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Noi, i moderati

di Fillipo Schillaci - 05/10/2009

In un sistema dominato dall’economia coloro che pensano all’esistenza di un possibile altro mondo sono considerati radicali, estremisti e integralisti, ma in realtà i veri radicali ed estremisti sono coloro che allevati nell’integralismo della competizione economicista, sembrano non poterne più fare a meno di quest'ultima.

 

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La nostra società è governata dal principio edonistico: ottenere il massimo tornaconto col minor sforzo possibile
Ci avete mai fatto caso? Quando nel “loro” mondo, il mondo del cemento, dei soldi, della carriera, delle macellerie, del petrolio, delle guerre, della fame, dell’obesità, della sete e di molto altro ancora, si parla di noi, di coloro che si ostinano a considerare possibile un altro mondo, si materializzano, immancabili termini come radicalismo, estremismo, integralismo, quasi fossimo non so che setta intrisa della più sconsiderata congerie di fanatiche devianze. Loro invece, i sostenitori di quel mondo, amano definirsi moderati, centristi, al più riformisti, amano dare di se stessi l’immagine di persone equilibrate e con la testa sulle spalle.

 

Vorrei ribaltare i termini della questione. In un sistema che ha perso la misura di se stesso e del proprio rapporto col mondo reale fino a vedersi come la totalità dell’esistente, un sistema ciecamente uscito da ogni orbita possibile e lanciato in una corsa irreversibile attraverso il vuoto, è normale che chi si pone in un atteggiamento di reale moderazione, chi vuole, come scrive Maurizio Pallante, «camminare in punta di piedi sulla Terra», appaia affetto da una posizione eccentrica, fuori norma, e dunque estrema, radicale e integralista.

Ai tempi in cui ero studente universitario udii una conferenza tenuta dai dirigenti di una grossa azienda elettronica. Una frase che ricorreva nei loro discorsi era: «noi vogliamo essere i primi». Fui tentato di domandare loro: Perché? Non lo feci, ma è fin troppo facile immaginare l’inconsistente risposta che avrei ricevuto. In realtà non c’è un perché, la competizione nel loro mondo non è una scelta, è un a priori, è l’unica forma di relazione che essi ormai conoscono, perché è l’unica possibile in un mondo dominato dall’economia - una disciplina che ha ormai cancellato ogni altro ambito del pensare e del fare umano e che, nel secondo medioevo la cui strada abbiamo imboccato, si avvia ad assumere lo stesso ruolo dogmatico e totalizzante che la teologia ha avuto nel primo.

L’economia dunque, e solo essa, perché solo essa conta. L’economia, ovvero quella disciplina governata dal cosiddetto principio edonistico: ottenere il massimo tornaconto col minor sforzo possibile, essendo ogni altra considerazione di pertinenza di altre discipline quali l’etica, le scienze sociali, le scienze ambientali. Proprio quelle che l’economia ha ormai spazzato via da ogni prassi quotidiana vedendole solo come bastoni fra le ruote nella corsa senza freni al sempredipiù. E cosa c’è di moderato in questo? Rispetto a quale centro un simile atteggiamento può chiamarsi centrista? Non certo rispetto a quello costituito dalle leggi che regolano il buon funzionamento della biosfera. Da questo punto di vista è proprio un simile atteggiamento ad assumere i connotati del radicalismo, dell’estremismo, dell’integralismo.

 

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Parlare di una società umana egualitaria nella quale i rapporti fondamentali siano basati sulla cooperazione spontanea non mediata dal denaro può apparire un delirio
Affermare che le industrie belliche, l’allevamento, i trasporti su lunga distanza, il saccheggio delle fonti fossili siano pratiche cui porre drastica fine può apparire frutto di un pensiero inaccettabilmente estremo e radicale. Ma solo dal punto di vista di un pensiero incapace di percepire quanto di inaccettabilmente estremo e radicale vi sia in tali pratiche. Bisogna essere equilibrati, obiettò un membro di Greenpeace cui parlai dell’alimentazione vegetariana come unica ecosostenibile. Certo che bisogna. E quel tipo di alimentazione lo è. Bisogna pur difendere la patria obiettò un intellettuale alla mia difesa del pacifismo. Certo che bisogna, ma cos’è la patria? L’unica patria che un moderato riconoscerà come tale è la biosfera in tutta la sua complessità e molteplicità, e questa patria non si difende a cannonate.

 

Parlare di una società umana egualitaria nella quale i rapporti fondamentali siano basati sulla cooperazione spontanea non mediata dal denaro può apparire un delirio, ma solo dal punto di vista di una società che è la negazione stessa delle ragioni profonde che spingono l’uomo, e ogni animale sociale, a riunirsi in gruppo, a formare comunità.

Riunirsi per competere gli uni con gli altri è una contraddizione in termini, un delirio della ragione, un atto il cui risultato è un’aggregazione artificiale di individui senza coesione, schizofrenicamente sbattuti fra la servitù verso un sistema da cui dipendono in tutto e la diffidenza verso ogni parte di esso, dalle istituzioni, impersonali, irraggiungibili e imperscrutabili, fino al vicino di casa, anch’egli immancabilmente sconosciuto quanto un abitante della Mongolia. Una società umana fondata sulla competizione non può che essere una società di vincitori e vinti, dunque una società gerarchica, una società in cui i rapporti fra le persone sono rapporti di potere. La gerarchia, ovvero quella cosa che, sostituendo l’autorità all’autorevolezza, costituisce la più radicale forma di negazione della dignità umana nella vita di ogni giorno. Cosa c’è di moderato, di equilibrato in un simile tetro formicolare di impotenti solitudini umane?

Affermare, infine, che la vita umana dipende dal suo armonico mettersi in relazione con le innumerevoli altre forme di vita che popolano la Terra può apparire una radicale negazione della specificità dell’uomo. Ma perché mai affermare una propria specificità implica il negare quelle altrui? Mi viene il dubbio che chi parla di specificità dell’uomo in questi termini intenda in realtà parlare di dominio dell’uomo, uno status di cui molti, allevati nell’integralismo della competizione economicista, sembrano non poter più fare a meno. Una società umana moderata, equilibrata, riconoscerà al contrario con serenità che non può esistere una comunità soltanto umana ma che essa deve essere funzionalmente e armonicamente immersa in un ecosistema, ed è con ciò parte di una comunità più ampia.

Ecco dunque chi sono i moderati, i centristi: noi. Ed ecco dunque chi sono gli estremisti, i radicali: loro. Ecco dunque il nostro vero volto: pacifico, calmo. La furia lasciamola a loro. Il nostro no al loro mondo non verrà da uno spirito combattivo ma da una ferma pacatezza, non sarà frutto di rabbia ma di desiderio di quiete. E non per questo sarà meno travolgente, anzi! Perché non c’è nulla di più mortale per il loro mondo che la quiete, nulla di più indesiderabile che l’equilibrio, nulla di più disastroso che la stabilità.