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La rabbia di Vandana Shiva: È la politica dei Paesi ricchi

di Francesca Caferri - 15/10/2009

  
 
L’attivista indiana accusa le monocolture, l’uso di fertilizzanti chimici e gli ogm


L’allarme lanciato ieri dalla Fao non stupisce Vandana Shiva. Piuttosto, la indigna. Sono anni che questa scienziata indiana esperta di agricoltura e sviluppo, famosa in tutto il mondo per le sue battaglie contro la globalizzazione, sostiene che gli attuali trend porteranno alla fame milioni di persone, soprattutto nei Paesi più poveri. «Che oggi la Fao lanci l’allarme dopo che per anni ha sostenuto i metodi di sviluppo che hanno affamato migliaia di persone mi fa davvero molta rabbia», spiega. «Ci dicono oggi che un miliardo di persone sono alla fame. Io penso che occorra chiedersi il perché. Il perché lo spiegano da anni esperti, economisti e climatologi che la Fao non ha ascoltato, come me. Ci sono studi autorevoli che sostengono che le monocolture rendono l’agricoltura più vulnerabile. E che l’uso di fertilizzanti chimici contribuisce al cambiamento climatico.
Eppure la Fao ha sostenuto l’uso di queste sostanze. L’India quest’anno ha perso buona parte dei suoi raccolti per alluvioni e siccità, effetto dei cambiamenti climatici. Ci sono contadini affamati. Altri che si sono suicidati. E l’anello iniziale della catena sta in queste politiche, che la Fao ha appoggiato ma di cui oggi denuncia gli effetti».

Sta dicendo che quella di ieri è una denuncia inutile?

«No, dico che arriva in ritardo. Ma forse ora anche loro capiranno che pensare "business as usual" non è più possibile. Bisogna ripensare a che modello di agricoltura si vuole. Serve prestare attenzione alle cooperative, alle donne che stanno nei campi, ai modelli territoriali».

Il direttore della Fao Jacques Diouf ha puntato il dito, fra l’altro, verso la crisi economica e la conseguente riduzione dei finanziamenti: condivide almeno questa parte dell’analisi?

«Più soldi per le cose sbagliate non faranno che rendere l’agricoltura più vulnerabile. Più soldi per comprare sostanze chimiche significa nel lungo periodo aumentare il numero delle persone che soffriranno la fame. Significa mettere i produttori in una trappola sempre più profonda: dovranno fare più debiti per comprare semi ogm e prodotti fertilizzanti. Se questa è la strada non verrà niente di buono dai finanziamenti. Pochi o tanti».

Quale strada occorrerebbe seguire a suo avviso?

«Dare soldi in modo corretto. Puntare sull’agricoltura di piccola scala. Sull’uso delle sementi locali. Offrire appoggi a chi punta sul biologico. E non dare sussidi per i fertilizzanti chimici».

Quali sono secondo lei le responsabilità dei Paesi ricchi?

«Hanno imposto l’uso di ogm: lo hanno fatto con l’arma del dumping, offrendo sussidi ai produttori di queste sostanze che le hanno così potute vendere a basso prezzo nei Paesi poveri. Creando una dipendenza».

È un processo reversibile?

«Forse. Ma bisogna innanzitutto fermarsi. In questo senso la crisi economica può, anzi deve, essere un’opportunità. Tornare a una scala locale di produzione e di consumo, puntare sul biologico. E finirla con i sussidi che, ricordiamocelo, sono pagati dai contribuenti: sarebbe bene che fossero usati in altri modi».

Ma nei supermercati biologico è spesso sinonimo di caro...

«A causa dei sussidi. Se non ci fossero non sarebbe così. Ci sono Paesi e regioni che hanno interrotto il ciclo e dimostrato nei fatti quello che sto dicendo: prendiamo il caso di Cuba, del Brasile o della Toscana, che ha ricevuto riconoscimenti a livello mondiale per il suo modello agricolo di eccellenza. Che è su base locale e ripudia gli ogm».