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Ahmadinejad all'ONU: come leggere le sue parole

di Sergio Romano - 05/10/2009

Contrariamente al lettore Silvano Stoppa ( Corriere , 29 settembre), lei non si dichiara d’accordo con la delegazione italiana che ha abbandonato l’aula dell’Assemblea dell’Onu a seguito delle affermazioni di Ahmadinejad contro Israele. Eppure tali affermazioni sono espressione di un evidente antisemitismo e incitamento all’odio. Ahmadinejad ha detto: «Non è più accettabile che una piccola minoranza domini la politica, l’economia e la cultura di maggior parte del mondo con le sue complicate reti, stabilisca una nuova forma di schiavitù e danneggi la reputazione di altre nazioni, persino le nazioni europee e gli Stati Uniti, per realizzare le proprie ambizioni razziste». Cosa c’è di più antisemita di questa affermazione che ricalca le teorie della cospirazione di Hitler? Lei scrive: Ahmadinejad, di fronte all’Assemblea, «non ha auspicato la distruzione di Israele e non ha negato la realtà del genocidio ebraico».
Sembra quasi che lei consideri questo un merito, in quanto Ahmadinejad non ha ripetuto queste nefandezze che ha invece pronunciato in innumerevoli occasioni.
Bisogna stare attenti a lasciare intendere, come fa lei, che nel complesso le posizioni di Ahmadinejad siano accettabili e solo alcune «contestabili o grossolanamente esagerate».
Preferisco essere d’accordo con l’Italia, la Germania, la Francia, la Gran Bretagna, l’Ungheria, la Danimarca, l’Olanda, e anche gli Usa, l’Australia, il Canada, e anzi avrei preferito che l’Unione europea tutta si fosse comportata a New York come questi Paesi.


on. Enrico Pianetta, Presidente dell’Associazione parlamentare Italia-Israele ,

Caro Pianetta,
Nella traduzione dalla versione inglese la fra­se «antisemita» del di­scorso di Ahmadinejad è la se­guente: «Ancora più pericoloso è che certi circoli (in inglese: parties), facendo uso del loro potere e della loro ricchezza, cerchino d’imporre un clima d’intimidazione e d’ingiustizia nel mondo e agiscano con pre­potenza, mentre rappresentano se stessi, grazie alle loro enor­mi risorse mediatiche, come di­fensori della libertà, della de­mocrazia e dei diritti umani». È un’allusione a quegli ambienti ebraici che negli scorsi anni hanno strenuamente difeso, ne­gli Stati Uniti e in Europa, le po­sizioni del governo israeliano? E’ possibile. E’ una manifesta­zione di antisemitismo? Se fos­se tale sarebbero antisemiti an­che tutti coloro che in questi an­ni hanno sostenuto l’esistenza di una forte lobby filo-israelia­na. Sarebbe antisemita ricorda­re che i consiglieri neo-conser­vatori di Bush all’epoca della guerra irachena erano in buona parte ebrei americani. Sarebbe antisemita ricordare che la poli­tica del primo governo di Benja­min Netanyahu fu largamente ispirata dal rapporto di una or­ganizzazione americana (Insti­tute for Advanced and Strategic Political Studies), dovuto in buona parte a Richard Perle. Sa­rebbe antisemita il saggio di due studiosi americani, John Mearsheimer e Stephen Walt, sull’importanza dell’American Israel Public Affairs Committee (la grande lobby filo-israelia­na) nella vita pubblica degli Sta­ti Uniti. Sarebbe antisemita so­stenere, come si legge frequen­temente nella stampa america­na, che la politica di Obama sul­la questione palestinese e sugli insediamenti ebraici nei territo­ri occupati non può ignorare la posizione di quegli ambienti del Congresso che sono risolu­tamente schierati a favore di Israele. L’espressione «antise­mitismo » non può essere usata come una clava per impedire le­gittime discussioni e legittime critiche.
Quanto alla mancanza nel di­scorso del leader iraniano delle solite filippiche su Israele e sul genocidio, mi sono limitato a osservare, come ho già risposto a un lettore, che queste afferma­zioni, all’Assemblea generale dell’Onu, non sono state fatte. L’uso di linguaggi diversi, a se­conda del contesto, può presen­tare un certo interesse per colo­ro che cercano di decifrare le re­ali intenzioni di un uomo e di un Paese. I recenti colloqui di Ginevra con l’Iran (a cui gli Sta­ti Uniti hanno partecipato per la prima volta con un negoziato­re) sembrano dimostrare che Washington non ha mancato di rilevare questa differenza.