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La guerra delle mazzette

di Giovanni Petrosillo - 29/10/2009

 

 

L’Italia, qualche settimana fa, era stata accusata, dai media inglesi, di aver causato indirettamente la morte di dieci militari francesi sul teatro di guerra afghano. Secondo il Times, i nostri 007 non avrebbero delineato, agli alti comandi d’oltralpe, la reale situazione sul campo. Il quotidiano inglese aveva denunciato che i Servizi italiani, per  mantenere un clima di non belligeranza nella regione di Sarobi, a sud di Kabul, avevano utilizzato mezzi “non convenzionali”, come il pagamento di mazzette ai capi taliban. La maldicenza si era poi estesa anche agli altri scenari “coperti”dalle truppe italiane, come la zona di Herat, dove sarebbero stati usati gli stessi sistemi per prevenire gli attacchi a sorpresa della guerriglia afghana.

Il polverone aveva subito raggiunto l’opinione pubblica del Bel Paese, sobillata dall’opposizione la quale aveva accusato il governo di comportamento scorretto nei confronti degli alleati. All’indignazione generale non si era sottratta nemmeno la sinistra barricadiera, antiberlusconiana e autolesionista che prendeva l’ennesimo spunto per gettare fango sull’intero paese avallando l’ipotesi del quotidiano inglese. Inutile spiegare a lor signori che in guerra determinate condotte sono all’ordine del giorno (mentre non è per nulla normale che i nostri militari debbano affrontare un conflitto violentissimo con regole d’ingaggio non adatte al contesto, ma, ancor meno, è accettabile che il nostro Paese debba partecipare ad operazioni belliche di tipo imperiale al solo fine di perpetrare l’unipolarismo statunitense e contribuire all’estensione della sfera egemonica di tale nazione sull’intero globo).

Il Times, come avevamo già ipotizzato in un altro articolo (Gianluca Bifolchi, nomen omen), era stato foraggiato di informazioni riservate dall’intelligence inglese (e quest’ultima, probabilmente, da quella americana), la quale aveva un particolare interesse a screditare l’attuale leadership italiana di centro-destra, non abbastanza supina ai dettami della Nato e degli Usa in tema di geopolitica e di strategia globale. Qualcuno aveva in sostanza deciso di tirare le orecchie a Berlusconi per le sue incertezze sul conflitto (gli americani pretendono dagli alleati un coinvolgimento più fattivo e un aumento dei contingenti perché sono in palese difficoltà e temono di perdere il conflitto) e per le sue cattive frequentazioni internazionali, sulle quali gli Usa nutrono più di qualche perplessità.

Peraltro, alle illazioni del giornale di Murdoch non sono mai seguite delle prove evidenti che dimostrassero in maniera adamantina i fatti contestati.

Dopo il bailamme mediatico e il generale sdegno contro le pratiche “scorrette” messe in atto dagli italiani nella guerra in corso veniamo a conoscenza che “I comandanti militari americani saranno autorizzati a pagare i combattenti talebani che fanno il salto della barricata. Soldi a chi rinuncia a combattere contro il governo di Kabul. La notizia riportata da Al-Jazeera si riferisce a un nuovo documento che Barack Obama dovrebbe firmare oggi [ieri, G.P.]. Forse il Times chiamerà mazzette anche queste, o forse no perché rispetto a quelle che avrebbe pagato l’Italia quelle americane saranno ‘legali’. Sta di fatto che se l’idea la riciclano gli americani agli inglesi andrà bene comunque. Se lo facciamo noi siamo ‘mazzettari’ invece di operatori della pace. La mossa dell’Amministrazione americana, secondo la Reuters, ricalca una strategia già utilizzata in Iraq, dove gli ex miliziani venivano reintegrati nella società irachena” [dal quotidiano Libero].

A questo punto bisognerà vedere se il Times (e le sue sponde in casa nostra, vedi Repubblica o l’Unità) griderà ancora allo scandalo, ma ne dubitiamo fortemente. Chissà poi se il Pd e gli altri cespuglietti che gli gravitano intorno si permetteranno di criticare la loro “madrepatria americana” che fa sempre bene la predica agli altri ma razzola altrettanto male quando si tratta dei suoi interessi di sicurezza. Se qualcuno spera che l’arrivo alla guida del Pd di Bersani possa cambiare qualcosa nelle posizioni di questa sinistra è davvero un ingenuo. Personificare a tal punto gli indirizzi oggettivi di certi processi storici (il fatto che Bersani possa anche essere un brav’uomo non sposta di un solo millimetro le nostre valutazioni politiche sulla compagine dalla quale proviene) è indice di un grande dilettantismo analitico. E’ probabile che l’antiberlusconismo preconcetto risulterà un po’ più affievolito sulla superficie (ma sarà di certo più scaltro nella sostanza); tuttavia nessun ripensamento concreto si sostanzierà, da parte di questi personaggi, sui grandi temi della fase storica e dell’agenda politica italiana, al cui primo punto vi è la fedeltà al padrone d’oltreatlantico Per cui, diciamo sin da adesso, che, almeno per quanto ci riguarda, non siamo disponibili a nessuna apertura di credito nei confronti della sinistra, né abbiamo intenzione di discorrere con chi crede di poter ricalibrare, senza un minimo di realismo, le scelte di quest’ultima.