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La tematica della Sibilla secondo Giuliana Poli

di Umberto Bianchi - 25/10/2009

 

 
La tematica della Sibilla secondo Giuliana Poli
 



In mezzo a tanto parlare di località che promanano mistero, di siti archeologici che rimangono tuttora dei veri rompicapo, si fa quasi sempre riferimento a località situate fuori dall’Italia, quasi il Bel Paese avesse in questo senso poco da offrire, nel nome di un esotismo che, in questo caso, è veramente fuori luogo. E’ quanto Giuliana Poli, studiosa di antropologia, giornalista e valente scrittrice, cerca di dimostrarci ne “L’antro della Sibilla e le sue sette sorelle”, appassionata disamina sulla Sibilla Appenninica e sui significati ad essa connessi. Una ricerca resa ancor più appassionata dal fatto che la Poli è originaria di queste affascinanti località, da millenni oggetto di pellegrinaggi, visite e straordinari sincretismi tra popoli e tradizioni differenti. Quella della Sibilla è una figura antichissima, si può dire senza tempo; rappresenta difatti l’archetipo della profetessa, dell’iniziata, di colei che, unica tra gli umani, possiede il prezioso dono di udire le parole delle divinità. E’ colei a cui gli umani si rivolgono quando, sopraffatti dall’inquietudine sentono il bisogno di comunicare direttamente con la dimensione di quella trascendenza intrascendibile ed incomprensibile da parte del resto del mondo, se non da Lei, che ne sa far emergere le parole dall’abisso di mistero da cui è circondata.
Parole che spesso sono oscuri aforismi, responsi la cui interpretazione richiede attenzione, acume ed ingegno e da cui, in terra d’Ellade, prenderà il via la speculazione filosofica, che da interpretazione delle parole della Profetessa si farà via via interpretazione della stessa realtà. La stessa etimologia del termine Sibilla, anche se frutto di molteplici interpretazioni, sembra comunque ricondurre ad un unico significato che è quello di “segno, avvertimento, volontà, deliberazione di Dio”, sia che venga dal greco “sioù-boulèn” (citaz . da Varrone) sia dal capovolgimento del suo nome in Lib-ys che Pausania, rifacendosi ad Euripide, vuole ispirato dalle origini libiche della più antica tra queste figure. Secondo la leggenda, Apollo si innamorò della bella Sibilla, promettendole l’immortalità. Frettolosamente la giovane accettò l’offerta, dimenticandosi di richiedere al Dio anche la giovinezza, invecchiando via via sino a divenire una voce invisibile. Apollo, innamorato avrebbe restituito la giovinezza alla Sibilla, a patto che costei acconsentisse alle sue voglie ma, per non perdere il dono profetico, la donna non ne volle sapere, lasciandosi andare ad un destino di inesorabile, ma lentissimi invecchiamento, durante il quale avrebbe vagato per il mondo cambiando nome di volta in volta. Con il tempo quello di Sibilla, da nome proprio, diverrà un termine generico, indicante appunto una oracolante, diversamente chiamata a seconda delle località in cui andrà a risiedere. Gli antichi le suddivideranno in tre gruppi: orientali, greco-ioniche e greco-italiche, a cui nell’Evo Medio saranno aggiunte altre figure. Al primo gruppo appartengono la Sibilla Libica, quella Persica e quella Egizia, per citarne alcune. Al secondo gruppo appartengono la Sibilla Ellespontica, quella Troiana, quella Gergitica ed altre ancora. Nel terzo gruppo abbiamo la più famosa tra le Sibille, quella Cumana, quella Tiburtina e quella Italica, oltre ad altre ancora. Tra quelle medioevali abbiamo, invece, la Sibilla Chimica, quella Italica ed infine, tra quelle che ci interessano più da vicino, quella Appenninica o Picena e quella di Norcia o Norzia. Allo stesso tempo nomi come Amalthea, Dafni o Deifobe ci indicano la tendenza a riattribuire nomi propri a queste figure per non lasciarle nel campo della genericità. Secondo l’Eneide la Sibilla Cumana guiderà Enea nel suo viaggio nell’Ade, mentre la Sibilla Appenninica è già menzionata da autori come Licofrone ed Eraclito. Le Sibille medioevali dell’Italia centrale, dunque, altro non sono che riedizioni attualizzate delle antiche Sibille, a loro volta innestate su un substrato che affonda le proprie radici nella religiosità pre-indoeuropea, tutta incentrata su una netta prevalenza dell’elemento femminino (Grande Madre). La stessa matrice indoeuropea qui risente di due differenti elementi che andranno via via intersecandosi: quello celtico con il Dio Poeninus (da cui per l’appunto il nome di Appennino) e quello italico, con il Dio Picus Martius, rappresentato dal popolo dei Piceni e dai loro primi antichi insediamenti. Ma la ricerca della Poli, ben lungi dal limitarsi ad un arido e descrittivo nozionismo, cerca di penetrare l’essenza della religiosità sibillina, muovendosi sia sul binario della ricerca religiosa che su quello di un vero e proprio percorso esoterico, che trova i propri principali motivi di ispirazione in quella tradizione mitografica orale che fa della regione sibillina un vero e proprio “unicum”. La leggenda delle Sette Sorelle e la sua relazione con il cospicuo numero di chiese sparse nella regione montuosa e la cui dislocazione topografica viene fatta corrispondere con la Costellazione della Vergine. I fregi riportati sui portali delle chiese e degli edifici della regione, carichi di simbolismi esoterici. La caverna della Sibilla e la sua misteriosa abitante, la Regina Sibilla e le peregrinazioni del Guerin Meschino oggetto delle narrazioni di un Andrea da Barberino, di un Cecco d’Ascoli o di un Antoine de la Sale. Tutto questo ci riporta costantemente ad una sapienza antica che affonda le proprie radici nella stessa essenza dell’uomo e nella sua innata capacità a tradurre in simboli e ad interpretare così la multiforme realtà circostante ed i suoi continui rimandi ad una dimensione “altra” nascosta, ma comunque onnipresente. E così la dislocazione delle chiese sibilline ci riporta a quella perfezione celeste, attraverso cui orientare ed ispirare la realtà su questa terra. Le ruote solari, i fasci di spighe e gli altri simboli che campeggiano sui fregi delle chiese e sui portoni dei palazzi, ci riportano a quel potente legame mistico con la natura e con la sua magnanima fecondità, che trova nei culti solari la sua più rarefatta e sofisticata espressione. L’antro della Sibilla si fa microcosmo per un percorso iniziatico di conoscenza e redenzione di cui la Sibilla è l’oscuro tramite, e che trova via via nelle antiche spelonchae dell’età primeva dell’uomo, nella caverna platonica e negli antri mitraici, le proprie più pregnanti manifestazioni, connesse con la dimensione solare e queste nuovamente con Lei, la Sibilla-Regina, ora non più nel ruolo di semplice profetante, ma simbolo imperituro di quell’universale principio femminile che tutto sembra permeare di sé. Solitaria Grande Madre, Acqua di Vita o Regina Celeste unita ad un altrettanto Celeste Re, nelle complementari figure del celta Poeninus o dell’italico Picus Martius, la Sibilla sembra essere ora solo una delle tante ierofanie che di quando in quando compaiono sulla strada dell’uomo sin dalla notte dei tempi e che fanno dei Monti Sibillini un vero e proprio centro di riferimenti geomantici e sacrali. Qui, più di altrove, tutto sembra connettersi in un unico filo che sembra unire le divinità pre-indoeuropee, quelle italico-celtiche, quelle solari e stellari del tardo impero, sino ad incarnarsi nei motivi cristiani dell’Evo Medio, tra cui quello della Vergine Maria, sino ad immedesimarsi nei motivi misteriosofici della Rinascenza e nelle fiabe popolari. A questo proposito ci sembrano squallide e pretestuose le polemiche che hanno accompagnato il libro della Poli, dettate più che altre da un’invidia mascherata da interpretazione pseudo-scientifica, tutta incentrata sulla provenienza storica dei fregi a carattere esoterico. La loro provenienza da precedenti strutture templari (come dalla Poli ipotizzato) o invece da una più tarda manifattura rinascimentale (come invece vorrebbero tal’altri, tra cui i detrattori dell’autrice), non sminuisce assolutamente il principio cardine dell’intero libro imperniato sulla continuità tra passato e presente di una tradizione che, attraverso una generosa e potente profusione di simboli, continua, attraverso le proprie tracce, ad esser ben presente sui Monti Sibillini.