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Crisi: negli Usa hanno salvato solamente le grandi banche

di Filippo Ghira - 29/09/2009

 

 
Crisi: negli Usa hanno salvato solamente le grandi banche
 

In questo momento si deve tenere conto che le condizioni della finanza internazionale sono peggiori di quelle all’inizio della crisi. Questo perché ha vinto anzi ha stravinto, in Europa come negli Usa, il principio “certe banche sono troppo grandi per fallire”. A giudizio dell’economista Marco Vitale, intervenuto al convegno sulla crisi finanziaria promosso dalla Fondazione Courmayeur e dal Centro Nazionale Prevenzione e Difesa Sociale, questo è stato l’effetto più significativo di una crisi scatenata dalle speculazione di banche che alla fine si sono viste premiate con sovvenzioni pubbliche. Così oggi si assiste al fatto incredibile di una razionalizzazione del mercato nella quale le grandi banche, ridotte di numero anche in seguito a fusioni, sono per questo diventate più grandi e più potenti e, quel che è peggio, si trovano ad essere pure protette dalla possibile concorrenza. Con tanti saluti al Libero Mercato e alla concorrenza, sta emergendo un oligopolio di colossi finanziari che sono sopravvissuti alla crisi. Un fatto emblematico è il fallimento negli Stati Uniti di tante piccole banche travolte dalla recessione seppure prive di colpe nella speculazione che nel 2008 aveva affossato i mercati.
A giudizio di Vitale, il marcio sta nel manico ossia nel fatto che non si vuole e non si può intervenire a rimuovere le vere cause della crisi finanziaria. In altre parole non c’è nessun governo o nessuna autorità di controllo che voglia intervenire per impedire alle banche di speculare o più semplicemmente di investire senza disporre delle risorse necessarie ma ricorrendo ad un indebitamento a volte mostruoso. Oltretutto si sta compiendo un nuovo grande errore. Quello di credere che la soluzione si trovi nel rimettere mano agli organi regolatori e dando loro più potere, senza però voler affrontare i problemi di fondo. Nello specifico negli Stati Uniti, l’azione degli organi regolatori “è stata così miserabile perché tale doveva essere”.
Le sue carenze infatti “erano funzionali ad una concezione economica e ad una precisa politica che è sottostante agli interessi che dominano la vita politica americana”. La vecchia tesi marxiana, perfettamente condivisibile, per la quale le isituzioni politiche altro non sono che una sovrastruttura dei rapporti di potere economici di una società e che esse non possono minimamente pensare di metterne in discussione i presupposti. Barack Obama, portato alla Casa Bianca dai voti del ceto medio Usa inferocito con le banche che avevano messo per strada centinaia di migliaia di cittadini non più in grado di pagare le rate del mutuo, con le stesse banche considerate troppo vicine ai repubblicani, ha fatto le stesse cose che aveva fatto George Bush.
Lasciata fallire la Lehman Brothers, che era indifendibile, ha però salvato banche come la Goldman Sachs, Morgan Stanley ed American Express, dimostrando così che cambierà pure il presidente ma non cambia la sudditanza della politica nei riguardi delle banche. Con la beffa che, nonostante gli impegni presi in tal senso, una banca come la Goldman Sachs, nel cuore di Romano Prodi e di Mario Draghi, una volta rimessasi in sesto, grazie agli aiuti pubblici, ha ripreso a versare ai propri manager dei premi (o bonus) miliardari, permettendosi pure di replicare a muso duro allo stesso Obama che aveva espresso tutte le sue riserve in merito.
Ma quello che vale per gli Usa vale anche per l’Europa. Prendendo ad esempio il caso svizzero, Vitali si è domandato, conoscendo perfettanente la risposta, se un governo, come quello elvetico, può sorvegliare una banca come la UBS, il primo istituto della Confederazione, che ha un bilancio sei volte più grande di quello dello Stato. E la risposta non può che essere negativa.