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Il "traditore" Pound

di Maria Luisa Ardizzone - 15/10/2009


Il giorno dopo la caduta del fascismo e quel 25 luglio che decise le sorti del nostro paese, si avviava in America una vicenda laterale alla nostra e tuttavia a questa strettamente legata. Il 26 luglio 1943 il governo degli Stati Uniti, in guerra con l’Italia, proclamava traditore della patria un poeta nato nell’Idaho (il 30 ottobre del 1885), ma consegnato all’Europa dal 1909. Già celebre negli ambienti letterari europei ed americani, il poeta, che si chiamava Ezra Pound, viveva sin dagli anni Venti a Rapallo. Di lì a due anni l’accusa di tradimento avrebbe condotto l’autore dei Cantos alla detenzione nella gabbia di Pisa e più tardi alla dichiarazione di infermità mentale, emessa dalla corte di Washington dopo un processo non celebrato.
Tredici anni nel manicomio criminale del St. Elizabeths’ di Washington sono a distanza di decenni i nudi fatti che parlano da soli. Che l’accusa di tradimento sia stata formulata a causa di quei discorsi che dalla radio italiana Pound diramava per l’America, è cosa nota. Così come è altrettanto noto che il sostegno dato da Pound alle forze dell’Asse è da ricondurre alla sua polemica contro l’usura, al suo antisemitismo e alle accuse di natura economica che Pound muoveva all’America di Roosevelt. Meno noti però sono altri fatti. E cioè che il Pound antisemita e filofascista era negli stessi anni e soprattutto nei primi anni Quaranta impegnato a scrivere il suo paradiso, strutturandolo, secondo quanto indicava, come «cielo sereno e filosofico». L’Università di Austin, nel Texas, conserva un volume che, dal bollo apposto che aggiorna il prezzo di copertina al 1940, ci informa che Pound aveva comprato in quel periodo una copia della Metafisica di Aristotele nell’edizione Laterza curata dal Carlini del 1928. Il volume, ampiamente glossato, conferma quanto uno studioso americano, Tim Redman, ha segnalato e cioè che la corrispondenza tra Pound e il Ministro dell’educazione fascista verteva sulla terminologia della Metafisica aristotelica. Gli anni in cui è più virulenta la polemica antisemita poundiana sono dunque anche gli anni in cui Pound è tutto volto a formulare filosoficamente il suo paradiso. In un volume apparso di recente negli Stati Uniti, chi stende questa nota ha raccolto una serie di scritti in prosa inediti, e sull’evidenza di questi testi ha ricercato una possibile relazione tra la polemica antiusura e antisemita e la scrittura del paradiso. Il paradosso in cui incorreva l’uomo che detestava i paradossi è evidente: sia la polemica antisemita che il paradiso tentavano di opporre al male e all’orrore (usura) il bene.
I testi valutati permettono ora alcune considerazioni che si possono sintetizzare in questo modo: l’antisemitismo di Pound alla fine degli anni Trenta è la risultante di una complessa linea di riflessione personale, poco legata alla propaganda nazi-fascista. Il fatto che Pound applichi alla critica dell’usura certe categorie che applica alla critica della logica e del linguaggio dice, da una parte, che questo antisemitismo fu di natura soprattutto teorica, ma insieme dice che fu molto più forte di quanto non si tenda a minimizzare. Allo stesso tempo però quanto si rivela è che va fatta una distinzione tra antisemitismo e usura, e che il problema dell’usura – sino a un certo punto identificabile con l’antisemitismo – è tuttavia molto più forte dell’antisemitismo stesso. Il più tardo Pound, che andrà oltre l’usura identificando come radice del male l’avarizia, segnala nel nuovo nome il punto di arrivo di una riflessione complessa. Il Paradiso si costruisce dunque come opposizione a una stratificata nozione di "avarizia", solo parzialmente identificabile con quella di Dante. In questa Pound rinviene le radici del male della cultura occidentale, lì dove essa presiede nascosta dietro nomi diversi al suo pensiero, alla sua logica e al suo linguaggio. Tra gli scritti selezionati risale ai primi anni Quaranta un blocchetto di appunti: Estetica Pragmatica di Ezra Pound scritti per George Santayana, dove Pound, nel ripercorrere i momenti salienti del proprio pensiero estetico, lo rileva come intrinsecamente opposto a quello crociano. Steso in un italiano approssimativo, il testo annuncia: «Pound non ha scritto un trattato di estetica, Nihilhominus esiste un sistema estetico nelli scritti suoi, corerente, non nato perfetto e compiuto nel 1910 ma sviluppandosi continuamente e coerentemente...». Egli passa così in rassegna le tappe fondamentali della sua estetica e a penna aggiunge: «punto di vista tutt’altro dal Crociano». Quale sia questo punto di vista lo si legge qualche pagina più avanti: «filosofia, l’espressione filosofica non è altro che un’espressione approssimativa, vaga, fluida, l’arte conquista una manifestazione più precisa. Qui la contraddizione della gerarchia crociana». Un appunto a penna aggiunge «lettera a George Santayana». Deduciamo così che le conversazioni tra Santayana e Pound, iniziate nel ‘39, avevano tra l’altro come oggetto la critica del pensiero crociano e di questo pensiero soprattutto la sua gerarchia dei gradi dell’attività spirituale e di cui, come noto, per Croce l’arte occupa il primo partendo dal basso. Ma l’opposizione a Croce e i motivi di questa opposizione, Pound li aveva formulati in un di poco precedente scritto in italiano dal titolo assai perentorio: La malattia di Croce in rapporto con le tendenze dell’epoca. Saggio diagnostico con intenzione terapeutica, oggi conservato alla Beinecke Library di Yale.
Lo scritto non è concepito come un attacco. Pound chiarisce subito: «Quindici anni fa avrei scritto un attacco. Oggi che la quotazione delle opere crociane è ribassata vorrei fare un’analisi in spirito benevolo ma non sentimentale... la mia benevolenza è la benevolenza scientifica del medico. Benedetto Croce non mi pare un uomo maligno fuorché di (sic) quell’elemento di malvagità incosciente che esiste in ogni borghese educato e cresciuto nell’era mercantilistica e che sino adesso non abbia compreso che la crisi non era NEL ma DEL sistema usuraio demo-liberale».
Agli occhi di Pound, Croce appare soprattutto responsabile di staccare l’arte dalla totalità della realtà, implicitamente riducendone il valore: «L’arte è sempre totalitaria, il predominio dell’arte, magari della poesia sopra la prosa è in misura della sua totalità. All’antipodo (sic) dall’arte risiede la schizofrenia, cioè il funzionamento di una metà o d’una parte del cervello indipententemente dall’altra metà e nell’inconscio del resto dell’entità intelligente». Pound attacca nella sostanza l’idea crociana che l’arte preceda il momento della riflessione. E cioè proprio l’idea di arte come intuizione. L’arte comprende e implica tutta quanta l’attività cerebrale. E in questo senso conquista una manifestazione più precisa. Egli vede nell’estetica crociana un procedere per astrazioni, che egli definisce un errore filosofico e questo errore gli appare sintomo di una divisione nella coscienza. Ma cosa oppone Pound? La supremazia della conoscenza dell’arte opposta al primato della conoscenza filosofica implica una caduta nell’estetismo?
Estetica pragmatica svolge un concetto di arte e di estetica che spiega perché – a detta di Pound – l’arte conquista una manifestazione più precisa di quella filosofica, ponendosi, perciò, come il grado alto dell’attività dello spirito. I vari scritti motivano perché la conoscenza dell’arte si oppone alle astrazioni, che Pound lega all’avarizia, e perché il Paradiso cresca su questo tipo di conoscenza. Per mettere a fuoco i modi di questa conquista, Pound riformula il concetto di arte rivalutando un percorso della storia di Occidente dove a guidarlo saranno le grandi rocce della cultura europea: dall’Aristotele dell’Etica Nicomachea a Bacone, Cartesio, Leibnitz e, importante, Giovanni Gentile. Ma si sbaglia chi pensi che sia la fede fascista a guidare Pound nell’opposizione a Croce e nell’adesione a Gentile. Studi vichiani di Gentile, nell’edizione del 1927, fa parte dei volumi glossati e riglossati da Pound negli anni Quaranta. E qui troviamo riportato a matita dal poeta sul frontespizio il vichiano «verum et factum convertuntur», Il problema del vero e della sua conoscenza è anche il problema del paradiso. La bellezza dell’arte risiede nella sua verità, la verità dell’artista è la verità del fare. L’artista conosce la propria opera perché l’ha fatta. E per lo stesso motivo l’uomo conosce la storia.
Questo concetto di verità non guarda all’arte come a una attività intuitiva in cui convengono tutte le facoltà dell’oggetto, ma al processo del costruire proprio dell’arte come attività razionale. Brancusi è nel paradiso dei Cantos perché ha dato una forma nella sua opera a questa assoluta verità dell’arte.
Il Paradiso formula i vari livelli conoscitivi come tappe verso un Vero che appartiene allo spazio e al tempo. La storia che nei primi anni Quaranta Pound indica come "purgatorio" implica la tensione a uscire dall’errore. Cercare il vero e tuttavia in questo e per questo errare, perché questa è la condizione stessa della ricerca? Essenziale poesia, molti anni dopo registrava, forse, le scaglie di un perplesso interrogarsi:

"Molti errori, / un po’ di ragione
E perché sbagliano, / mirando al giusto" (?).