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Falsità, vanità, spudoratezza, vendicatività: ecco il ritratto del preteso intellettuale moderno

di Francesco Lamendola - 01/10/2009


Terribilmente deprimente è lo spettacolo offerto dallo pseudo-intellettuale moderno, specialmente quando si esibisce senza alcun pudore nei salotti televisivi: sia egli un direttore di giornale che si è venduto smaccatamente ai suoi padroni del momento, un sedicente psicologo o sociologo da rivista di moda che snocciola banalità sentenziose ammiccando e strizzando gli occhi con ruffianesca complicità, o un borioso barone universitario imprestato agli studi Rai o Mediaset grazie ai maneggi di qualche influente protettore politico.
Quello che appare intollerabilmente deprimente, al di là del suo servilismo inverosimile e quasi autocaricaturale verso i signori che lo tengono sul proprio libro paga, e al di là della sua buffa e quasi altrettanto inverosimile, grottesca presunzione, tale da spingerlo a parlare come se davvero prendesse sul serio le penose insulsaggini che ammannisce al pubblico, è la sua ormai totale assuefazione alle proprie stesse menzogne, a quel mondo fittizio nel quale e del quale egli vive; quel viscido autocompiacimento che può nascere soltanto - un indagatore d'anime acuto come Nietzsche lo aveva compreso al volo, così come, prima di lui, Dostojevskij - da un intimo, radicato disprezzo di sé, che rende costui una autentica maschera tragica.
Così, sarebbe un errore girare semplicemente canale o scrollare le spalle, liquidando tale tipo psicologico come una specie di aborto antropologico, quasi uno scherzo della natura; perché la verità è che la totale mancanza di autostima rende  il sedicente intellettuale un soggetto pericoloso e quasi demoniaco, una mina vagante che può arrecare danni gravissimi alla società: non tanto per le menzogne sistematiche in cui consiste la sua professione, ma per la rabbia disperata e feroce che egli alimenta in cuore contro se stesso, magari sotto le apparenze di una alterigia a tutta prova, e che cerca di scagliare addosso agli altri, ad ogni occasione e in ogni circostanza.
La sua psicologia è essenzialmente femminile, ma nei suoi aspetti peggiori: vanitosa, insincera, sfrontata e bramosa di vendetta: in breve, è un tipo essenzialmente isterico, come appare dalla frequenza con cui perde le staffe nel corso di un dibattito o di un contraddittorio - pur tenendo conto, e con piena ragione, che almeno una volta su due si tratta di sfuriate calcolate e decise a freddo, tanto per rafforzare il personaggio.
In effetti, egli è vanitoso perché ha bisogno di sentirsi sempre al centro dello spettacolo, come una primadonna; insincero, perché la sincerità richiede un minimo di onestà intellettuale, che egli costituzionalmente non possiede; sfrontato, perché, odiando se stesso, reagisce ostentando la propria maschera, nella folle speranza di fare colpo almeno sugli altri; e infine vendicativo, perché odia a morte tutti coloro che sa essergli superiori moralmente, culturalmente o spiritualmente: vale a dire, quasi tutti gli altri esseri umani.
Se avesse un minimo di dirittura e di dignità, cercherebbe di migliorarsi, di combattere i suoi lati detestabili; ma la sua posizione di nullafacente privilegiato, di nullità promossa al rango di personaggio pubblico; il fatto stesso di essere sul libro paga di qualche pezzo da novanta o di qualche istituzione prestigiosa: tutto ciò gli ha dato completamente alla testa, lo ha ubriacato in maniera permanente, e, come un drogato o come un ossesso, lo spinge a raddoppiare senza posa i suoi atteggiamenti sfrontati e cialtroni, le sue provocazioni, la sua arroganza impudente.
In fondo, anche in questo la sua psicologia è femminile; in qualche angolino del suo animo, egli spera di incontrare qualcuno che gli impartisca una sonora lezione: un vero uomo, fiero e indipendente, capace di andare in giro a testa alta perché sa di valere e non perché ha leccato gli stivali ai pezzi grossi, fino a raggiungere una posizione eminente. E questa parte segreta di lui lo spinge a raddoppiare continuamente la posta delle sue sfide, per vedere fino a che punto egli abbia a che fare con dei viscidi lacché del proprio stampo, o se per caso non esistano al mondo anche degli individui realmente virili.
In fondo, è un omosessuale passivo che non ha il coraggio di riconoscersi tale, e si sfoga in bizze isteriche e in narcisistici a solo, che in altre società non sarebbero tollerati, ma che l'estrema decadenza politica, cultuale e morale del nostro Paese - che non si è mai ripreso dalla disfatta morale dell'8 settembre 1943, non avendo mai avuto il coraggio di fare i conti con la propria storia - gli consente di esistere e perfino di prosperare.
Del resto, la figura stessa dell'intellettuale è un prodotto degenere della modernità: uno scribacchino o un artistoide senza genio e senza talento, senza coraggio e senza onore, che si ubriaca di parole per mascherare la sua profonda ignoranza di tutto: del mondo, degli altri e di se stesso. Un prodotto di scarto della società capitalista, dalle immense ambizioni e dagli appetiti smisurati, che però non vale nulla e che sembra un Solone unicamente perché il potere ha bisogno di un ventriloquo che ne intoni le lodi e ne canti le magnificenze.
In Italia, nell'Italia repubblicana e democratica uscita dalla sconfitta del 1943 - l'Italia dei massoni e dei monsignori, dei mafiosi e dei faccendieri, dei generali e dei finanzieri dall'oscuro passato - questo tipo umano inferiore e degenere, che altrove vivacchia quasi ai margini della società perbene e che è tutt'al più tollerato nei sottoscala della vera cultura, da noi impazza e sembra dettare legge: proprio con la stessa sfrontatezza con la quale i «padrini» di Cosa Nostra, costretti a nascondersi per un ventennio, tornarono alla grande sulla scia dei «liberatori» americani e, con la scusa dell'antifascismo, divennero sindaci, assessori, consiglieri comunali, occupando tutte le posizioni di potere e tutte le nicchie di rendita pubblica.
Né l'antichità classica, né il Medioevo cristiano conobbero la figura dell'intellettuale, nel significato moderno del termine: conobbero il filosofo, l'artista, il matematico, lo scienziato, lo scrittore, lo storico; e, naturalmente, l'insegnante.
L'intellettuale italiano odierno è una degenerazione della degenerazione; ma l'intellettuale moderno costituisce, in se stesso, una presenza discutibile in qualsiasi società.
In pratica, la figura dell'intellettuale nasce con l'Illuminismo e con la diffusione della stampa periodica; conosce il suo apogeo con l'ambigua figura del «philosophe», un saccente e petulante personaggio che inonda la Francia di opuscoli e «pamphlets», convinto di aver trovato il rimedio universale per tutti i mali, per tutte le storture e per tutti gli accidenti: una specie di sofista in versione riveduta e aggiornata, che non si fa pagare dai propri uditori privati, ma dai proprietari delle gazzette e dei giornali, per convincere di tutto e del contrario di tutto il pubblico dei lettori, ma alimentando demagogicamente la loro illusione di capire e poter giudicare ogni cosa, di qualunque argomento si tratti.
L'idea gramsciana dell'intellettuale organico è, in fondo, velleitaria: l'intellettuale è, per definizione, uno spostato, che ha appreso qualche mezza verità e che la rivende, sotto forma di merce più o meno ben pagata, condita con le proprie elucubrazioni e insaporita con la propria mania di grandezza (infatti non ci sono rancori più tenaci di quelli fra intellettuali: che ricordano, anche in questo, la psicologia di due femmine, le quali si odiano di tutto cuore e cercano di graffiarsi a sangue ogni volta che s'incontrano, perché sono gelose l'una dell'altra).
La società non ha bisogno di intellettuali, botoli frustrati e ringhiosi che incitano alla scontentezza perenne per avere il pretesto d'imperversare a tempo indeterminato; ma, di uomini di cultura,  di studiosi e di educatori. Il resto, è solo robaccia.
Nietzsche, in particolare, aveva colto l'analogia esistente fra l'artista «moderno» - non l'artista in quanto tale - e la donna isterica; e quel che egli dice dell'artista moderno, ovvero dell'artistoide, si può estendere a ogni tipo di intellettuale moderno, ovvero di intellettualoide.
Particolarmente gustosa è l'osservazione de filosofo tedesco circa la mancanza di pudore di questo tipo umano, non solo verso gli altri, ma anche e soprattutto verso se stesso: quel suo continuo, indecente osservarsi nell'atto medesimo del proprio vivere, che non ha niente a che fare con la sincerità e ricorda, semmai, il voyeur che spia dal buco della serratura.
E subito il pensiero corre al primo di tale trista genia: messer Francesco Petrarca, che, specialmente nel «Secretum» e nelle «Epistulae», ci ha lasciato la più eloquente testimonianza di questo vergognoso onanismo intellettuale, aprendo tutta una scuola, si fa per dire, di pensiero: che darà ampi frutti nel corso della modernità, fino alle «Confessioni» di Rousseau ed oltre.
Anche qui, il genio di Dostojevskij ha riconosciuto con occhio sicuro questo nuovo mostro antropologico, e lo ha mirabilmente descritto in tanti personaggi indimenticabili, primo fra tutti il vecchio Fiodor Pavolovic de «I fratelli Karamazov» (che però, almeno, non pretendeva di essere un intellettuale, pur se amava stuzzicarsi i denti, durante la digestione, con qualche filosofema da strapazzo; ma soprattutto amava esibirsi nel proprio spudorato esibizionismo); e Nietzsche, quasi negli stessi anni, non è stato osservatore di lui meno lucido ed acuto.
Scrive, dunque, Friedrich Nietzsche ne «La volontà di potenza» (III, 812-814; traduzione italiana di Angelo Treves, a cura di Maurizio Ferraris e Pietro Kobau, Milano, Bompiani Editore, 1992, 1994, pp. 442-443):

«[…] Oggi si potrebbe giudicare il "genio" una forma di nevrosi, e analogamente la capacità di suggestionarsi propria dell'artista - e in effetti i nostri ARTISTOIDI hanno fin troppe affinità con le donnette isteriche! Ma questo parla a sfavore dell'"oggi", non degli "artisti".
Gli stati d'animo anti-artistici sono: l'OBIETTIVITÀ, il rispecchiamento, la sospensione della volontà… Lo scandaloso malinteso di SCHOPENHAUER, che scambia l'arte per un ponte verso la negazione della vita…
Altri stati antiartistici: quelli di chi immiserisce, scompare, impallidisce, sotto il cui sguardo la vita soffre… Il cristiano…
L'artista MODERNO, vicinissimo all'isterica per la sua fisiologia, è segnato da questo morbo anche nel carattere. L'isterico è falso: mente per il gusto di mentire, è ammirevole in ogni arte della simulazione - a meno che la sua morbosa vanità non gli giochi un brutto scherzo. Questa vanità è come una febbre continua che ha bisogno di narcotici e non indietreggia dinanzi ad alcun autoinganno, a nessuna farsa che prometta un momentaneo lenimento. INCAPACITÀ di fierezza e costante bisogno di vendetta , per un disprezzo di sé profondamente radicato - questa è all'incirca la definizione di tale specie di vanità. L'assurda irritabilità del suo sistema, che va in crisi per ogni avvenimento, e introduce il "drammatico" nei minimi casi della vita, gli toglie ogni prevedibilità: non è più una persona, tutt'al più è un assembramento di persone diverse, di cui ora questa ora quella salta fuori con impudente sicurezza. Appunto perciò è grande come attore: tutti questi poveri esseri privi di volontà, che i medici studiano da vicino, sorprendono per il loro virtuosismo nella mimica, nella trasfigurazione, nell'introdursi in quasi ogni personaggio RICHIESTO.
Gli artisti NON sono uomini di GRANDI passioni, qualunque cosa vogliano dare a intendere a se stessi e a noi. E ciò per due motivi:: mancano di pudore di fronte a se stesi (si osservano MENTRE VIVONO: si spiano, sono troppo curiosi); e mancano anche di pudore di fronte alla grande passione (la sfruttano, come artistoidi).
E, in secondo luogo, il loro vampiro, cioè il talento, gli invidia  quello sperpero di energia che si chiama passione. Chi ha talento  è anche vittima del proprio talento: vive soggetto  al vampirismo del proprio talento.
Non ci si sbriga della passione con il fatto di rappresentarla: anzi, ce ne siamo già sbrigati QUANDO la rappresentiamo. (Goethe insegna che le cose stanno diversamente: qui HA VOLUTO fraintendere se stesso: per DELICATEZZA).»

Non si poteva dire di più, e meglio, con così poche parole.
Quello che dice Nietzsche degli artistoidi, vale anche per i nostri intellettualoidiodierni: mercenari della parola, leccapiedi del potere, grotteschi signorotti della stampa e della televisione; parassiti che occupano spazi di visibilità solamente per fare la ruota come pavoni, ma senza avere proprio nulla di intelligente da dire.
Dovremmo abituarci a fare a meno di questa razza di cortigiani velenosi e voltagabbana, sempre pronti a vendersi al migliore offerente.
Ci guadagnerebbero la cultura, la capacità critica e la dirittura morale delle persone comuni e specialmente dei giovani, che avrebbero sempre bisogno di buoni esempi.