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Finanza usa: così la giostra ricomincia a girare

di Roberto Marchesi - 08/10/2009

 

 
finanza usa: così la giostra ricomincia a girare
 

Eravamo in febbraio, faceva freddo anche in Texas in quel periodo, nella Casa Bianca il nuovo inquilino era la grande novità del secolo: il primo presidente americano di colore si era insediato e aveva già cominciato da un mese circa a varare le sue ambiziose riforme. Non solo gli americani, ma tutto il mondo guardava con interesse misto ad ansia, curiosità, o dubbio, alle decisioni che il nuovo capo della superpotenza americana avrebbe preso, non tanto sul fronte delle guerre, ma soprattutto su quello della gravissima crisi finanziaria che aveva ormai portato le economie di tutto il mondo industrializzato nel pieno di una gravissima recessione, la seconda in questo decennio.
Prometteva bene Obama in quei giorni. Le sue dichiarazioni e le sue espressioni scandalizzate in riferimento ai bonus milionari (in dollari ovviamente) che gli speculatori si apprestavano ad incassare nonostante le voragini che avevano lasciato nei bilanci delle banche di cui erano amministratori, facevano sperare davvero che il nuovo comandante in capo avrebbe finalmente voltato pagina.
E tuttavia c’era già nell’aria qualcosa che non faceva presagire nulla di buono, qualcosa che forse vale la pena di rileggere oggi: (dal mio articolo del 15 febbraio “La tigre capitalista mostra gli artigli”) “Si accusa Geithner di non aver dato, nella presentazione della manovra (avvenuta pubblicamente mercoledì 11 febbraio), sufficienti dettagli al contenuto della manovra stessa. Ma un tonfo di oltre il 4% dell’indice Dow Jones, iniziato quando Geithner aveva appena cominciato a parlare, sembra in ogni caso eccessivo, e probabilmente nasconde molto di più che semplici motivi tecnici di trasparenza”.
Infatti avevo visto giusto, non era la mancanza di trasparenza a dar fastidio ai padroni della borsa, ma esattamente il contrario, e cioè, i marpioni del credito e dell’alta finanza, da quel poco che era stato detto, avevano già capito che stava arrivando una purga, e volevano subito far capire che su quel terreno il coltello dalla parte del manico ce l’avevano loro, e potevano usarlo per far del male.
Geithner, che era sostanzialmente uno di loro, dato che prima di diventare segretario del Tesoro americano era già il responsabile della Federal Reserve di New York (vale a dire Wall Street), ha capito bene il messaggio e ha preferito evitare di imbarcarsi in un confronto totale che lo avrebbe sicuramente visto soccombere, coinvolgendo nella disavventura anche lo stesso Obama. Così è iniziata la lunga trattativa per avviare un opera di risanamento nel campo della finanza che non desse troppo fastidio all’establishment (trattativa comunque tenuta sotto tono anche a causa della contemporanea riforma della Sanità americana, ben più popolare e seguita dai media).
Il “risanamento” è cominciato a primavera, con un importante provvedimento normativo che ha consentito alle banche di abbellire artificiosamente i propri bilanci ingolfati dalla spazzatura finanziaria proveniente dalla bolla speculativa. Nessuno più voleva comprare quei titoli, perciò il loro valore, in base alla regola del “mark to market” rimaneva schiacciato ai valori minimi delle ultime contrattazioni. Il nuovo provvedimento ha consentito (nella maggior parte dei casi) di aggirare la regola e valutarli invece al prezzo di acquisto (o un prezzo intermedio) facendo perciò fare un balzo insperato al valore delle rimanenze. Da qui gli utili favolosi registrati a giugno, che però hanno funzionato come un’autentica droga sulle borse, che hanno visto in questo un segnale di ripresa. Che ovviamente non era una vera ripresa, ma una ripresa drogata. Tuttavia, in apparenza, decisamente cospicua, con una buona risalita di tutti gli indici.
Ma se quell’espediente era bastato a riavviare, in generale, le trattazioni di borsa, non poteva però essere sufficiente a convincere qualcuno a comprare quei titoli spazzatura, i quali erano sì valorizzati a bilancio a dieci dollari, ma nessuno era disposto a spendere più di tre o quattro dollari per comprarli. Quindi il comparto dei derivati finanziari rimaneva bloccato e bisognava sbloccarlo per avviare una vera ripresa, anche se da qualche mese di quel problema non se ne parlava più, distratti forse dai mirabolanti risultati trimestrali registrati in giugno dalle principali banche Usa. Eppure sul piano finanziario era proprio il problema più grave, perché c’era da smaltire una voragine di 2,8 trilioni (ovvero duemilaottocento miliardi di dollari) di spazzatura finanziaria in giro per il mondo, derivanti dalla cartolarizzazione dei mutui e da altri eccessi simili. E quelli sono ancora tutti lì, intatti, nei portafogli delle banche, in attesa di coraggiosi investitori che li comprino. Solo liberandosene le banche potrebbero prendere di nuovo il volo senza le stampelle governative.
Già, ma nessuna stampella governativa né americana né europea è capace di sostenere il peso di 2800 miliardi di dollari di porcheria finanziaria travestita da beni d’investimento.
Ecco che allora il governo americano ha predisposto a questo proposito un piano di intervento denominato Ppip (Public-Private Investment Program), facente parte di quell’aiuto di Stato di 700 miliardi che già lo scorso anno (con Bush ancora presidente) aveva stanziato per evitare il tracollo generale.
Ma ora di quei soldi non è rimasto già quasi più niente e l’importo destinato al Ppip è di appena 12 miliardi di dollari, a cui si aggiungono altri 6.13 miliardi di garanzie disponibili dallo Stato.
Ma un punch di meno di 20 miliardi di aiuti statali è sufficiente a far digerire un groppo sullo stomaco di circa 2800 miliardi? Pare difficile! Eppure fonti governative sostengono invece di sì, perché anche se è poco, dicono, sarà tuttavia sufficiente a fissare nel mercato un prezzo che sarà superiore a quelli attuali, e quindi a riavviare le contrattazioni su questi titoli, e pertanto a fissare per tutti gli stessi titoli una quotazione maggiore.
Sembra quasi l’uovo di Colombo! Se ho ben capito il marchingegno, invece di far digerire quella porcheria alle banche (che l’hanno creata) vogliono rimetterla in circolazione usando l’innesco del sostegno finanziario statale!
Tecnicamente dovrebbe funzionare così: le finanziarie abilitate ad operare con i fondi Ppip (50% privati e 50% dello Stato) acquisteranno sul mercato derivati finanziari fino a coprire l’importo del bailout e li venderanno ai propri clienti. Ovvero, come al solito, li venderanno agli inconsapevoli risparmiatori attratti da un tasso di rendimento superiore a quelli in circolazione, guadagnandoci ancora una volta sulle laute commissioni.
Il cerchio si chiuderà in questo modo: se queste operazioni si concluderanno con un guadagno, le finanziarie restituiranno l’importo del bailout allo Stato e metà dell’utile, se ci sarà una perdita non verrà restituitonulla. Perfetto! Quindi se ci sarà un guadagno, faranno metà ciascuno, se invece ci sarà una perdita, perderà solo il contribuente che paga le tasse (a meno che la perdita sia superiore al 50% del capitale investito!).
Va beh, non è il caso di fare i pignoli. Il progetto accontenta tutti gli operatori interessati, no? Le banche si liberano della porcheria in portafoglio, le finanziarie ricominciano a macinare guadagni (e lauti bonus ai manager), i risparmiatori trovano finalmente sul mercato titoli da acquistare (garantiti dallo Stato!) con rendimenti superiori ai miseri bond, e i contribuenti hanno altro da fare che occuparsi di queste cose, adesso sono già pienamente avviati i campionati di baseball e di football!
Così la giostra ricomincia a girare e... tra cinque o dieci anni al massimo, un’altra cospicua piallata ai risparmi e ai fondi pensione della gente per bene rimetterà le cose a posto per un altro giro sulla giostra!