Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Morte al Nono Secolo! La teologia del progresso

Morte al Nono Secolo! La teologia del progresso

di Miguel Martinez - 11/10/2009

Lo scorso 24 settembre, il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha tenuto un discorso alle Nazioni Unite. Un buon oratore cerca di manipolare i luoghi comuni profondi del suo pubblico e quindi un discorso, più è retorico, più ci dice sugli ascoltatori.

Lasciamo perdere i soliti elementi di hasbara adoperati da Netanyahu e che ormai tutti conosciamo a memoria, e passiamo alla maniera con cui Netanyahu tratta il tempo.

All'inizio del discorso, dichiara:
"Signor Presidente, Signore e Signori, circa 62 anni fa le Nazioni Unite riconobbero il diritto degli Ebrei – popolo antico di 3500 anni – ad un proprio stato nella patria dei propri antenati."
E' un'affermazione che fa acqua storica e archeologica da ogni parte, ma ribadisce il concetto fondante del nazionalismo ottocentesco: uno Stato - concetto esclusivamente moderno - appena assicuratosi un territorio, inventa le carceri, una lingua ufficiale e un Antico Passato che per motivi misteriosi dovrebbe legittimarne l'esistenza.

I Savoia hanno il diritto di occupare Napoli, perché Virgilio è esistito.

Ma qual è il nemico dello Stato? Nel caso specifico, a Netanyahu interessa istigare altri a colpire l'Iran al posto suo.

In un consesso multireligioso come quello delle Nazioni Unite, non è però il caso di inveire contro l'Islam, o contro le razze orientali. Piuttosto, Netanyahu inveisce contro il Nono Secolo, in nome del Ventunesimo:
"La lotta contro questo fanatismo [l'Iran] non è uno scontro di religioni nè uno scontro di civiltà. E’ uno scontro fra la civiltà e la barbarie, fra il 21° e il 9° secolo, fra coloro che glorificano la vita e coloro che glorificano la morte.

L’arretratezza del 9° secolo non può tener testa al progresso del 21° secolo.

Il richiamo della libertà, il potere della tecnologia, l’ampiezza della comunicazione vinceranno sicuramente. Il passato non può davvero trionfare sul futuro. E il futuro offre a tutti i popoli magnifiche riserve di speranza. Il progresso avanza a velocità esponenziale.

Sono passati secoli fra la macchina da stampa e il telefono, decenni fra il telefono e il personal computer, soltanto pochi anni fra il personal computer e internet. Quello che pochi anni fa sembrava irraggiungibile oggi è già obsoleto, e a malapena possiamo immaginare le evoluzioni future. Troveremo la chiave del codice genetico. Cureremo l’incurabile. Allungheremo la vita. Troveremo una alternativa economica ai combustibili fossili e ripuliremo il pianeta.

Sono orgoglioso che il mio paese, Israele, sia all’avanguardia in questo progresso e traini l’innovazione nelle scienze e nella tecnologia, in medicina, biologia, agricoltura e acqua, energia e ambiente. Ovunque si sviluppino, queste innovazioni offrono all’umanità un futuro illuminato da promesse mai immaginate prima."
Lasciamo perdere la pedante domanda, cosa c'entri Ahmedinejad - di sette anni più giovane di Netanyahu - con il nono secolo,[1] e cerchiamo di cogliere il senso del quadro retorico che Netanyahu dipinge.

Netanyahu esprime perfettamente l'altra metà della grande fantasia ottocentesca sul tempo: l'ineluttabile Marcia del Progresso. Chi ha un Antico Passato ha marciato di più e quindi è più nel futuro di chi non ce l'ha.

Questa visione del tempo ha un'origine ben precisa.

E' la visione di chi, nell'Ottocento, possedeva i mezzi per soggiogare il mondo. Ritenendo il proprio il migliore dei mondi mai esistiti, il nucleo imperiale dell'Occidente proiettava se stesso in un futuro ancora migliore. Se il Futuro è bene, il Passato è male. Essendo gli uomini del passato per definizione morti, la teologia del progresso non aiuta a definire un nemico concreto, se non si ricorre a un trucco: quello di definire la grande massa dei propri contemporanei - quelli che andavano soggiogati - come "sopravvivenze" o "ritorni" del passato.

Siamo abituati a dividere gli autori di quei tempi in buoni (universalisti) e in cattivi (razzisti). In realtà, progressisti razzisti e progressisti universalisti appartenevano entrambi a un unico mondo concettuale.

Scriveva l'antropologo americano Lewis Henry Morgan nel 1877,
"Man mano che risaliamo il corso della storia, dall'uomo civilizzato verso il selvaggio, il volume del cranio diminuisce e le sue caratteristiche animali si rivelano: è un segno della necessaria inferiorità dell'individuo".
Visti con il telescopio della storia, i teschi lontani sembrano più piccoli. Un bel razzista, direte. Ma nella pratica, le conseguenze che tira sono forse diverse da quelle di Friedrich Engels, quando - criticando i concetti di uguaglianza e fratellanza sostenuti dagli anarchici - scriveva:
"Gli Stati Uniti e il Messico sono due repubbliche; in entrambe il popolo è sovrano.

Come ha potuto accadere che tra queste due repubbliche, le quali in base alla teoria morale dovrebbero essere "affratellate" e "federate", scoppiasse una guerra a causa del Texas, che la "volontà sovrana" del popolo americano, sorretta dal coraggio dei volontari americani, abbia spostato di alcune centinaia di miglia più a sud, "per necessità geografiche, commerciali e strategiche", le frontiere tracciate dalla natura? Bakunin accuserà forse gli americani di aver condotto una "guerra di conquista" che, pur dando un duro colpo alla sua teoria basata sulla "giustizia e l'umanità", è stata combattuta soltanto nell'interesse della civilizzazione?

O il fatto che la splendida California sia stata strappata ai pigri messicani che non sapevano che farsene costituisce una sventura?

E' una sventura che con il rapido sfruttamento delle miniere d'oro che vi si trovano, gli energici yankees accrescano i mezzi di circolazione, concentrino in pochi anni una densa popolazione e un ampio commercio nelle località costiere più adatte del Pacifico, costruiscano grandi città, realizzino una ferrovia che corre da New York fino a San Francisco, schiudano finalmente l'Oceano Pacifico alla civilizzazione e per la terza volta nella storia imprimano un nuovo indirizzo al commercio mondiale?

L'"indipendenza" di alcuni californiani e  texani spagnoli ne soffrirà, qua e là verranno violate la "giustizia" e altre norme morali; ma che significa al cospetto di tali avvenimenti storici di portata mondiale?"
[2]
Il riferimento al Messico non è casuale: da cinque tremendi secoli, il México artificial - vicerè, frati, massoni, conservatori filospagnoli e affabulatori del mitico "passato azteco",  imprenditori stranieri, economisti socialisti e liberisti - conduce una vana e fallimentare guerra di "riforme" contro il México profundo.[3] Il mistero di quell'incessante resistenza e la ricerca di una maniera di vincerla - dunque, un obiettivo  profondamente militare - ha portato indirettamente alla nascita stessa dell'antropologia.

mexico profundo

Il padre dell'antropologia fu infatti Edward Burnett Tylor, non a caso agnostico e non a caso cresciuto in una laboriosa famiglia di imprenditori quaccheri. Il suo primo libro fu Anahuac, or Mexico and the Mexicans, in cui si auspicava l'annessione del Messico agli Stati Uniti. L'antropologia nasce così: mettere in fila tutti i popoli, da quelli con un piede nel futuro a quelli addormentati nel passato, per cercare come civilizzare o almeno addomesticare i secondi.[4]

All'orizzonte il Futuro, con noi la Storia.[5]

Ora, qui c'è una cosa curiosa. Netanyahu fa un discorso costruito per i ceti politici e mediatici del pianeta. Per farlo, usa due luoghi comuni - il Popolo Antico che Legittima lo Stato Moderno e il Progresso contro il Passato - tipici del pieno Ottocento, proprio agli inizi della rivoluzione industriale.

E' comprensibile che ai tempi in cui si poteva salire per la prima volta su un treno, aspettandosi chissà quali altre affascinanti diavolerie dietro l'angolo, queste retoriche potevano avere un loro fascino.

Da allora, però, abbiamo scoperto la natura assolutamente aleatoria e sfuggente di quello che ai nostri ormai lontani avi sembrava l'Ineluttabile Progresso. Per la maggior parte degli esseri umani, il futuro è precario e imprevedibile, quando non è semplicemente minaccioso.

Eppure, nulla ha sostituito il Luogo Comune dell'Ottocento, perché nulla ha sostituito il capitalismo. E il capitalismo lavora nel tempo, fondandosi sulla scommessa di investire oggi per guadagnare di più domani. Il capitalismo deve credere al futuro, quindi. Certo, un Futuro da conquistare con i denti, le ruspe e le bombe, ma che è garantito a chi si agita a dovere.

Più , dei filosofi, i pubblicitari vanno all'essenza delle cose. Ascoltiamo come il cuore del pensiero di Morgan, Tyler,  Engels e Netanyahu viene riassunto in uno slogan sul sito di Mondopromoter (un nome, un programma):
"Non perdere questa occasione per costruire il tuo futuro e ricorda che la professionalità è l’unica arma vincente in un mercato sempre più competitivo."
Note:

[1] O cosa c'entri il nono secolo con un paese come l'Iran, diventato sciita nel sedicesimo secolo.

[2]p. 375, Engels, Il panslavismo democratico, in Marx-Engels, critica dell'anarchismo, Einaudi.
 
[3] Si veda Guillermo Bonfil Batalla, México profundo. Reclaiming a Civilization, University of Texas Press, 1996 (2007).

[4] La Mission dell'antropologo, per citare un neologismo:
"Ai promotori di ciò che è buono e valido e ai riformatori di ciò che è dannoso alla cultura moderna lo studioso della cultura rende il duplice servizio di fornire una dottrina coerente dello sviluppo umano che deve spingerli a farlo ancora avanzare, poiché si mette a loro disposizione una visione più chiara della storia e delle possibilità della nostra specie e permette di individuare i resti di una rozza cultura antica che devono essere eliminati".
E.B. Tylor, Primitive Culture, Vol. I, p. 539, citato in Giulio Angioni, Tre saggi sull'antropologia dell'età coloniale, S.F. Flaccovio Editore, Palermo, 1973, p. 88.

[5] Tra tanti cultori dell'evoluzione, non cito Charles Darwin. Le cui scoperte furono subito integrate nella religione del progresso, ma per mano di altri: la teoria dell'evoluzione in sé è un'altra cosa.