale esigenza nazionale. Per esempio sfuggire alle pretese volte alla diffusione delle coltivazioni intensive provenienti dalle grandi multinazionali che operano nel campo dell’agricoltura e ripristinare o difendere l’autosufficienza alimentare. Qui avremmo, per così dire, diritti “naturali” dei popoli  o “diritti collettivi” che si scontrano con i (pretesi) diritti naturali degli uomini (v. D. Zolo, Tutti gli esseri umani nascono liberi?, Il Manifesto, 9 dicembre 2008; e ID., Chi dice umanità, Torino, 2000, p. 108 s.) .

           Vale la pena di ribadire che non intendo asserire che noi europei dobbiamo imparare dai popoli del Sud Est asiatico o del Sud America; bensì  che ogni popolo deve essere lasciato di vivere secundum iuxta propria principia.

           5. Infine, resta un’altra obiezione che definirei obiezione della presunzione, la quale si lascia riassumere nelle seguenti domande: siete proprio così contenti e felici da avere la volontà di utilizzare il tempo, eventualmente poco, che dedicate alla politica, per il miglioramento (secondo il vostro punto di vista) della vita degli altri popoli? Non vi sembra di essere presuntuosi? Vivete in uno Stato che non ha l’autosufficienza alimentare; i luoghi che abitate sono privi di silenzio; la Scuola e l’Università pubblica sono state devastate e sono tornate ad essere enormemente classiste; i vostri figli frequentano (a pagamento) le scuole calcio e non crescono più sulla strada e nei campetti; alle vostre figlie vengono regalate bambole vestite da prostitute e forse anche voi, su richiesta, avete regalato quelle bambole alle vostre nipotine; un mostruoso meccanismo induce a consumare più di quanto si possiede, fa dimenticare la virtù del risparmio (che, ormai, è addirittura screditato) e crea dipendenza dal consumo e dal credito; alla moderazione salariale si accompagna da lungo tempo la riduzione dei servizi sociali; vengono emanati quasi quotidianamente provvedimenti deprimenti come il “piano casa”; i partiti al potere (governo e opposizione) si autofinanziano e si difendono con le liste bloccate e lo sbarramento del 4%; e si potrebbe continuare all’infinito..

           E in presenza di questa situazione disastrosa avete la presunzione di andare ad aiutare altri popoli? Mi sembra evidente che siete depressi che rimuovono le ragioni della depressione e nascondono, nella volontà di aiutare e di educare altri, la propria assoluta povertà morale.

           ***

           Possiamo, pertanto, tracciare la conclusione.

           A causa della adesione al punto di vista positivistico e, comunque, a causa del carattere indeterminato del significato della locuzione “diritti umani” e, comunque, a causa della impossibilità di tracciare una oggettiva gerarchia o anche soltanto una oggettiva scala di priorità  che dia prevalenza ad uno rispetto ad altro diritto umano e, comunque, a causa della possibilità che le classi dirigenti di uno o altro popolo reputino, per la tradizione o la concreta situazione storica, di dare prevalenza ai “diritti collettivi” rispetto ai diritti individuali e, comunque, a causa della considerazione che la storia di innumerevoli e importanti popoli nemmeno conosce gli istituti del costituzionalismo europeo o occidentale (che quindi sono europei e occidentali e non universali) è puro imperialismo culturale voler imporre (mediante le ONG, le pressioni diplomatiche, la negazione degli “aiuti”  ed altre forme ancora) a popoli dotati di altra storia e altra cultura, la teoria e la pratica dei diritti umani. E sia chiaro che quando discorro di diritti umani mi riferisco anche al diritto di voto e quindi alla democrazia.

           Quando poi addirittura l’occidente pretenda di invadere altri Stati per imporre il rispetto dei diritti umani, l’uso ideologico e imperialistico del concetto è ancora più evidente.

           Infatti, la scelta dello Stato da “educare”, dopo averlo invaso ed averne distrutto le strutture, è arbitraria. Dovrebbe essere evidente a tutti che la scelta di invadere uno Stato avviene sempre per una o altra ragione geopolitica e che la pretesa violazione dei diritti umani da parte dei politici che dirigono quello Stato è soltanto la favola ideologica alla quale gli Stati aggressori ricorrono per giustificare moralmente la loro azione criminale.

           Oltre ad essere espressione di imperialismo, la pretesa che altri popoli rispettino i “diritti umani” è anche estremamente presuntuosa ed esprime la rimozione dei mali che affliggono la società occidentale e, per quanto a noi interessa, quella italiana in particolare: come se, appagati dall’alto livello dei consumi e nonostante l’alto livello di indebitamento (con il quale sosteniamo i consumi) dimenticassimo ogni altra istanza civile e morale.

           La dottrina dei diritti umani, dunque, fa acqua da tutte le parti. È  una ideologia, espressione di pura volontà di potenza ed è  anche sintomo di una malattia dell’anima degli occidentali. Non facciamoci ingannare dalla formula “diritti umani”. In particolare non si facciano ingannare coloro che attendono la costituzione di nuovi partiti alternativi al partito unico delle due coalizioni. Perché quei partiti, come abbiamo già chiarito, non soltanto dovranno fare a meno del concetto, con tutte le conseguenze che ne derivano sotto il profilo della politica internazionale, bensì dovranno possedere tutto l’arsenale critico contro di esso.

           Pensiamo all’Italia. Pensiamo a ricostituire la nostra Repubblica, che è  stata distrutta, negli ultimi venti anni, da classi dirigenti sciagurate, le quali non hanno incontrato l’opposizione del popolo – drogato dalla stampa, dalla televisione, dalla pubblicità, dal consumo e dal credito facile – ma anzi ne hanno avuto il consenso. Pensiamo ai diritti individuali e collettivi sanciti nella nostra Carta Costituzionale. Riaffermiamo il principio della prevalenza della nostra Costituzione rispetto ai trattati europei. Poniamo al primo posto la tutela dell’infanzia (che è tutt’altro dalla infantocrazia che pervade la nostra società). E lasciamo vivere gli altri popoli secondo i principi che essi credono più giusti per sé medesimi.