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Dell’ignoranza arroganza e cattivo gusto nel quale la nostra “societa civile” sta affondando

di Franco Cardini - 25/10/2009

Foto di Giliola Chistè, www.giliolachiste.com

A tutti gli interessati

Mi permetto di comunicare un evento che, sul piano del costume attuale, non mi sembra da trascurare.

Come molti ricorderanno, nell’aprile del 2009 si tennero a Roma le esequie di Giano Accame, giornalista e scrittore, ottantacinquenne circa, ex volontario adolescente della RSI. In quell’occasione, alcuni presenti salutarono la salma con un “saluto romano” che suscitò nei mass media vari commenti, per la più parte negativi, alcuni scandalizzati; e tra essi non ne mancarono di bèceri, violenti, fanatici, inintelligenti.

Il 20.4.2009 il quotidiano romano “Il Tempo” pubblicò al riguardo in prima pagina due commenti affiancati, uno duro e severo di Giancarlo Lehner, giornalista e deputato pdl, uno più flessibile e conciliante del direttore Roberto Arditti.

Fu appunto il direttore de “Il Tempo” che, quel giorno stesso, chiese anche a me di commentare l’accaduto: cosa che feci riferendomi alle reazioni più sgradevole e scomposte di cui ero a conoscenza. Non citai casi particolari riguardo ad esse, perché sul momento erano sotto gli occhi di tutti e perché non li ritenni meritevoli di speciale attenzione. Questo il testo dell’articolo:

Tristi tempi. In Memoriam di Giano Accame

La squallida polemica innestata a proposito dell'estremo saluto riservato giorni fa a Giano Accame non meriterebbe forse, per un minimo di rispetto dovuto anzitutto alla sua memoria e quindi a noi tutti, ulteriori commenti. Ma qui si tratta di una questione morale. E le questioni morali sono antipatiche e in genere si risolvono in un danno per chi le solleva. Tuttavia, le persone oneste non possono evitarle.

Tanto meno io, che volevo bene a Giano da quando ci eravamo conosciuti nel '63, a Firenze, nella sede de "Il Borghese", insieme con Attilio Mordini.

Il cosiddetto "saluto romano", nato da un equivoco neoclassico (era in realtà un giuramento, immortalato dal pittore napoleonico David), ha una storia complessa nel XX secolo e non si può ridurre all'apologia del genocidio antisemita. Ciò è contro la storia e contro ogni ragionevolezza. L'ultima volta che ho visto una folla immensa eseguire quello che, là, si chiamava il "Saludo a Franco", è stato a Madrid, in Plaza de Oriente, verso il 1966: era in corso una manifestazione di solidarietà nei confronti del Caudillo, che la comunità internazionale aveva ostracizzato di nuovo dopo la condanna capitale inflitta al capo comunista Grimau. Il governo franchista aveva ufficialmente rinunziato al "Saludo a Franco", che però i falangisti continuavano a usare ufficiosamente. Francisco Franco è stato un dittatore che si è reso responsabile di molti crimini: tuttavia è stato ritenuto benemerito, nel mondo ebraico, perché durante la guerra moltissimi ebrei sono stati salvati grazie alla concessione di un passaporto spagnolo. Credo che, con qualche analogia con quell'evento, chi giorni fa ha voluto onorare le spoglie di Giano con un gesto che ha scandalizzato qualche imbecille, non intendesse né far apologia di fascismo, né tanto meno esprimere convinzioni razziste. Intendeva soltanto onorare non quel che il fascismo è stato storicamente, ma quel che esso ha coerentemente rappresentato per lui, per Giano. Che forse sbagliava, forse s'illudeva: non lo so e non m'interessa. Ma il suo fascismo, quello per cui avrebbe voluto morire adolescente e quello nel ripensamento anche doloroso del quale ha continuato a vivere e a scrivere non era fatto né di razzismo, né di violenza: era amor di patria, senso dello Stato, desiderio profondo di giustizia sociale, volontà di pensare con la propria testa e secondo la propria coscienza anziché secondo il proprio interesse, speranza in un'Europa del domani veramente unite e indipendente. Forse, quel che il fascismo avrebbe dovuto essere e non è riuscito ad essere. Ma a quelle illusioni - come a tante, a tutte le illusioni vissute in onestà, in buona fede, con vigile senso critico e pagando di persona - si deve soltanto rispetto. Era ciò che quelle mani alzate volevano esprimere.

L'indegna polemica sollevata non meriterebbe che si aggiungesse altro. Ma, siccome vorrei dire invece tante cose, desidero narrare un aneddoto di molto tempo fa. Perché tutti noi gente del XX secolo, noi che ormai abbiamo superato le sessanta primavere e più, siamo stati toccati in qualche modo dal "Fattore F" o dal "Fattore K", siamo stati o fascisti o comunisti, o antifascisti o anticomunisti: e la storia non solo non si cancella, ma non si deve neppure ignorare. E tanto meno tradire. Nel '63, l'anno a cui risale la mia amicizia con Giano, avevo ventitré anni ed ero dirigente universitario del MSI di Firenze. Oggi so molte cose che allora non sapevo e non credo più in molti dei valori nei quali mi riconoscevo allora: ma mi ci riconoscevo onestamente, quindi non me ne vergogno né me ne pento. Morì in quell'anno, in un tragico incidente, un venticinquenne mio fraterno amico Giovanni Francovich, (fatalità: in modo analogo, un paio di anni dopo, e venuto a mancare anche suo fratello, l'archeologo Riccardo, un altro amico a me carissimo). Era un dirigente del Partito Socialista di Unità Proletaria e figlio del professor Carlo Francovich, illustre storico e ex dirigente del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale. Giovanni ed io ci eravamo conosciuti facendo a pugni ed eravamo diventati amici più che fraterni: era un giovane coltissimo, intelligente, profondamente buono e generoso. Anche molti miei giovani camerati del MSI di allora lo amavano e lo stimavano.

Eravamo meno di una decina, noialtri, ai funerali di Giovanni irti di bandiere rosse. Avevamo indossato tutti un maglione nero, per sottolineare la nostra identità e la nostra volontà di render omaggio a un avversario leale ch'era anche un amico carissimo. Quando la bara di Giovanni calò nella fossa, tutti alzarono il pugno chiuso nel saluto socialista. Lo alzammo anche noi: era un gesto che ci era odioso, ma lo facemmo col cuore gonfio d'una tristezza orgogliosa e quasi gioiosa: per rendere omaggio non a quell'orrore ch'era stato ed era ancora il bolscevismo, ma alla purezza di quel ch'esso era stato negli ideali di Giovanni. Alla fine della cerimonia il professor Carlo Francovich, che era stato imprigionato durante il ventennio fascista e che i fascisti li aveva combattuti davvero, venne da noi, ci strinse la mano e ci abbracciò uno per uno, piangendo. Così, allora, si comportava un galantuomo. Senza buonismi e senza sincretismi. Virilmente.

Per onore di cronaca, aggiungo un particolare che a molti parrà sconvolgente e incredibile. Giovanni Francovich era da molto tempo e sinceramente amico di Adriano Romualdi, il figlio di Pino (altra fatalità: Adriano morì più o meno contemporaneamente a Giovanni, e in modo simile). Si erano conosciuti bambini, dopo la guerra, sulle spiagge toscane. E, attraverso di loro, l'ultimo segretario del PFR e il dirigente del CTLN avevano imparato a conoscersi e a stimarsi. Come diceva l'Ariosto, "Oh gran bontà de' cavallieri antiqui!". Ma capisco che queste cose possano sembrar roba dell'altro mondo a certi cialtroni di oggi, che amano nascondere il vuoto delle idee dietro l'arroganza manichea di chi crede di star dalla parte giusta e ama combattere i draghi del Male Assoluto: non prima tuttavia di essersi accertati che tali draghi siano, in realtà, solo povere lucertole.

Un'ultima postilla: ero all'estero e non ce l'ho fatta a venire al funerale di Giano. Non me lo perdonerò mai. Ma si sappia che, quel saluto romano, l'ho fatto anch'io. Camerata Giano Accame: Presente! E ora, come dice la vecchia canzone castrista, "que me pongan en la lista, porqué yo estoy con él".

Franco Cardini

“Il Tempo”, 21.04.2009

* * *

Per ragioni che ignoro e che poco m’interessano, il Lehner si sentì personalmente chiamato in causa da questo articolo, nel quale non alludevo a quello suo del giorno precedente per la semplice ragione che non lo avevo letto; e inviò al direttore de “Il Tempo” la nota che fu pubblicata il 22.4. in quella sede e che qui riporto citandola letteralmente:

La polemica di Giancarlo Lehner

Caro Cardini, non tarderai a chiedere scusa

Caro Arditti, il fardello di un cognome israelita e ancora duro da portare.

Per aver stigmatizzato il saluto fascista e quello comunista in pieno 2009, mi sono preso gli insulti di Franco Cardini, il quale è scivolato financo nel rancore da stadio, evitando, però, non proprio "virilmente", di chiamare per nome il suo bersaglio. Suvvia, un po' di coraggio, camerata Franco, essendo tuo fratello maggiore, compatendoti, non ti avrei, comunque, querelato. Non porgo l'altra guancia, ma non minaccio neanche occhio per occhio, dente per dente. Quando ti sarai acquietato, sono sicuro, anzi, che sentirai il dovere, mostrando tutto il tuo coraggio, di chiedermi scusa. Per la stima e l'affetto che ti porto, egregio Arditti, evito di chiosare il titolo di pagina 18 del Tempo di ieri, una roba che avrebbe dato fastidio, per l'eccesso di retorica roboante, anche al notevole e sobrio giornalista, che fu Benito Mussolini. Comunque, tutto serve, anche l'apprendere che la cultura dell'odio, dello sterminio e dell'intolleranza, storicamente condensata nel pugno chiuso e nella mano tesa, non ha soltanto causato, nel XX secolo, efferati crimini contro l'umanità, Olocausto e oltre cento milioni di vittime innocenti. No, ha generato anche il monstrum di coloro che, nel Terzo Millennio, rimangono ancora bloccati, non so se in buona fede, ma, certo, per infantilismo e paura di crescere, a quelle funeste gestualità. L'incontinenza verbale di Cardini mi ha, fra l'altro, disvelato quante lacrime e sangue abbia dovuto versare - e ancora, evidentemente, non bastano - Gianfranco Fini, nel generoso tentativo di traghettare la sua area politico-culturale verso gli orizzonti occidentali della moderna destra liberaldemocratica. Dentro il Pdl, sia chiaro a tutti, non sono ammessi pugni chiusi e saluti romani, per l'ovvia ragione che si tratta del popolo della libertà e non dei Gulag e dei lager. E non solo nel Pdl, bensì in tutto il Bel Paese, se vogliamo che Bello rimanga, i nostalgici del nazicomunismo e del patto Molotov - Ribbentrop hanno soprattutto un imperativo categorico che è quello di pentirsi e di chiedere scusa. In questo terzo millennio che pure è cominciato con la strage alle Torri Gemelle, con il fondamentalismo islamico e con le atroci crisi finanziarie, abbiamo già tanti guai e tanti terremoti tuttora in corso per continuare a perdere tempo con coloro che sono ancora fermi al pugno chiuso e al saluto romano.

Giancarlo Lehner

“Il Tempo”, 22.4.2009

* * *

Credo che qualunque lettore possa serenamente verificare che quell’articolo non conteneva alcun insulto – il cenno ai “cialtroni” arroganti e manichei era al massimo una constatazione – e che non poteva aver alcun riferimento alle parole scritte dal Lehner il 20.4., ch’erano – e desidero sottolinearlo: chi vuole può andar a rileggerle - di altro tenore. Sfido d’altronde chiunque a rintracciare nelle mie parole accenti di “rancore da stadio” e tanto meno tracce di “cultura dell’odio, dello sterminio e dell’intolleranza”. Fu del tutto arbitrario da parte del Lehner il sentirsi coinvolto nel mio giudizio e aver attribuito nella sua nota il fatto che non avessi citato personalmente il suo nome a una qualche paura, da parte mia, di una querela che non riesco francamente a capire su quali basi avrebbe mai potuto appoggiarsi. E’ inoltre strano che il Lehner da una parte fosse contrariato di non essere stato personalmente citato e dall’altra parlasse – a meno che il sottotitolo della sua nota non sia “redazionale” – di un “fardello di un cognome israelita” ancora “duro da portare”: mi pare vi sia un’obiettiva contraddizione tra i due fatti, dal momento che il suo cognome non era stato fatto (et pour cause, poiché l’articolo non alludeva a lui). Quanto a “incontinenza verbale” e a “infantilismo e paura di crescere”, giudizi espressi da chi sosteneva d’altro canto di poter rintracciare gli estremi per una querela nelle parole altrui, lascio che sia chi legge a esprimere un giudizio.

Non replicai immediatamente alla nota del Lehner, perché non ne venni a conoscenza. Debbo per dovere di lealtà aggiungere che mi sarei aspettato dalla direzione di quel quotidiano, al quale collaboro dal 1976, un avvertimento al riguardo: esso non ci fu, e l’incidente cadde così nel nulla.

Ma il 24.10.2009, oltre sei mesi dopo, sono venuto del tutto casualmente in contatto, on line, con la nota del Lehner. E’ passato molto tempo, ma non posso comunque tollerare quella che ritengo una gravissima offesa alla mia immagine di studioso e di cittadino. Ho pertanto inviato, in data 25.10., la seguente lettera al direttore de “Il Tempo”:

“Caro Direttore,

chiedo scusa a te e ai lettori, ma sono un lettore molto saltuario e disattento dei quotidiani, anche di quelli cui collaboro; e per giunta ‘Il Tempo’ non è troppo reperibile nella mia città. Solo ieri 24 ottobre, con oltre sei mesi di ritardo, mi sono casualmente imbattuto on line nella nota con la quale, il 22.4. scorso, Giancarlo Lehner pretende da me delle scuse per un attacco giornalistico del quale non l’ho mai fatto oggetto. Come ricorderai, il 20.4. mi chiedesti telefonicamente d’intervenire a proposito di quella che continuo a ritenere un’indegna e indecorosa polemica scatenata in margine ai funerali del compianto Giano Accame. Redassi l’articolo da te pubblicato il 21, senza peraltro conoscer i contenuti dei due ‘pezzi’ nei quali il 20 stesso tu e Lehner commentavate, con toni differenti, l’evento dei ‘saluti romani’.

Nel mio articolo non mi riferivo pertanto a quello di Lehner, che non avevo letto: se egli ha ritenuto di riconoscersi nei “cialtroni” cui alludevo,e che erano parecchi, è affar suo. Delle mie parole, dovessi riscriverle oggi, non ne toglierei e non ne aggiungerei alcuna: e non debbo chiederne scusa a nessuno. Quanto alla ‘compassione’, mosso dalla quale il Lehner rinunzierebbe a querelarmi, può tenersela. Al contrario, lo sfido formalmente a sporger querela: replicherò con una controquerela, chiedendogli conto sia del tono, sia del contenuto della sua nota del 22 che ritengo offensiva, calunniosa e intimidatoria. Affinché i lettori possano rendersi conto con precisione dell’oggetto del contendere, pubblicherç sul mio sito www.francocardini.net sia il mio articolo del 21, sia la mia nota del 22. Cordiali saluti. Franco Cardini”.

* * *

So bene che, con tutto quel che accede in Italia e nel mondo, queste cose valgono davvero meno di pagliuzze colorate. Eppure, questa piccola vicenda mi sembra ben rappresentativa dello stagno melmoso d’ignoranza, di arroganza, d’intolleranza, d’inintelligenza e di cattivo gusto nel quale la nostra “societa civile” sta affondando. E’ con molta tristezza che affido questo episodio al giudizio di quanti sono interessati a quel che faccio e che scrivo. Firenze, 25.10.2009.