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Lope de Vega, il poeta più fecondo della letteratura europea

di Fabrizio Legger - 08/10/2009

  

Lope Felix de Vega Carpio, detto “la Fenice di Spagna” nacque a Madrid il 25 novembre 1562 e nella stessa capitale spagnola morì, il 23 agosto 1635.Miguel de Cervantes lo definì “un mostro di natura”, un prodigio della potenza poetica, definizione che condivido pienamente, in quanto ritengo Lope il poeta più fecondo dell’intera letteratura europea (ma, forse, anche mondiale).Nessuno scrisse più di lui. Per il teatro compose circa duemila testi, principalmente commedie, ma anche drammi storici e favole pastorali. Una quantità enorme di testi che, a detta di Lope stesso, venivano ideati anche a gruppi di cento in sole ventiquattr’ore (forse si tratta di un’esagerazione, ma da un grafomane come Lope non ci sarebbe di che stupirsi), scritti con una frenesia forsennata per essere consegnati subito ai capicomici che, quasi ogni giorno, lo sollecitavano chiedendogli sempre nuove opere.Lope de Vega è stato il creatore del teatro nazionale spagnolo nonché il maggior commediografo che la Spagna abbia mai avuto. Nessun altro drammaturgo spagnolo riuscì a competere con lui. Persino un grande scrittore come Cervantes, che oltre ad essere poeta e romanziere aveva pure una passione sfrenata per il teatro, abbandonò volontariamente l’arringo teatrale, dichiarando che non era possibile gareggiare o tentare di emulare con un “mostro” come Lope. E aveva ragione!Sotto l’aspetto della prolificità, dell’estro inesauribile e della fantasia creativa. Lope era davvero imbattibile, e non solo in campo teatrale, ma anche in quello più specificatamente poetico e letterario, in quanto non ci fu genere poetico o narrativo con cui Lope non si sia cimentato. Ed è soprattutto come poeta e come narratore che mi preme effettuare alcune riflessioni su Lope de Vega, emulo dei grandi poeti italiani, ma grandissimo poeta anch’egli, forse il più sorprendente e il più infaticabile che la Spagna abbia mai avuto.La vita di Lope fu avventurosa, ricca di eventi e di viaggi, costellata di continui amori e di continue ansie religiose. Eppure, in mezzo a tutto questo bailamme di vicende contrastanti, egli riuscì a scrivere tutta la immensa mole di opere letterarie con cui meravigliò e sorprese non solo le genti del suo secolo, ma anche quelle delle epoche successive.A soli nove conosceva già a menadito il latino e tradusse in spagnolo il De raptu Proserpinae, di Claudiano. A dodici, desideroso di vedere il mondo, fuggì di casa in compagnia di un amico e peregrinò in lungo e in largo per la Castiglia, vivendo di espedienti, finché i due monelli non vennero riconosciuti, riacciuffati e riportati a casa. A quindici, si iscrisse all’Università di Alcalà de Henares, gestita dai Gesuiti, dando alte prove del suo ingegno, ma, nel contempo, dette inizio ai suoi amori frenetici e appassionati, persino con donne sposate, che proseguirono per tutto il resto della sua vita, anche dopo che Lope si fu ammogliato. Questi brevi cenni della sua infanzia e giovinezza denotano già bene l’indole dell’artista, il quale fu “caliente” e cattolicissimo spagnolo dalla testa ai piedi, tanto in ambito sentimentale, quanto in ambito letterario, patriottico e religioso.Ma ben più importanti delle sue avventurose vicende biografiche, furono le opere in versi e in prosa con cui dispiegò la sua prodigiosa attività letteraria. Tralasciando le opere teatrali (che costituirono comunque la sua attività principale, anche perché era vendendo le sue commedie che ricavava i soldi necessari per vivere), Lope scrisse poemi cavallereschi e poemi epici, a imitazione dell’Ariosto e del Tasso, come La bellezza di Angelica (scritto nel 1588 ma pubblicato solo nel 1602) e La Gerusalemme Conquistata (edita nel 1609), ma anche poemi mitologici, come La Filomena (1621), L’Andromeda (1621) e La Circe (1624), religiosi come I Trionfi Divini (ad imitazione del celebri Trionfi petrarcheschi), pubblicati 1625, e il Sant’Isidoro (edito nel 1601, poema agiografico sulla vita del celebre santo patrono di Madrid).Ma Lope era anche molto attento alle vicende storiche del suo tempo, tanto che ne cantò alcune in poesia, come fosse un cronista in versi. Affascinato dalle imprese piratesche del corsaro inglese Francis Drake, implacabile avversario della potenza marinaresca spagnola, scrisse il celebre poema epico-storico La Dragontea, pubblicato nel 1600 (in cui celebra il formidabile coraggio dell’avversario ma, contemporaneamente, lancia feroci invettive contro l’imperialismo britannico), mentre, impietosito dall’uccisione della cattolica Maria Stuarda, regina di Scozia (fatta decapitare dalla regina Elisabetta), scrisse La Corona Tragica, pubblicato nel 1627, dedicato alla figura della sventurata sovrana scozzese.La sua produzione poematica, però, non si ferma qui: desideroso di gareggiare con Cervantes, che aveva scritto il poema Viaggio del Parnaso, Lope compone Il Lauro di Apollo, che viene pubblicato nel 1630, in cui vengono esaltati e criticati tutti i grandi poeti di Spagna, tra cui anche il Cervantes e lo stesso Lope.Nell’ambito della poesia comica e burlesca, scrisse invece La Gattomachia, pubblicato nel 1634, un poema incentrato su una immaginaria guerra tra gatti per amore della bella gatta Zapachilda, opera molto satirica e assai divertente, mentre, per ciò che concerne il poema didascalico, scrisse La nuova arte di far commedie (pubblicato nel 1609), in cui illustra i precetti, le innovazioni e le tematiche della sua concezione teatrale e drammaturgica.Per quanto riguarda le poesia lirica, Lope de Vega scrisse le Rime (edite nel 1603), le Rime Sacre (1614) e le Rime Umane e Divine (pubblicate nel 1634), in cui si avverte l’influsso del Petrarca e di Dante, ma nelle quali riprende e ed emula anche i grandi poeti spagnoli del suo secolo, superandoli decisamente per quanto riguarda la freschezza di ispirazione e l’armoniosa scorrevolezza del verso.Per quanto riguarda la prosa, anche in questo campo Lope de Vega dette prova di essere un eccellente scrittore. Nel 1590, mentre era al servizio del Duca d’Alba, scrisse il romanzo pastorale L’ Arcadia, edito nel 1595, ad imitazione di quello di Jacopo Sannazaro, ambientato in uno scenario agreste, con ninfe e pastori come protagonisti. Nel 1603 pubblicò il romanzo autobiografico Il Pellegrino in Patria, molto importante perché in questo libro Lope fa un elenco delle sue opere in versi e in prosa, nonché dei titoli di tutte le commedie composte sino a quell’anno.Il 1612 fu l’anno, invece, in cui dette alle stampe due opere in prosa di carattere religioso: i Soliloqui di un’anima a Dio (scritti sul modello dei Soliloqui di Sant’Agostino) e I Pastori di Betlemme, una raccolta di novelle di ambiente biblico in cui Lope immagina che i pastori, nella notte che precede la Nascita del Redentore, passino il tempo raccontandosi novelle di argomento sacro.Nel 1618 pubblicò le quattro Novelle per Marzia Leonarda, racconti d’amore e avventure galanti ispiratigli dalla sua grande passione per Marta de Nevares Santoyo, giovane bella e colta, sposata con Roque Hernandez de Ayala, che Lope riuscì a concupire e a sottrarre al pur geloso marito.Nel 1632, infine, Lope diede alle stampe La Dorotea, una sorta di romanzo drammatico, scritto in forma dialogica anziché narrativa, lunghissimo, ma denso di riferimenti autobiografici sulla sua infanzia, sui suoi amori e sulle sue opere letterarie.Oltre a tutte queste opere e alle migliaia di lettere di cui è costituito il suo Epistolario, Lope de Vega, la “Fenice di Spagna”, fu soprattutto autore di commedie e testi teatrali, scritti per la maggior parte in versi. Ne scrisse oltre duemila, ma a noi, di certe e attribuibili, ne restano solo ottocento. Lope aveva bisogno di molti soldi per mantenere i suoi figli, le mogli e le numerose amanti, perciò, guadagnando poco dalle vendite dei libri di poesia e narrativa, si prodigò nella scrittura di testi per il teatro, soprattutto comici, storici e pastorali, che gli venivano subito pagati dai capocomici, in quanto le platee impazzivano per i suoi drammi e chiedevano sempre nuove opere, sempre nuove commedie, sempre nuovi personaggi...Subissato da tali continue richieste di nuove commedie, Lope, il più delle volte, non riusciva a ricopiare il testo appena creato, e lo consegnava quindi ai capocomici in un’unica copia. Costoro, poi, provvedevano a farli ricopiare, spesso adattandoli ad esigenze sceniche e, quindi, anche modificandoli. Così, non possedendo Lope copia di tutti i testi che componeva, molte opere andarono perdute, oppure, parzialmente modificate (con aggiunte tagli) non furono più riconosciute per sue.Tra le sue commedie più celebri vanno comunque ricordate (in quanto veri e propri capolavori del teatro nazionale spagnolo): Fuenteovejuna, La ragazza sciocca, San Giacomo il Verde, Il cavaliere di Olmedo, Il castigo senza vendetta, L’amo di Fenisa, Le bizzarrie di Belisa, La stella di Siviglia, Amare senza sapere chi, Il miglior giudice è il Re, Le famose asturiane, La gran commedia della notte di San Juan, Ostinarsi fino alla morte, La schiava del suo innamorato, Il cane dell’ortolano, Il certo per l’incerto, Peribanez e il commendatore di Ocana, La Nascita di Cristo, La fedele custode (e questi titoli non sono che una minima parte della moltitudine di opere teatrali scritte da Lope).Insomma, un’opera letteraria davvero smisurata, eccezionale, sorprendente, che ben si addice al prolifico poeta noto come “Fenice di Spagna”, un uomo che scriveva versi con la stessa facilità con cui un uomo respira. Un vero e proprio “mostro di natura” che, ancora oggi, è considerato non solo il più grande poeta di Spagna ma, sicuramente, uno tra i maggiori scrittori della letteratura  europea.