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Irving e non solo: fra passi avanti e difficoltà

di Claudio Moffa - 17/09/2009

Fonte: articoli 21e33

 

 

Il blog 21 e 33 è fermo da prima dell’estate perché stiamo lavorando ad un vero e proprio sito, passaggio che si rivela più difficile e lento del previsto. Tuttavia nelle ultime settimane sono accaduti almeno tre episodi gravi dal punto di vista o della corretta e libera informazione, o dei principi di libertà di opinione e di insegnamento garantiti dalla nostra Costituzione. Ecco perciò una breve riflessione.

Andiamo in ordine cronologico, cominciando dal caso dell’insegnante friulana balzata agli onori delle cronache il 4 novembre dello scorso anno per aver rifiutato – questa l’accusa – di partecipare a una messa e cerimonie connesse per la celebrazione della “vittoria”. Dieci mesi dopo la stessa insegnante è stata dimessa dal suo incarico e dunque ci si dovrebbe trovare di fronte all’ennesimo caso di fede religiosa e “verità storica” (il giudizio positivo sul grande massacro della I guerra mondiale: una guerra che se non sbagliamo, non dovrebbe piacere troppo non solo alla tradizione pacifista di sinistra e cattolica, ma anche alla Lega) imposte autoritariamente a un cittadino, nel caso specifico una insegnante.

Effetto, l’evento repressivo così letto, della catena perversa delle Leggi Memorialistiche (terrorismo, Muro di Berlino, Auschwitz, etc.) con le quali ogni tendenza ideologica – come abbiamo sottolineato più volte in altri articoli o dibattiti - pretende di imporre la sua verità al cittadino e in particolare a chi, come docente o come studente, fa parte del mondo della scuola.

Senonché sembra che le cose non stiano così: un quotidiano nazionale ha riferito infatti che, alla base del provvedimento c’erano altri motivi, per così dire a tutto campo e di ordinaria amministrazione. Due dunque le versioni possibili: la questione del 4 novembre non c’entra nulla, e allora però non si capisce perché dare così ampio rilievo a una notizia tutto sommato “normale” (una sanzione a una insegnante). Si vuole ventilare una minaccia indiretta, rievocando un aspetto che sarebbe minimale nella vicenda, allo scopo di intimidire altri futuri “disobbedienti”? Seconda ipotesi, il caso opposto: il no alla messa del 4 novembre è stato il vero motivo del provvedimento che viene nascosto – con la complicità distratta o attiva della stampa - “sciogliendolo” in e coprendolo con una problematica normale e più ampia. Queste due ipotesi richiamano alcuni trend tipici della questione, che si ritrovano in tanti episodi e momenti di polemica sulle libertà di opinione: la scorrettezza o la disattenzione della stampa, che invoca libertà di opinione lesa solo in Egitto o in Sudan, o solo quando riguarda i giornalisti del proprio campo di appartenenza; ma anche dall’altra parte una vasta tendenza allarmistica e vittimistica di chi protesta in difesa del “libero pensiero”, e che da una parte profetizza l’ineluttabilità della repressione, dall’altra quasi se ne compiace per nostalgia di un passato totalitario che per fortuna non è più, accompagnato da un disprezzo “radicale” e qualunquista verso la “falsa democrazia”.

Il secondo caso è veramente grave: è quello di una insegnante di Livorno che avrebbe detto in classe – questa una delle accuse – che la religione cristiana è superiore a quella ebraica, condendo questo giudizio con frasi giudicate troppo forti, almeno stando alle dichiarazioni di alcuni studenti. Pare che si ripeta il caso Pallavidini di Torino: Torino è città “azionista”, Livorno è città sede di una importante comunità ebraica. Sta di fatto che ogni docente dovrebbe essere libero di esprimere le proprie opinioni. Certo, delle frasi “forti” non sappiamo, e dunque non possiamo giudicare appieno, anche se in una lezione può sfuggire la frase fuori luogo e non per questo deve scattare il meccanismo dell’Inquisizione del III millennio. Ma che la religione cristiana sia superiore a quella ebraica è un fatto scontato per miliardi di persone, tranne forse per il cardinal Martini e ovviamente - il che è normale – per gli ebrei. Anch’io la penso così: penso cioè che la religione cristiana (se non fosse per la storia dell’altra guancia da offrire: in questo mi sento molto assiro-babilonese e dunque ebreo, sono quasi per la legge del taglione) sia superiore a quella ebraica, e questa superiorità non sta certo nella sua pur sempre discutibile storia, ma nel suo atto di fondazione universalistico, l’ingresso di Paolo di Tarso nel Tempio di Gerusalemme con un gentile incirconciso, “colpa” per la quale venne cacciato dai sacerdoti del Tempio. “Non c’è più giudeo, né greco, né donna né uomo, ma tutti siamo uniti in Gesù Cristo”: questo diceva il fondatore della Chiesa cristiana, San Paolo, al quale Engels paragonò i primi organizzatori del movimento operaio europeo del XIX secolo.

L’insegnante livornese ha sostenuto dunque una tesi assolutamente legittima, eppure è finita sotto processo nell’ambito di quella che sembra una strategia calcolata per far scivolare l’Italia nella “normalità” repressiva europea del mandato di cattura, e delle leggi liberticide di Francia e Germania. C’è qualche intellettuale che ha protestato? Cosa dicono gli Eco e i 280mila firmatari pro Repubblica querelata per diffamazione personale da Berlusconi, in difesa della “libertà di stampa”?

Infine il terzo episodio, anch’esso molto grave. David Irving è invitato da un circolo di destra di Udine, ma comincia il solito tam tam dell’ “indignazione” a senso unico e delle minacce di manifestazioni. E’ un deja vu, il tentativo è una ripetizione della vicenda Faurisson a Teramo – maggio 2007 – finito con una aggressione squadrista contro lo studioso francese. Ma con alcune differenze che vale la pena citare: primo, nel caso di Verona, le forze dell’ordine hanno evidentemente garantito il diritto di parola di Irving e non sono intervenute, come a Teramo, in funzione nei fatti destabilizzante il legittimo tentativo di organizzare una conferenza dello studioso francese nel capoluogo abruzzese; secondo, Irving anche per questo è riuscito a parlare, dopo che anni fa gli era stato addirittura negato l’ ingresso in Italia. Si tratta sicuramente di un passo in avanti sulla via della normalizzazione. Tuttavia pensare in rosa sarebbe eccesso di ottimismo: la verità – vedi non solo il fatto che la conferenza di Irving si è svollta in modo clandestino, manco si trattasse di una cosca mafiosa, ma anche gli altri due episodi – è che la strada da percorrere è ancora lunga e irta di ostacoli. L’Italia, grazie alla parziale depenalizzazione del 2004 della legge Mancino, è una anomalia positiva rispetto a Francia e Germania, ma non è ancora un paese normale dove venga riconosciuto il diritto ad esprimere liberamente le proprie opinioni su quale che sia argomento, e soprattutto su questioni storiografiche. Si chiede troppo, in questi giorni e mesi di sproloqui sulla libertà di stampa, nel rivendicare attenzione su queste libertà, che non riguardano alcuni big del giornalismo ma semplici cittadini o intellettuali historically incorrect?