Il nome Tuva, in occidente, non dice più di tanto: è il paradiso naturale della Siberia meridionale dove Vladimir Putin si fa fotografare d’estate durante partite di pesca sulle rive di torrenti di primordiale bellezza. Patria di nomadi sciamani e cantanti-pastori, che conducono al pascolo le mandrie con la forza del canto diplofonico (due voci, una alta e l’altra bassa, emesse contemporaneamente) ora Tuva è la regione che ha detto no al treno che la collegherebbe al resto della Russia: vantaggi economici garantiti, che metterebbero però a rischio l’integrità di una delle terre più incontaminate del mondo e il suo straordinario patrimonio culturale.

«All’inizio ci sarà sicuramente un beneficio economico dato dall’apertura di un nuovo mercato», ha dichiarato alla Bbc il ministro del lavoro tuvano, Cash-ool Sergheevic. «Ma per quanto riguarda l’aspetto sociale e culturale, questa ferrovia potrebbe colpirci negativamente». Mentre nel resto del mondo si discute su come saranno i prossimi modelli di computer e telefonia mobile, scrive Pablo Trincia su “La Stampa”, a Tuva ci si chiede se sia davvero il caso di costruire i 415 chilometri della ferrovia Kuragino-Kyzyl, progettata da alcuni anni per collegare la capitale (Kyzyl) con la vicina regione di Krasnoyarsk.
«Chiedete a un tuvano di evocare uno spirito, di cantare emettendo impossibili suoni gutturali con la laringe o di piantare una tenda addobbata in una pianura spoglia e spazzata da venti gelidi, e molto probabilmente vi risponderà che non c’è problema», osserva il giornalista del quotidiano torinese. «Ma proponetegli di far passare un binario e un treno nella terra dove dalla notte dei tempi vengono seppelliti i suoi antenati, e potrebbe storcere il naso».

Quasi tre millenni di isolamento non si rompono così facilmente, spiega Trincia, specie quando gli isolati sono una sparuta popolazione della Siberia meridionale appena a nord della Mongolia, in quella che oggi è la repubblica di Tuva: «Uno dei luoghi più remoti e sconosciuti del pianeta, circondato da montagne, laghi e steppe che l’hanno reso virtualmente immune alla globalizzazione».

I suoi trecentomila abitanti, continua Trincia, sono figli di una cultura nomadica millenaria, che ha trovato la propria ragion d’essere nello sciamanesimo e nel buddismo tibetano, sopravvissuti a un ‘900 segnato dal forte impatto della presenza del regime sovietico. «Pur avendo chiesto l’indipendenza all’inizio degli anni ‘90 dopo il crollo dell’Urss», ricorda il giornale, Tuva è rimasta una delle 21 repubbliche della Federazione Russa. «Ma a differenza di molte altre zone dell’ex impero, che oggi hanno intrapreso - seppur a fatica - la strada dello sviluppo, i tuvani sono sempre stati gelosi della propria storia e cultura, tenendole al riparo dalle influenze esterne».

Niente aeroporti e niente ferrovie (l’unico treno che finora si è visto a Tuva è quello che i sovietici fecero stranamente stampare sui suoi francobolli), nonostante le ricchezze del sottosuolo: oro, cobalto e carbone «che potrebbero portare più benessere e sviluppo a questa terra», ma anche «trasformarla in maniera irreversibile». Il problema, infatti, è che la strada ferrata passerebbe dalle parti di Arzhaan, un’antica necropoli di inestimabile valore archeologico, dove dal VII secolo avanti Cristo sono seppellite generazioni di Sciti, gli antenati dei tuvani, una delle prime popolazioni nomadiche dell’Eurasia. «Il luogo – precisa “La Stampa” – è anche conosciuto con il soprannome di “Valle dei Re”, e ha attratto l’attenzione degli archeologi dal 1916», quando il ricercatore siberiano Adrianov cominciò gli scavi.

Le ricerche, racconta sempre Trincia, portarono alla luce una colossale struttura sotterranea lunga circa 120 metri e profonda quattro, e nelle camere mortuarie furono scoperti gioielli e ornamenti di rara bellezza. Negli anni ‘70, i lavori di costruzione di una strada danneggiarono alcune tombe. Ma nel 2001 un’altra necropoli simile venne scoperta da una spedizione inviata dall’Ermitage, e ribattezzata con il nome di Arzhaan 2. «Oggi – segnala il giornalista – non pochi tuvani temono che il passaggio di un treno possa rompere l’armonia tra natura e storia di cui la popolazione si sente custode», anche se si tratta di una società isolata e povera, senza turismo e con alti tassi di disoccupazione e alcolismo.

«Il progetto di costruzione della ferrovia ha un’importanza vitale per lo sviluppo socio-economico di Tuva», dichiara a “La Stampa” l’archeologo Konstantin Chugunov, che con i suoi scavi ha fatto venire alla luce Azhaan 2 otto anni or sono. «Resta necessario che la stazione ferroviaria sia in armonia con il paesaggio circostante». L’importante è che non si sacrifichi l’eredità storica di questa nazione», dice un funzionario. «Questo luogo testimonia una delle più antiche civiltà e dobbiamo preservarlo per le future generazioni di tuvani».

La penserà sicuramente allo stesso modo Sainkho Namtchylak, artista di rango mondiale, originaria proprio delle steppe di Tuva, dai cui pastori-sciamani ha appreso l’arte del canto diplofonico, specialità nella quale eccelleva anche Demetrio Stratos, il bassista degli Area, e che Sainkho ha sviluppato, evolvendone l’applicazione nel campo della musica contemporanea sperimentale. Più volte esibitasi in Italia, dove ha studiato a fondo il canto gregoriano, la Namtchylak nei suoi concerti si fa ambasciatrice culturale della sua terra: basta ascoltarla una volta, per intuire l’intensa profondità delle ragioni dei suoi connazionali, i “No-Tav” della Siberia meridionale.

Fonte: www.libreidee.org