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Freud e il disagio della civiltà

di Marco Iacona - 15/10/2009


Cos’è la felicità su questa terra? Epicuro si occupò di distruggere alcuni pregiudizi e poi si dette a definire la felicità come calma dell’anima e vita secondo i dettami del piacere. Una ricerca che però non doveva oltrepassare i limiti del necessario e spingersi oltre quello che è nell’umano potere. Una saggezza del vivere che, infine, non poteva non sfociare in un certo ottimismo. A dividere Epicuro di Samo (341-270) da Sigmund Freud ci sono parecchi secoli e soprattutto l’episodio dell’avvento di Cristo e della nascita della religione basata sulla vita e la dottrina di Gesù. Anche Freud tuttavia si occuperà dello stesso tema epicureo, confermando che malgrado il tempo trascorso i temi dibattuti dagli uomini saranno sempre gli stessi). E lo farà a suo modo in un saggio del 1929 che è un po’ una data simbolo per l’Occidente: Il disagio della civiltà, che è anche un lavoro fra i più noti del medico di Freiberg. Diviso in otto parti diseguali, Freud si misura con questioni religiose, sociali, oltreché naturalmente con i temi cari alla sua psicanalisi. A ottant’anni dalla prima uscita andrebbe ricordato per l’importanza che assume il pensiero “sociale” derivato dall’analisi della psiche umana. Non occorrerebbe dirlo, ma il papà della psicanalisi ha rivoluzionato la cultura a cominciare da quella medica (una delle discipline principe del Novecento), come mai nessuno prima. Forse solo Socrate o Kant possiedono la sua stessa importanza; anche San Paolo, figura fondamentale per il cristianesimo, può reggere con facilità il suo passo. Non citiamo a vanvera la religione cristiana, perché proprio dalla sensibilità religiosa prende spunto il lavoro di Freud: la fonte dei bisogni religiosi è data dall’impotenza infantile e dalla nostalgia del padre. È più un bisogno di protezione, insomma, che un sentimento “oceanico” presente in milioni di uomini e che, così com’è, viene catturato dalle chiese e dai sistemi religiosi. Dalla religione alla felicità il passo è breve. Felicità è soprattutto “accoglimento di sentimenti intensi di piacere”, dice Freud. Ma l’individuo freudiano al contrario di quello epicureo (per cui al saggio la felicità è possibile) non è fatto per essere felice, perché il “programma” del principio del piacere è in conflitto col mondo intero per la forza della natura, per la debolezza fisica dell’uomo e per l’inadeguatezza delle istituzioni che regolano il “vivere civile”. Due motivazioni per così dire “costituzionali” e una di tipo “sociale”.
Al più, per Freud, la maggior conquista può essere quella della difesa dal mondo esterno, lo sfuggire cioè al dolore mediate tecniche artificiali di “intossicazione”, o pratiche inebrianti o, al contrario, grazie alle tecniche di dominio controllato delle pulsioni o di sublimazione diretta. Esistono, però, altre soddisfazioni ancora di tipo “fantastico” che sono quelle dell’arte tout court. La parte positiva della felicità, quella che non implica un atteggiamento passivo e rinunciatario è invece rivolta all’amore, in primo luogo (naturalmente) a quello sessuale. Ma non è tutto. A dimostrazione dell’importanza che assume per Freud la resistenza al dolore quotidiano (dunque ancora la parte negativa), ci sono stili di vita che consistono nel rifiutare il mondo o nel volerlo cambiare o trasformare fino a sfiorare il vero e proprio delirio di onnipotenza. Qui si incastra, ancora una volta l’idea della religione: «Alla stregua dei deliri collettivi siffatti», scrive nel Disagio della civiltà, «dobbiamo caratterizzare anche le religioni dell’umanità», e poi ancora: «La tecnica della religione consiste nello sminuire il valore della vita e nel deformare in maniera delirante l’immagine del mondo reale, cose queste che presuppongono l’avvilimento dell’intelligenza». Difficile utilizzare periodi più luminosi no? Ma il testo freudiano, si diceva, è soprattutto un saggio sulla “società”; e da questo punto di vista la questione della mancanza di felicità è imputabile a quella che tutti chiamano “civiltà”. Oggi un gran numero di individui è nemico della civiltà, per motivazioni assai complesse. Per colpa del cristianesimo e della sua vittoria sulle religioni pagane (e la conseguente «svalutazione della vita terrena compiuta dalla dottrina cristiana»). Ma altri eventi sono alla base dell’ostilità alla Kultur: la scarsa conoscenza della vita dei primitivi che ha portato a una sopravvalutazione della felicità di quei popoli e a una conseguente critica della cosiddetta “civiltà superiore”; e infine anche la scoperta dell’origine delle nevrosi basate sulle pretese delle civiltà ”moderne”. C’è però una verità ancora più crudele: è la libertà individuale, per Freud, a essere nemica della civiltà (e viceversa). E contro di essa ovviamente sono anche le pulsioni. La civiltà impone sia i sacrifici sessuali sia il controllo dell’aggressività. Ecco spiegato perché l’individuo non conosce molti gradi di soddisfazione: «Di fatto l’uomo primordiale stava meglio, poiché ignorava qualsiasi restrizione pulsionale. In compenso la sua sicurezza di godere a lungo di tale felicità era molto esigua. L’uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza». Per il nostro medico la partita si giocava fra individuo e società, e a fare da arbitro i sensi di colpa. Parole che non andrebbero mai dimenticate. Un valore aggiunto per la ricerca di un equilibrio relazionale e comunitario.