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Europa e democrazia

di Francesco Bevilacqua - 13/10/2009

Il popolo irlandese ha approvato il testo del Trattato di Lisbona e anche la Polonia, uno degli ultimi paesi euroscettici, ha dato parere favorevole. Tuttavia, esaminando brevemente sia le tappe dell'iter di ratifica sia le prospettive, ci accorgiamo di come l'Unione Europea pare non essersi scrollata di dosso le perplessità che da sempre l'accompagnano.

 

Trattato di Lisbona, Portogallo 2007
L'Unione Europea sta riprendendo il cammino interrotto. Come andrà a finire?
L’Unione Europea è ripartita a spron battuto. Nel giro di pochi giorni, due dei tre paesi che ancora dovevano ratificare il Trattato di Lisbona si sono pronunciati favorevolmente in tal senso. Il 2 ottobre è stata la volta dell’Irlanda; dopo la bocciatura dello scorso anno, gli irlandesi hanno promosso il nuovo testo costituzionale europeo con il 67% di voti favorevoli e un’affluenza del 58%. In maniera quantomeno curiosa, almeno dal punto di vista statistico, il 14% degli irlandesi ha cambiato idea nel giro di pochi mesi approvando lo stesso testo che era stato bocciato nel 2008.

 

Evidentemente le sottolineature di Barroso riguardanti i cospicui fondi europei prestati All’Eire alla vigilia del voto (15 milioni per i disoccupati e 120 milioni per le banche irlandesi) sono state abbastanza convincenti, così come è stata convincente la paura del governo irlandese di perdere un posto in Commissione Europea, cosa che sarebbe accaduta se fosse rimasto in vigore il vecchio Trattato di Nizza.

L’altro paese che si è pronunciato in questi giorni, senza però ricorrere al voto popolare, è la Polonia di Lech Kaczynski. In questo caso devono aver portato consiglio le democratiche accuse di ostruzionismo all’avanzamento dell’iter costituzionale europeo piovute sulla testa di Kaczynski o forse le minacce di lasciare la Polonia fuori dal piano di investimento dell’Unione Europea.

L’ultimo “euroscettico” rimasto è Vaclav Klaus, il presidente della Repubblica Ceca, il cui Parlamento ha già approvato il Trattato che però, senza la firma presidenziale, non può considerarsi ratificato; inizialmente inamovibile, forse turbato dal cedimento del collega polacco, Klaus ha aperto una porta, richiedendo però la concessione della clausola opting out – ovvero la possibilità di non applicare determinate disposizioni – in materia di diritti fondamentali, al pari di quanto hanno fatto anche Polonia e Gran Bretagna (la quale ha sempre fatto un uso ampio e disinvolto di tale clausola).

Sembra quindi che il processo di ratifica della nuova costituzione europea stia giungendo faticosamente al termine, pur segnato da notevoli difficoltà – dal “periodo di riflessione” del 2006 alle bocciature di Francia, Olanda e Irlanda – che politicamente ne compromettono in partenza la credibilità. A dir la verità questa credibilità è sempre stata molto limitata, per motivi di ordine politico e sistemico piuttosto che tecnico e giuridico.

Infatti, se apparentemente il Trattato di Lisbona rafforza e snellisce l’agibilità in campo internazionale dell’Unione grazie al ripristino dell’Alto rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune, che prenderà il posto del Ministro degli Esteri e sarà anche Vicepresidente della Commissione, la realtà dei fatti è ben diversa e deve fare i conti sia con l’annoso asservimento alla NATO (il caso Jansa è solo un esempio in tal senso), sia con un progetto e una linea di politica estera quasi impalpabili, che difficilmente prenderanno consistenza con l’istituzione di una figura d’autorità in tal senso. Gli stessi scetticismi di alcuni paesi e il ricorso alla clausola opting out, testimoniano poi come l’adesione di molti non solo non sia entusiasta, ma sia condizionata in maniera decisiva dalla richiesta di non partecipare a fasi importanti dell’integrazione europea.

È poi stucchevole l’aspra critica che viene rivolta a chi rallenta il processo di integrazione, spesso non perché antieuropeista ma semplicemente perché turbato da grossi dubbi di natura politica a giuridica (non dimentichiamo, per esempio, che Polonia e Repubblica Ceca vengono da decenni di dittatura e solo da poco hanno vista ripristinata la propria sovranità nazionale; ci sta quindi che in un contesto del genere temano di perderla nuovamente). Si invoca la democrazia laddove su 27 Stati solo uno ha fatto ricorso al referendum popolare – massima e insindacabile espressione di democrazia – mentre tutti gli altri hanno sapientemente evitato di coinvolgere i cittadini demandando l’approvazione ai Parlamenti nazionali.

 

José Manuel Barroso
José Manuel Barroso, presidente della Commissione Europea
A questo proposito cito una significativa curiosità: eccezion fatta per la piccola Malta, il Parlamento italiano è stato l’unico ad approvare il Trattato senza nessuna astensione e nessun voto contrario, né alla Camera né al Senato. Viene malignamente da pensare che un favore così netto non sia frutto di una completa adesione ai termini del testo costituzionale, quanto piuttosto di una solerte risposta a un perentorio richiamo all’ordine, soprattutto in considerazione del fatto che presso nostri vicini transalpini sono stati ben 127 i membri delle due camere a non esprimersi favorevolmente, 63 in Germania, rispettivamente 91 e 97 nelle ribelli Polonia e Repubblica Ceca, tanto per citare alcuni esempi. Senza fare tanta dietrologia né sostenendo posizioni ciecamente ostruzioniste, è incontestabile che laddove c’è divisione c’è dibattito, specialmente se in discussione ci sono tematiche di tale importanza.

 

Il ricorso alla democrazia appare dunque sacrosanto solo quando può essere controllato ed esercitato da una classe politica eterodiretta. Al di là dei dettami giuridici del nuovo Trattato, le perplessità rimangono evidenti; per fugarle sarebbe stata certamente efficace una decisa presa di coscienza e messa in gioco della propria proposta politica da parte di Barroso e amici, magari attraverso un iter approvativo del testo costituzionale interamente affidato a referendum popolari, nel nome della democrazia da loro tanto decantata. Ma forse gli interessi che si celano fra le pagine del Trattato sono troppo importanti per metterli nelle mani di semplici e comuni cittadini.