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Teoria del gioco: relazione Israele-Stati Uniti nell'11/9

di Jeff Gates - 17/09/2009

 

 

 

L’11 settembre, il giorno degli attacchi alle Torri Gemelle, fu chiesto all’ex primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu cosa avrebbe significato questo evento per le relazioni Stati Uniti - Israele. La rapida risposta fu: “E’ un’ottima cosa… Beh, non va bene, ma creerà (per Israele) un’immediata solidarietà”.


Le guerre intelligenti si affidano a modelli matematici per anticipare la reazione del “bersaglio” alle provocazioni messe in atto. Le reazioni diventano quindi prevedibili – entro un’accettabile gamma di possibilità. Quando nel 2005 il matematico israeliano Robert J. Aumann ricevette il Premio Nobel per l’economia, ammise che “l’intera scuola di pensiero sviluppata in Israele ha reso il Paese la principale autorità in questo ambito”.


Con una provocazione ben congegnata la risposta anticipata può addirittura diventare un’arma nell’arsenale dell’agente provocatore. In risposta all’11 settembre, quanto sarebbe difficile prevedere che gli Stati Uniti dispiegherebbero le proprie forze militari per vendicare quell’attacco? Con un’intelligence stabilita, quanto sarebbe difficile reindirizzare quella risposta per intraprendere una guerra in Iraq preparata da tempo – non per gli interessi degli Stati Uniti ma per promuovere l’agenda per il Grande Israele?

La componente emotivamente dolorosa di una provocazione gioca un ruolo fondamentale nella teoria della preparazione della guerra, in cui Israele rappresenta l’autorità. Con l’omicidio teletrasmesso di 3.000 Americani, un sentimento comune di shock, dolore e oltraggio ha reso più facile per i policy makers (coloro che attuano piani politici ed economici, che con le loro opinioni ed azioni decidono il corso degli eventi, ndT) statunitensi credere che un noto malfattore iracheno fosse il responsabile, indipendentemente dai fatti.

Lo spostamento strategico di fatti con convinzioni indotte, a sua volta, richiede un periodo di “preparazione del punto di vista” di modo che “l’obiettivo” riponga la sua fiducia in una finzione preconfezionata. Chi ha indotto l’invasione dell’Iraq nel marzo del 2003 ha cominciato più di un decennio prima “creando trame mentali” e associazioni mentali volte a promuovere l’agenda.

Tra queste trame c’è da sottolineare la pubblicazione di un articolo di Samuel Hutington, professore di Harvard, su Foreign Affairs (rivista statunitense che si occupa di politica internazionale, ndT). Dal momento in cui la sua analisi apparve sotto forma di libro nel 1996 con il titolo di ‘Lo scontro di civiltà’ (‘The clash of civilizations’), più di cento accademie e gruppi di esperti furono pronti a promuoverlo, pre-organizzando un “consenso di scontro” – cinque anni prima dell’11 settembre.

Nel 1996 fu pubblicato anche ‘A clean break: a new strategy for securing the realm’ (cioè Israele) sotto la guida di Richard Perle. Membro del Defense Policy Advisory Board (organismo privato di consulenza statunitense, ndT) dal 1987 ed autoprofessatosi sionista, divenne presidente di tale organo nel 2001.

Come consigliere chiave del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il posto superiore di Perle al Pentagono ha aiutato a gettare le fondamenta per la rimozione di Saddam Hussein come parte di una strategia del Grande Israele, un tema chiave di A clean break – pubblicato cinque anni prima dell’11 settembre.

Un omicidio di massa, articoli, libri, gruppi di pensatori e membri del Pentagono, comunque, non sono sufficienti per gestire le variabili in un modello “probabilistico” di pianificazione della guerra. Sono necessari anche policy makers solidali per dare un’apparenza di legittimità e credibilità a un’operazione giustificata dall’intelligenza stabilita intorno a un’agenda predisposta.

Quel ruolo è stato diligentemente svolto dai senatori John McCain, Joe Lieberman, un sionista ebreo del Connecticut, e Jon Kyl, un sionista cristiano dell’Arizona, con la loro co-sponsorizzazione dell’Atto di liberazione dell’Iraq del 1998. Facendo da eco all’agenda di Tel Aviv in A clean break, il loro progetto ha dato il via ad un’ulteriore trama mentale nell’atteggiamento mentale pubblico richiedendo la rimozione di Saddam Hussein – tra anni prima dell’11 settembre.

La legislazione stanziò anche 97 milioni di dollari, in gran parte per promuovere quell’agenda sionista. Distratto dalle elezioni di medio termine del Congresso e dagli stati d’accusa iniziati in reazione ad un ben calcolato affare presidenziale riguardante l’impiegata del dipartimento interno Monica Lewinsky, Bill Clinton trasformò quell’agenda in legge il 31 ottobre 1998 – cinque anni prima dell’invasione guidata dagli Stati Uniti che avrebbe portato alla rimozione di Saddam Hussein.

Dopo l’11 settembre John McCain e Joe Lieberman divennero inseparabili compagni di viaggio ed irreprensibili sostenitori dell’invasione dell’Iraq. Con un’aria “presidenziale” a bordo della portaerei USS Theodore Roosevelt nel gennaio 2002, McCain preparò un’altra trama chiave agitando un cappello da ammiraglio e proclamando, insieme a Lieberman, “Su Baghdad”.

By way of reception (libro scritto da Victor Ostrovsky e Claire Hoy, ndT)

L’insolenza con cui questa strategia di teoria di gioco andò avanti in piena vista si potrebbe vedere nel comportamento del Deputato del Segretario alla difesa Paul Wolfowitz, un altro membro sionista. Quattro giorni dopo l’11 settembre, in un incontro di capi a Camp David, propose l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti. A quell’epoca l’intelligence non puntava ancora ad un coinvolgimento iracheno e si pensava che Osama bin Laden si nascondesse in una remota regione dell’Afghanistan.

Frustrato per il rifiuto del presidente George H. W. Bush di rimuovere Saddam Hussein durante la guerra del Golfo del 1991, Wolfowitz propose il divieto di sorvolo nel nord dell’Iraq. Dal 2001 il Mossad israeliano aveva agenti al lavoro nella città irachena settentrionale di Mosul. Rapporti dell’intelligence riguardanti legami iracheni con Al Qaeda vennero anche da lì, anche se in seguito si dimostrarono falsi. Mosul emerse nuovamente nel novembre 2004 come centro dell’insurrezione che destabilizzò l’Iraq. Quella reazione precluse l’uscita rapida delle forze di coalizione promessa dalla deposizione in Congresso di Wolfowitz, l’anziano pianificatore della guerra.

La fonte comune dell’intelligence che portò gli Stati Uniti alla guerra in Iraq dev’essere ancora riconosciuta, anche se gli esperti dell’intelligence sono d’accorto nel ritenere che un raggiro di queste dimensioni abbia richiesto un decennio per essere pianificato, rifornito di personale, preconfezionato, orchestrato e, al momento giusto, totalmente coperto. I due leader del rapporto della Commissione dell’11 settembre ammisero che i membri della stessa Commissione impedirono loro di ascoltare testimonianze sull’11 settembre: il rapporto Stati Uniti – Israele.

Le finzioni prese come verità generalmente accettate includevano le armi irachene di distruzione di massa, i legami con Al Qaeda, i laboratori per le armi biologiche e l’acquisto di ossido di uranio dal Niger. In quel momento fu considerato falso solo quest’ultimo fatto, mentre solo dopo l’inizio della guerra si scoprì la falsità degli altri elementi. Un tentativo di coprire la questione dell’ossido di uranio portò guai federali al vice Capo di Stato Maggiore Lewis Libby, un altro importante membro sionista.

La messa in scena basata sul modello della teoria di gioco incluse anche la provocazione israeliana che portò alla seconda Intifada? Un’intifada è un’insurrezione o, letteralmente, un “liberarsi” di un oppressore. La seconda Intifada in Palestina risale al settembre 2000, quando il primo ministro israeliano Ariel Sharon guidò una marcia armata al Monte del Tempio di Gerusalemme – un anno prima dell’11 settembre.

Dopo un anno di calma, alla quale i palestinesi credettero in prospettiva di pace-suicidio, i bombardamenti ricominciarono dopo questa provocazione d’alto profilo. In risposta all’insurrezione, Sharon e Netanyahu commentarono che solo quando gli americani avessero “avvertito il nostro dolore” avrebbero compreso la condizione degli israeliani vittimizzati. Entrambi i leader israeliani suggerirono che quella comune idea (“avvertire il nostro dolore”) avrebbe richiesto negli Stati Uniti un pesante conteggio di 4.500-5.000 americani persi nel terrorismo, la stima iniziale dei morti nelle Torri Gemelle del World Trade Center di New York un anno dopo.

La valchiria americana?

Quando ha successo, lo stato di guerra della teoria di gioco rafforza l’agente provocatore, mentre l’obiettivo viene screditato e svuotato dalla reazione anticipata ad una provocazione ben congegnata. Secondo gli standard della teoria di gioco, l’11 settembre fu un successo strategico perché gli Stati Uniti risultarono irrazionali nella loro reazione – l’invasione all’Iraq – che scatenò un’insurrezione totale con conseguenze devastanti tanto per l’Iraq quanto per gli stessi Stati Uniti.

Quell’insurrezione, a sua volta, fu una reazione facilmente modellata all’invasione di una nazione che a) non ebbe alcun ruolo nella provocazione e b) era risaputamente popolata da tre sette in lotta da tempo, e in cui esisteva una pace instabile mantenuta da un’ex alleato statunitense successivamente tacciato come malfattore. Mentre il costo in termini di sangue e denaro crescevano, gli Stati Uniti erano sempre più coinvolti militarmente, finanziariamente e diplomaticamente.

Arrivato in primo piano “l’obiettivo” (gli Stati Uniti), l’agente provocatore sparì di scena, ma solo dopo aver catalizzato dinamiche che svuotarono costantemente gli Stati Uniti di credibilità, risorse e risolutezza. Questa vittoria “probabilistica” assicurò anche il diffondersi di cinismo, insicurezza, sfiducia e disillusione, oltre ad una declinante capacità di difendere i propri interessi a causa della doppiezza di una teoria di gioco- un nemico di buon senso all’interno.

Nel frattempo il pubblico americano cadde in un regime di tutela, sorveglianza e intimidazione, messi in piazza come sicurezza “nazionale”. Quest’operazione interna mostra anche accenni retorici ad una “patria” da seconda Guerra Mondiale con chiari segni di una forza aliena agli Stati Uniti, con il loro abbraccio di benvenuto di aperto dissenso. Quest’operazione ha l’obiettivo di proteggere gli americani o nascondergli quelle responsabilità per quest’operazione interna?

Manipolando l’opinione comune in materia, gli organizzatori di un’abile guerra di teoria di gioco possono ingaggiare battaglie in piena vista e su vari fronti con risorse minime. Una strategia provata: fingere di essere alleato di una nazione ben armata predisposta a schierare le sue forze militari in risposta ad un omicidio di massa. In questo caso il risultato ha destabilizzato l’Iraq, creando crisi che potrebbero essere sfruttate a vantaggio strategico espandendo il conflitto all’Iran, un altro obiettivo chiave israeliano annunciato in A clean break – sette anni prima dell’invasione dell’Iraq.


Fonte: http://criminalstate.com
Link: http://criminalstate.com/2009/09/what-role-did-the-u-s-israeli-relationship-play-in-9-11/ 11.09.2009

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di AMBRA ROMANAZZI