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Velo. Vietato vietare

di Angela Azzaro - 12/10/2009

velo1_fondo-magazinePrima ci hanno pensato quelli della Lega, oggi ci pensa la ministra Mara Carfagna. Sia il partito di Bossi sia la titolare del dicastero per le Pari opportunità ritengono opportuno intervenire su burqa o velo per legge e proibirlo. In realtà le due proposte pur avendo diversi punti in comune dal punto di vista tanto politico quanto simbolico, non sono esattamente uguali.

La proposta della Lega, che interviene - modificandola -  su una legge del 1975 in materia di ordine pubblico prevede arresto in flagranza, reclusione fino a due anni e multe fino a due mila euro. La legge in questione stabilisce il divieto di utilizzare «senza giustificato motivo» caschi o qualsiasi altro indumento che impedisca il riconoscimento della persona. La Lega propone di levare quel «senza giustificato motivo» e di inserire un riferimento diretto agli indumenti indossati per ragioni religiose.

La ministra Carfagna ha chiesto che l’uso del burqa e del velo sia vietato in classe e per questo, ha detto, proporrà un testo di legge condiviso con il ministro dell’Interno Maroni e con la ministra dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini. Lo chiede, spiega, «non perché simbolici religiosi, bensì per le storie che nascondono, storie di donne cui vengono negati diritti fondamentali come l’istruzione o la possibilità di lavorare, storie di violenza e di sopraffazione».

Nonostante le differenze e i nobili motivi che spiegano la proposta della ministra, le due posizioni hanno in comune l’idea che contraddizioni anche così grosse si possano risolvere con nuovi divieti. Qualcosa che spesso è un obbligo, cioè indossare il velo e ancora di più il burqa, viene sconfitto non culturalmente, non con la discussione ma con un nuovo obbligo.

Sono tre principalmente le obiezioni che negli anni sono state mosse, anche sulla scorta del dibattito francese, a una politica proibizionista.

La prima, e secondo me più importante, è quella che effettivamente mette in discussione l’uso del velo e ancora di più del burqa perché spesso imposizione integralista, ma critica a sua volta la legge perché esattamente speculare alla norma (anche se non scritta) che si vorrebbe contrastare. Le donne, che si dice di voler difendere, sono due volte vittima: prima degli integralisti, poi di una legge che in nome della loro libertà gli impone ancora una volta qualcosa. Nel caso della Lega addirittura le manda in galera. Con un detto, si potrebbe sintetizzare: cornute e mazziate.

La seconda obiezione prende spunto dal rapporto tra culture, in questo caso tra Occidente e Oriente. Nella posizione di Carfagna e della Lega c’è la presunzione degli occidentali di poter parlare a nome della libertà degli altri. Noi saremmo liberi, sarebbero libere le donne che in Occidente vivono, e quindi ci sentiamo in diritto di dire agli altri e alle altre che cosa è giusto fare. Atteggiamento evidentemente sbagliato nel merito e nel metodo: nel merito perché la libertà delle donne occidentali è anch’essa opinabile e sicuramente va discusso se sia così superiore a quella delle donne di altri paesi, nel metodo perché la vera libertà non si esporta con i divieti, tanto meno mandando la gente in prigione.

Il terzo motivo ha a che fare con il modo con cui ci confrontiamo con la soggettività femminile. E’ giusto denunciare la cultura integralista, ma questo non ci deve impedire di vedere come anche dentro scelte condizionate o  imposte si possano determinare percorsi di libera scelta. E’ forse il punto più difficile da capire, ma anche quello fondamentale: la libertà riesce a farsi spazio anche là dove non ce lo aspettiamo. E’ successo, per esempio, in Francia dove le giovani studenti usano il velo come elemento di rivendicazione indentitaria contro una cultura che le vorrebbe a sua volta assoggettare o piegare ai propri valori. Lo stesso accade in Italia con l’uso del corpo: le cosiddette veline sono solo succubi della cultura patriarcale o donne che giocando con questa cultura riescono a stabilire percorsi di autodeterminazione e di affermazione? Si tratta cioè di capire come dietro le imposizioni c’è sempre una persona, una donna che sceglie anche quando commette quello che noi, nel giusto o per errore, riteniamo uno sbaglio o una offesa alla sua dignità.

E’ per questa ragione che parlando del velo, parliamo anche di noi, soprattutto di noi. Di quale paese vogliamo costruire. A quale livello di civiltà vogliamo aspirare. Non solo per i migranti - a cui dobbiamo dare diritti e non lezioni di civiltà o di libertà -  ma anche per noi, che su molte questioni (vedi rapporto uomo donna) non siamo messi meglio.


 

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