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Troppo "timido", poco efficace

di Gianfranco La Grassa - 21/09/2009

 

Qualche giorno fa (16 o 17) è uscito un articolo di un certo Lottieri su Il Giornale (vedi allega-to); una colonnina messa in una pagina interna, non molto visibile per un lettore comune. In esso, si prende una posizione in qualche modo dignitosa di fronte alle dichiarazioni del nuovo ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, rilasciate al Corriere della Sera che lo intervistava; dichiarazioni riprese ampiamente dalla stampa filoamericana, e in particolare della sinistra che è – dall’epoca del “colpo di mano” (praticamente “di Stato”) compiuto da “mani pulite” per conto di americani, Confindustria (e finanza), con depredazione della ricchezza nazionale e del settore industriale pubblico decisa sul “Britannia” dagli “antifascisti azionisti”, da sempre (dal luglio del 1943) asserviti agli Usa – la rap-presentante politica di tutti gli ambienti parassitari italiani.
Lottieri giudica del tutto inopportune le dichiarazioni dell’Ambasciatore poiché “è certamente vero che la questione energetica è seria, ma è in primo luogo un problema nostro (corsivo mio)”. Un po’ generico, ma comunque cerca di far capire che gli Usa dovrebbero interessarsi degli “affa-racci loro”. La questione della lotta tra Eni-Gazprom (gasdotto Southstream, con un suo importante ramo nord, in cui c’entrano anche i tedeschi) e il Nabucco (di pieno interesse americano e contro i russi) è in realtà una faccenda che, in effetti, riguarda gli Stati Uniti, poiché è un tassello non indif-ferente della complessa strategia del conflitto geopolitico mondiale e dell’avvicinamento o meno al multipolarismo. Inutile far finta che gli Usa mettono il becco in casa nostra come farebbe una pette-gola “comare” delle commedie goldoniane. Si deve dire con chiarezza quali sono gli interessi in gioco, quali i giocatori e con chi conviene stare per fare i nostri interessi di fondo.
In effetti, la scusa con cui Lottieri cerca di giustificare, in nome degli interessi generali “occi-dentali” (che sono sempre stati guidati dagli Usa fin dal 1945), il nostro rapporto con la Russia, è risibile e insostenibile. Egli scrive che “è interesse dell’Europa [non apprezzo che dimentichi quello decisivo degli Usa; ndr] che si sviluppi il massimo degli scambi con la Russia, perché solo così quel paese può de-soviettizzarsi e smettere di essere un pericolo per la pace”. In questo modo, fa la figu-ra dello scemo e dell’ingenuo (e pure dell’ignorante), cosa che sicuramente non è. Perfino l’Urss (pur dichiarandosi sovietica) non ha in pratica fatto funzionare fin quasi dall’inizio i Soviet. Tutta-via, questo svarione si può perdonare come peccato veniale; parlare però di soviettizzazione nella Russia attuale non può che suscitare ilarità. Ancora più grasse risate scoppiano all’idea che l’“amico” Putin prenda lezioni da Berlusconi in fatto di sedicente “democrazia” occidentale (e ita-liana in specie), che è fra l’altro quella in cui, appunto, sono state consentite sia le devastazioni poli-tiche compiute a suo tempo, in modo extraparlamentare (ed extraelettorale), da “mani pulite” sia quelle di cui Brunetta parla oggi, a mio avviso senza troppo esagerare.   
Si rassegnino gli “occidentali” (tutti, non solo gli italiani); Russia e Cina saranno nuove forma-zioni sociali dove non allignerà la verminosa e falsa democrazia dei nostri paesi, e dell’Italia in spe-cie, per oltre mezzo secolo razziata in lungo e in largo da cosche industrial-finanziarie, divoratrici della ricchezza prodotta da lavoratori (dipendenti e autonomi) e succubi al 100% della superpotenza statunitense. Inoltre, un’Italia che pretenda di “democratizzare” la Russia sarebbe proprio la solita “mosca cocchiera”. Si parli sinceramente al “popolo” e lo si chiami a difendersi da chi veramente lo sta danneggiando; punto e basta! Altrimenti ci si presta alla presa in giro e all’accusa di essere o “farlocchi” o menzogneri.
Non posso poi tacere di un’altra sciocchezza (in realtà un’ulteriore “contorsione”) scritta da Lot-tieri, nel tentativo di non esprimersi chiaramente. Egli cita, per rafforzare le posizioni (timide come detto) assunte nei confronti degli interessi americani (espressi dalle parole del loro nuovo Amba-sciatore in Italia), un economista della prima metà ottocento: Fréderic Bastiat, null’altro che un tipi-co liberista, a mio avviso non particolarmente esaltante come acutezza di intelletto (quello delle ben note Armonie economiche). Liberista per liberista, avrebbe fatto meglio a citare il Ricardo della teo-ria dei costi comparati, fulcro delle successive elaborazioni “scientifiche” (in realtà ben ideologi-che) del “libero commercio internazionale” quale toccasana per il benessere di tutti i paesi del mon-do.
Personalmente, nella prima parte del mio Finanza e poteri (Manifestolibri 2008), ho disquisito invece su un altro autore ottocentesco: List, quello dell’“industria nascente” e della sua protezione temporanea, fino a quando non fosse stato colmato il dislivello rispetto al primo paese industriale, l’Inghilterra, che invece pretendeva il “libero mercato mondiale” per poter assoggettare tutti gli altri paesi alla sua potenza, riducendoli a semplici fornitori di materie prime e agricole. Furono le tesi listiane ad essere di fatto seguite nello zollverein (“Unione doganale” tedesca) del 1834, base per la successiva nascita della Germania (1871) e per il suo rapido rafforzamento mentre l’Inghilterra de-clinava.
Ancora più chiaro l’esempio degli Stati Uniti. La “Confederazione del sud” esigeva il “libero mercato” per poter continuare a vendere il cotone delle sue piantagioni all’industria inglese, impor-tandone i manufatti. L’“Unione” degli Stati nordisti esigeva dazi doganali per sviluppare la sua in-dustria, appunto “nascente”. La lotta per la liberazione degli schiavi fu una bella “trovata” ideologi-ca (magari Lincoln ci credeva veramente) che portò il nord a schiacciare il sud; senza la guerra civi-le (o di secessione) del 1861-65, gli Stati Uniti mai e poi mai sarebbero divenuti la principale poten-za del secolo XX.
Oggi sarebbe senza senso chiedere dazi doganali verso i prodotti dell’ultima ondata innovativa industriale, in cui gli Usa hanno ancora un chiaro vantaggio (tanto meno, però, ha senso mettere da-zi sui tessuti e i giocattoli cinesi). Inoltre, nessuno s’illude che l’Italia possa ricoprire il ruolo della Germania e degli Usa di allora. Tuttavia, occorrono politiche svincolate da quella che si presenta come tesi scientifica ed è invece pura ideologia liberista. Non esiste, se non nelle illusioni (più spesso nelle menzogne) di economisti asserviti ai dominanti mondiali, la libera competizione mer-cantile su scala globale. Occorre che ci sia dietro una politica. Intanto, nel senso di una politica eco-nomica che la smetta di favorire, con incentivi e finanziamenti di sostegno (puramente drogato), i vecchi settori maturi, con bassi margini di profitto e di potenzialità; e che invece punti con decisio-ne su settori o altamente innovativi o strategici come sono ad esempio quelli energetici. Tanto più che la “bufala” delle energie alternative, sostitutive a breve termine, è finalmente sbugiardata. Solo gli scervellati non sanno che, come minimo fino al 2030 (ma anche più), sarà sempre fondamentale l’energia da idrocarburi (con grande sviluppo del gas).
Altrimenti, tutti quelli che si stanno “scannando” sui progetti Eni-Gazprom o il Nabucco (in “o-dore di santità” presso gli Stati Uniti) sarebbero dei pazzi. Invece sanno bene quello che fanno (e anche Lottieri credo lo sappia bene!). Basta quindi con i finanziamenti alla Fiat e sostegno sempre maggiore (politico più ancora che economico) all’Eni (e a Finmeccanica, Enel, ecc.). E’ su questo punto che gli americani – con le loro rappresentanze nelle scalcagnate forze politiche – vorrebbero scardinare gli assetti in Italia. Lo “scatenato” Brunetta (che smaschera parte dei disegni della sini-stra filoamericana italiana) sta solo dicendo quanto scrissi (con Preve) nel 1995 (Il teatro dell’assurdo), illustrando con chiarezza che cos’era “mani pulite”, preceduta dalla famosa riunione sul panfilo “Britannia”, ecc. ecc. Temi ripresi continuamente dal blog. Solo che noi, a differenza di Brunetta (per non parlare del “timido” Lottieri), riveliamo pure senza tanti veli che, dietro a queste meschine forze politiche, si muovono i nuovi “junker tedeschi” (o “proprietari di piantagioni di co-tone sudisti”): cioè la Fiat e i vertici confindustriali, più la finanza italiana di tipo “weimariano”.
La scusa di questi parassiti – che fino a ieri inneggiavano appunto al liberismo e oggi ricomin-ciano a voler “socializzare le perdite” divorando risorse produttive del paese da indirizzarsi invece assai meglio – è che l’occupazione ne risentirebbe; in particolare, per ogni lavoratore Fiat licenzia-to, altri potrebbero perdere il posto nell’indotto. Allora, finanziamo soprattutto il settore immobilia-re, che in ogni dove rappresenta un quota notevolissima del Pil, e muove un indotto numeroso e di estrema varietà di mestieri. E’ evidente che, se si pensa non all’immediato ma al lungo periodo di una strategia di sviluppo, è necessario incrementare i settori di punta (innovativi o di grande rile-vanza per il peso politico del paese, come lo sono quelli energetici).
Solo conquistando migliori posizioni, alla fine si incrementa anche l’occupazione e si innalzano i redditi. Certamente soprattutto i profitti. Tuttavia, alla faccia dei “rivoluzionari da operetta”, fin-tanto che non si sarà trovata la ricetta per trasformare l’attuale sistema sociale – e a 160 anni dal Manifesto del partito comunista, a 140 dalle pagine dell’ultimo paragrafo del capitolo sull’accumulazione originaria (certi illusi se le rileggano bene, anche se temo il loro cervello sia poco allenato a capire quanto vi è scritto), non vi è in proposito alcuna idea alternativa men che fan-tasiosa – sarà bene, se non ci si vuol alienare le simpatie di chi mangia se lavora (quindi non certo i politici), agire al fine di potenziare i settori effettivamente produttivi e, soprattutto, fondamentali per conquistare nuove aree di influenza e di “alleanza”.
La linea politica è ormai tracciata all’ingrosso; non ci facciamo illusioni su chi ha oggi in mano il bandolo della matassa. Sappiamo perfettamente che sono tutti della stessa (pessima) pasta. Questo è però sul tappeto. Non interloquiremo più con chi insiste a sognare. Sognate vecchi “compagni”, e continuate a seguire gli sciacalli che chiedono il vostro voto per poter vivere di politicantismo di infimo genere. Noi ci interessiamo di tutt’altre cose, della lotta tra i “banditi” che comandano nel mondo e se lo contendono.