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F.I.L. (Felicità Interna Lorda)

di Mario Grossi - 21/09/2009

smile_fondo-magazineI Francesi mi ispirano sentimenti simili a quelli che provo per gli Americani. Li trovo antipatici. Hanno importato dall’altra sponda dell’oceano una concezione della modernità che io giudico distorta, introiettandola a tal punto da essere stati appellati da qualcuno “Yankees d’Europa”. In realtà, mi sembra che si sentano gli inventori della modernità. Forse perché sono i pronipoti della Rivoluzione Francese, forse solo perché hanno sufficiente spocchia per considerarsi sempre e comunque i primi della classe. Qualcuno mi fa notare che questo atteggiamento un po’ supponente, fatto di affettata arroganza, è tipico dei Parigini, mentre la provincia, il profondo nord bretone ed il profondo sud mediterraneo, nulla hanno di arrogante e supponente. È per questo, che, con il mio solito illogico ragionare, mi sono messo in testa di leggere l’opera omnia di Simenon (che francese non era) per trovare spunti che mi convincano di questa diversità della provincia.

Sta di fatto che quando Sarkozy, con il ditino alzato e con a fianco la supponenza fatta persona, l’italianissima Carla, trasformata in Carlà, ha dichiarato che suo prossimo compito presidenziale, lui primo nel mondo, sarà quello di promuovere la sostituzione del PIL, parametro vetusto, con il FIL., ho sobbalzato sulla sedia e la mia antipatia per i Francesi è dilagata a dismisura.

Sarkozy francese, se vogliamo neanche di origini autoctone, si stava comportando da perfetto Parigino: puzza sotto il naso, sopracciglio alzato, supponenza alle stelle, dichiarazioni presuntuose e naturalmente false. Qualche politico gonzo qui da noi ha subito fatto rimbalzare la proposta, descrivendola come un nuovo orizzonte da percorrere sulla scia della modernissima Francia, ammaliato da tanto charme transalpino.

Meno male che c’è il Buthan, ho pensato, e il suo re Jigme Singye Wangchuk che già nel 1972, sbeffeggiato da tutti, ideò il concetto di FIL sostenendo che “la felicità interna lorda è più importante del prodotto interno lordo”. Nel suo bizzarro modo di intendere le cose, il FIL (che gli anglofoni chiamano Gnh, Gross National happiness) rappresenta un indice alternativo al PIL, fin qui da tutti utilizzato, per misurare il grado di benessere di una nazione.

Il FIL, come ormai tutti sanno, visto che quell’idea ritenuta bislacca del re butanese è oggi oggetto di studio accademico meno diffuso di quanto si creda, non si limita a valutare il livello di reddito (e di consumo) di una nazione, ma introduce una serie di parametri che lo affiancano arricchendolo, come il livello d’istruzione, l’accesso all’acqua potabile, la sanità gratuita, la percentuale di persone che usufruiscono del sistema fognario, l’aspettativa di vita, la qualità dell’ambiente, il tasso di criminalità. Tutto questo sembrerebbe ovvio, visto che, non necessariamente, un aumento del reddito costituisce di per sé un miglioramento della qualità della vita.

A me pare evidente che se ottengo un aumento di stipendio anche cospicuo in una nazione ad alto tasso di criminalità e sono costretto, per non essere derubato, a utilizzarlo per acquistare nuovi sistemi di allarme per la mia casa o se devo assoldare dei vigilantes per non essere rapinato, la qualità della mia vita peggiora e non migliora a fronte del suddetto aumento delle mie condizioni economiche.

Ma non è questo il motivo, pur rilevante, che mi ha trasformato in un silente paladino del FIL e in un acerrimo nemico del PIL. Esiste un motivo fondamentale che mi fa odiare il PIL. La mia avversione per ogni totalitarismo. Il PIL è un parametro di valutazione totalitario, frutto di un’ideologia totalitaria, che ha come obiettivo la riduzione del molteplice a un unico deprimente.

Se il comunismo riduce, in estrema e approssimativa sintesi, tutto il genere umano alla sola dimensione di classe, se il nazismo riduce tutto il genere umano alla sola dimensione di razza, se il capitalismo riduce tutto il genere umano alla sola dimensione del consumatore, se il cattolicesimo (ma anche l’Islam) riduce tutto il genere umano alla sola dimensione del fedele, il PIL riconduce la figura umana a un’unica dimensione, quella economica, che, parte di un tutto, si fa criminalmente il tutto. In questo senso, nella riduzione a un’unica dimensione, tutte queste ideologie o religioni sono forme (diverse e, più o meno, invasive) di totalitarismo. Ad avvalorare questa comunanza è la costatazione che tutte quante utilizzano uno strumento comune di convincimento che si fa coercizione: il proselitismo che spesso diventa adesione coatta. Nel caso specifico del capitalismo e del PIL suo braccio armato con la pubblicità e con la colonizzazione del nostro immaginario.

È per questo che, da tempo, mi sono convinto che lottare per introdurre il FIL sia l’unico modo incruento per opporsi al totalitarismo, nella sua espressione più pericolosa: il pensiero unico. Ma è a questo punto che nascono i problemi. Quali sono i parametri che determinano un paniere che fotografi lo stato di benessere rappresentativo per tutti (o almeno per i più)? Pare che il re del Buthan abbia indetto una sorta di sondaggio tra i suoi sudditi, sottoponendogli un complesso questionario, per capire che cosa fosse veramente importante per loro e componendo poi il paniere in funzione delle risposte.

In Italia, mi sono domandato, se domani fosse indetto un sondaggio ci troveremmo sommersi da parametri che segnerebbero la nostra dannazione. È noto che il nostro immaginario è colmo di una mitologia fatta di auto di grandi cilindrata, di shopping forsennato e compulsivo, di veline, di reality, di seconde case che hanno cementificato i litorali, di un crescente rumore di fondo fatto di schiamazzi fastidiosi, di prestazioni di ogni genere: lavorative, sessuali, sportive esaltate dalla chimica. Non mi stupirei che la fotografia fosse quella di una nazione che si reputa felice solo di fronte ad una crescita di questo tipo.

Mi resi conto di quanto, queste mie opinioni, fossero distanti dal comune sentire e intrise di un moralismo ecologista e snob quando, in vacanza in uno sperduto paesino delle Dolomiti, dialogando con i giovani gestori della pensione in cui albergavo, indicai come una fortuna, il vivere in un luogo così ameno e lontano da tanto clamore cittadino. I due ragazzi, mi impartirono una educata lezione che annichilì il mio snobismo. Mi dissero che loro, immersi in quel bucolico paradiso, preferivano passare le vacanze a Rimini dove potevano finalmente trovare la loro felicità fatta di discoteche, rumore, balli, bevute, notti insonni e trasgressive, bolidi rombanti.

La difficoltà nell’introdurre il FIL credo che stia in parte qui. Definire che cosa sia benessere e qualità della vita. Alcuni di questi parametri sono catalogabili: la sanità gratuita, il livello di scolarizzazione, la qualità dell’ambiente, il livello di traffico, l’inquinamento acustico, il livello di riciclo dei rifiuti possono facilmente essere valutati anche quantitativamente, ma per il mio modo di pensare non bastano. Faccio un esempio che per me complica notevolmente la faccenda. La questione del tempo libero. Un parametro, spesso sbandierato, è quello che misura il benessere di una persona nella quantità di tempo libero disponibile. Giustissimo, ma per farci cosa? Quello che meglio ci aggrada è la risposta.

Ma, dico io, se la nostra mente è colonizzata interamente dal circolo vizioso del produttore/consumatore, il tempo libero sarà sempre destinato all’acquisto, che comporta coattamente un livello di reddito congruo a supportarlo. E se si rimane avvolti dalle spire della filosofia degli indici produttivi, che devono sempre indefinitamente crescere, bisognerà anche di conseguenza aumentare il livello di consumo, rimanendo incatenati al lavorare di più, per guadagnare di più, per spendere consumando di più.

Ecco dunque che l’introduzione del FIL non può essere né automatica, né indolore. Deve essere preceduta da una decolonizzazione delle nostre menti. Bisogna insomma smontare prima o di pari passo il pensiero unico che ci governa, introducendo prospettive diverse. Bisogna pubblicizzare, credendoci, stili e modi di vita diversi che poi si tradurranno in un efficace paniere che misurerà correttamente il livello di benessere.

Non credo che questo sia impossibile. La recente crisi mondiale ci ha costretti a vari ripensamenti ed esempi di riconversione proposti si sono già visti. Un esempio modestissimo può essere rappresentato dall’introduzione di automobili di piccola cilindrata negli USA che dovrebbero sostituire i micidiali SUV, enormi e inutili carrozzoni mangia energia. Bisogna convincerci che è “cool” il veicolo micro. Siamo dei fighi se lo scegliamo, abbandonando la correlazione tutta maschia che le dimensioni della nostra virilità nascosta nei pantaloni siano misurate dalle dimensioni dell’auto che guidiamo. È un processo di riconversione mentale, lento, difficile ma non impossibile che penso sia il caso di intraprendere a sostegno delle campagne che promuovono l’introduzione del FIL.

Sarebbe un bell’esercizio scolastico far compilare agli studenti una lista che descriva quali sono i parametri che misurano il benessere o la felicità e poi discuterla tra professori e alunni. I Comuni potrebbero indire dei concorsi e delle pubbliche assise per trattare il problema. Sempre meglio di un tema sulla Resistenza o un concorso di Miss Italia.

Io nella mia lista di parametri da inserire metterei il livello di accoglienza per il viandante composta da una serie di sottoparametri. Numero di fontanelle che erogano gratuitamente acqua potabile. Numero di posti letto a disposizione. Quantità d’ombra disponibile, misurata come numero d’alberi presenti nella città, dimensione del fogliame e tipo di potatura, ritenendo barbaro e incivile che un nostro fratello vegetale venga insultato con tagli che riducono la chioma ad un pennacchio ridicolo ed inutile.

Poi inserirei la quantità di notte disponibile e il livello di buio notturno, ritenendo un omicidio la scomparsa della notte e del buio. Senza considerare che un aumento del buio, ottenuto grazie ad un minor numero d’insegne luminose e attraverso una minore illuminazione stradale notturna sia anche un risparmio ingente di energia. E sotto questo punto di vista gli Usa si scoprirebbero paese incivilissimo, mentre la Tunisia o la Grecia paesi guida.

Forse sono i pensieri di un bieco moralista, forse quelli di uno snob, forse quelli di un criptoreazionario. Fate voi.

Ma voi che cosa ci mettereste nella lista?

 

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