Il titolo originale di quest’opera è “L’enracinement”, ma si tratta del titolo editoriale con cui l’opera uscì nel 1949, alcuni anni dopo la morte della pensatrice/attivista, probabilmente dovuta ad una scelta volontaria, come “sacrificatio” per la guerra che stava devastando il mondo. Franco Fortini non tradusse “sradicamento”, ma utilizzò un meraviglioso lemma dantesco, “La prima radice”, forte delle suggestioni mistiche presenti nell’opera. Il titolo dato dalla Weil al saggio era, invece, “Preludio ad una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano”, tutto carico della polemica antilluminista della pensatrice (ma anche antihegeliana).

La prima frase recita: «La nozione di obbligo sovrasta quella di diritto, che le è relativa e subordinata». Oggetto dell’obbligo è l’uomo come individuo, perché solo l’essere umano ha un destino eterno, mai una collettività. Tale obbligo è incondizionato e consiste nell’adempiere i bisogni terrestri dell’uomo. Lenire la fame è il modello di tutti gli altri doveri. La collettività è importante solo come strumento per soddisfare un bisogno dell’uomo, quello di ricollegarsi ai morti.

I bisogni vitali dell’uomo sono, per la Weil, l’ordine, la libertà, l’ubbidienza, la responsabilità, l’uguaglianza, la gerarchia, l’onore, la punizione, la libertà di opinione, la sicurezza, il rischio, la proprietà privata, la proprietà collettiva, la verità, il bisogno «più sacro di tutti». Già queste poche righe basterebbero a fare della Weil una pensatrice che dissolve, con molto tempo d’anticipo, tutte le categorie politiche su cui si è fondata la modernità. E come tale una risorsa cui ricorrere in un momento in cui appare necessario rifondare la nozione stessa di politica, piantandola in un terreno più fecondo.

Lo sradicamento è una condizione storica che non riguarda solo la modernità ma anche popolazione antiche. Ebrei e Romani, per la Weil (ebrea francese) erano popoli sradicati e quindi sradicanti («chi è sradicato sradica»). Gli Americani lo sono nel mondo moderno all’ennesima potenza. Per combattere questa condizione è necessario «conservare gelosamente […] le gocce del passato vivente», cosa che non ha nulla a che fare «con un orientamento politico reazionario».

Anche la rivoluzione, infatti, trae la sua linfa vitale da una tradizione. Gli occidentali hanno distrutto dovunque il passato, stupidamente, nelle proprie patrie e in quelle altrui. Hanno distrutto, ad esempio, la cultura contadina, sostituendola con una cultura “da professori” per fabbricare professori che a loro volta fabbricheranno professori. Una civiltà nuova (nulla a che fare col progresso come l’ha inteso la modernità) non sarebbe né capitalistica né socialista, e si orienterebbe non sull’interesse del consumatore «bensì secondo la dignità dell’uomo nel lavoro, che è un valore spirituale» («Non c’è nulla al mondo che possa compensare la perdita della gioia nel lavoro»).

Il totalitarismo incipiente (che la Weil vedeva dispiegato in atto) «può trovare un ostacolo soltanto in una vita spirituale autentica». Tale spiritualità “mistica” (su cui si dilunga la meravigliosa Lettera a un religioso) è, in questo momento di regressioni identitarie, l’unico antidoto ai vari fanatismi: «Ogniqualvolta un uomo ha invocato con cuore puro Osiride, Dioniso, Krsna, Buddha, il Tao, ecc., il figlio di Dio ha risposto inviandogli lo Spirito Santo».

Bisogna abbandonare l’idea moderna di “progresso”, invenzione di intellettuali sradicati: «La superstizione moderna del progresso è un sottoprodotto della menzogna con la quale si è trasformato il cristianesimo in religione romana ufficiale […]. Il dogma del progresso disonora il bene facendolo oggetto della moda».Bisogna mettersi in ascolto e amare (e insegnare nelle scuole) la «parte muta, anonima, sparita della storia». Bisogna iniziare a dire che Alessandro, Cesare e Napoleone erano criminali esattamente come Hitler, se non vogliamo produrre altri Hitler (o Bush).

Bisogna modificare la concezione che regge le scienze moderne (tornando ai Greci): «O bisogna riconoscere che nell’universo, accanto alla forza, opera un principio diverso dalla forza, o bisogna riconoscerla come signora unica e sovrana anche per le relazioni umane». Ma se la forza è sovrana «la giustizia è irreale». La scienza è «lo studio della bellezza del mondo». Bisogna fare molto vuoto dentro di sé, perché il vuoto «attira la grazia».

La Weil visse integralmente le sue idee. Volle farsi operaia, pur fisicamente fragile, predilesse sempre gli ultimi, cercò di andare volontaria in Spagna, durante la guerra civile. Conobbe, ad Assisi, la “grazia” di un incontro. Si inginocchiò e tacque. Ma non volle mai entrare in una chiesa cattolica che misconosceva la potenza salvifica delle altri fedi pure. Reclamò una santità all’altezza del proprio tempo: «Viviamo in un’epoca che non ha precedenti, e nella situazione presente l’universalità, che un tempo poteva essere implicita, deve ora essere totalmente esplicita».

«Il linguaggio e tutto il modo d’essere ne devono essere impregnati. Oggi non è sufficiente esser santo: è necessaria la santità che il momento presente esige, una santità nuova, anch’essa senza precedenti».«Oggi la scienza, la storia, la politica, l’organizzazione del lavoro, persino la religione, per la parte che è bruttata dalla sozzura umana, non offrono al pensiero dell’uomo se non forza bruta. Questa è la nostra civiltà. È un albero con i frutti che merita».

Fonte: libreidee.org