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Tutti a casa

di Stefano Natalicchi - 24/09/2009

 

 
Tutti a casa
 

La caccia ai responsabili per la morte dei soldati italiani, è divenuta occasione di bisticci politici. La presenza dell’esercito italiano nelle missioni di ‘’polizia internazionale’’, non risponde a una ragionevole politica nazionale. E’ giusto inviare truppe di pace in territori di guerra? E’ giusto esporre i nostri soldati agli agguati del ‘’nemico’’ e nello stesso tempo evitare che si comportino come forze combattenti? E’ impossibile. La presenza italiana non ha più nessuna logica se non quella di aiutare gli americani a sbrogliare una matassa che la frettolosa guerra di Bush ha reso particolarmente intrigata. Gli americani con la kappa, la chiamano “guerra giusta”, come quella in Vietnam e in Corea. Per quanto tempo ancora continueremo a vedere il ritorno dei nostri caduti, avvolti da un tricolore in lutto, in nome del lodo Alfano, della disoccupazione, del precariato e della povertà? I nostri ragazzi muoiono perché è normale che in una guerra ci siano dei caduti. L’Italia che nella sua costituzione dichiara di ripudiare la guerra, continua ipocritamente a foraggiare la partecipazione alle invasioni atlantiche, a fianco dell’impero amerikano. E’ triste veder morire tanti giovani nell’esercizio del proprio dovere, per una guerra che non gli appartiene. Viviamo tempi talmente confusi e tumultuosi, in cui il prestigio internazionale viene misurato dalla capacità di partecipare a un’operazione militare. Questo, è il prezzo che un Paese deve pagare per avere un rango internazionale, pari alle sue ambizioni. Lo stivale, ha fatto quello che hanno fatto gli altri paesi, ma nel nostro caso e quello della Germania, essendo due nazioni sconfitte nella seconda guerra mondiale, emergono peculiarità che condizionano in negativo la politica dei governi. Se austriaci e tedeschi venivano considerati eserciti invasori, non vedo perché i nostri soldati da altri popoli non debbano essere considerati tali. Che differenza c’è fra i patrioti partigiani e quelli iracheni o afghani? Lì la vita è dura e la ferocia è illimitata, si predica secondo riti a noi incomprensibili. Contrastare l’estremismo islamico, richiede più di un approccio militare convenzionale. Nell’Islam la sicurezza è la preoccupazione principale a cominciare dalla legittimità dei governi. La politica ha inviato truppe di pace in teatri di guerra, suscitando interrogativi inquietanti nell’ opinione pubblica.
L’ambiguità offende il Paese e la Costituzione. In Spagna e in Gran Bretagna sono nati dei movimenti popolari per il rimpatrio dei soldati. Analoghi sentimenti, stanno nascendo anche da noi, da parte di alcune personalità politiche e di un opinione pubblica sempre più scettica. E’ bene riconsiderare le finalità della presenza della Nato e quali prospettive di successo presenti la strada intrapresa. Non vi è alternativa alla definizione di una strategia
d’uscita, ma adesso sarebbe sconveniente abbandonare da soli la scena di guerra. Quante prove dovremo superare ancora, quante sconfitte dovremo subire per giungere a questa conclusione? La batosta subita dalla Russia in Afghanistan insegna. Ai costi umani, vanno aggiunti quelli in denaro, che potrebbe essere speso per disoccupati e pensionati al minimo. Il buon senso e la buona fede, dovrebbero viaggiare paralleli verso il ritiro. Il trapianto della democrazia in territori aridi, è fallito. Tutti a casa.