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Il diritto di replica negato: la Repubblica del linciaggio

di Antonio Caracciolo - 02/11/2009




Mi dicono che è di estrema gravità il fatto che il quotidiano “La Repubblica” non abbia provveduto a pubblicare entro le 48 ore la mia replica all’articolo apparso su di me. Ne ho fatto richiesta per ben 3 volte: il 23, il 26 e il 29. Ho anche telefonato senza risultato. Un quotidiano cartaceo non è un blog personale, sulla cui natura giuridica e sostanziale vi sarebbe molto su cui chiarirsi. Non ho altro strumento a cui affidare il mio pensiero e la mia difesa che questo mio blog, da cui tutto è partito e di cui non mi stanco mai di ripetere che trattasi di una forma di scrittura e una forma di pensiero che non può e non deve essere assimilata alla carta stampata tradizionale (giornali, libri, riviste, atti di convegni, ecc.). Avevo perfino stabilito un regolamento di utilizzo per i lettori dei miei blogs. Ma questo è altro discorso. Riporto ora qui di seguito quella che era stata la mia tempestiva replica a quanto apparso su “Repubblica”. Al pari di Berlusconi – che chiamo a mia difesa come supremo garante del sistema democratico nella sua qualità di capo politico – mi è stato mosso un attacco, le cui cause e finalità intuisco facilmente.

Il testo della mia replica, non pubblicato

Al Direttore della Repubblica,
e p.c. Al Rettore Luigi Frati

Ho trovato nella vostra edizione di ieri 22 ottobre un articolo di tal Pasqua interamente a me dedicato. Trattasi di una totale alterazione e falsificazione del mio pensiero non perché le frasi riportate non possano essere a me riconducibili, ma perché trattasi di una collazione di frasi staccate dal loro contesto organico di migliaia e migliaia di pagine in continua elaborazione e modificazione. Il tutto deve essere inteso unitariamente se si vuole conoscere il mio pensiero. Stante la continua elaborazione e l’ingente mole di testi e di argomenti trattati, è però sempre necessaria la mia interpretazione autentica per chi ne voglia fare un uso esterno ai miei blogs: non ho autorizzato né estratti né manipolazioni. Simili metodi venivano usati dal Tribunale dell’Inquisizione per mandare sul rogo moltissime persone. In un certo senso vi ringrazio per avermi fatto intendere come mai prima d’ora la differenza abissale fra la libertà di stampa che è solo vostra (a mio danno) e la libertà di pensiero che è mia e di ogni comune cittadino, anche analfabeta. Non ho dunque che da sconfessare interamente il contenuto dell’articolo di Pasqua in quanto manipolato nel senso sopra detto.

Peraltro il Pasqua, che mi aveva inizialmente raggiunto sul cellulare, nel quale ho fornito spiegazioni essenziali da lui comunque non riportate nell’articolo, ha poi omesso di chiamarmi il giorno successivo sul mio telefono fisso, avendo io consentito di chiarirgli meglio quanto necessario e di seguito sinteticamente riportato.

Non mi occupo professionalmente e scientificamente di temi riguardanti i campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale. Come filosofo del diritto mi occupo invece dei temi attinenti la libertà di pensiero e di ricerca. Essendo a me noto che sui temi suddetti in paesi come Germania, Francia, Svizzera e spero non anche in Italia esiste una lunga detenzione penale per quelle che io ritengo mere opinioni o tesi o ipotesi di lavoro in quanto tali lecite e garantite non solo dalla nostra costituzione ma anche dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, io ho inteso scendere pubblicamente in campo per la strenua difesa di questi valori costituzionali che sento minacciati: libertà di pensiero e libertà di ricerca, che chiaramente suppongono un loro oggetto, che potrà essere mutevole nel tempo e che nel caso specifico riguarda i campi di concentramento, non oggetto di mia occupazione scientifica e professionale.

Questo è quanto: nulla di più e nulla di meno. Il resto è dettaglio e strumentalizzazione, alla quale credo il vostro giornale sia uso.

*
Si tratta di un testo ormai rigido, cioè non modificabile nel senso che è quello effettivamente inviato e scritto in modo pressochè istantaneo. Il mio modo di scrivere e pensare comporta che io non posso rileggere un mio testo senza riscriverlo in modo diverso, modificandolo, sviluppandolo, approfondendolo: si è così anche dilatata enormemente la sferra dei miei interessi, non ultimo il mio impegno civile per il massacro di Gaza e la pubblicazione integrale del rapporto Goldstone, del quale Repubblica avrebbe ben potuto con maggiore fondamento occuparsi. Se mi sono affezionato a questa forma espressiva che è il blog personale è per questa ragione di continua modificabilità. Non è senza motivo che nella lettera a Repubblica dico che se qualcuno pensa di voler conoscere il mio pensiero deve chiedermelo, non leggere, falsificare e manomettere i miei testi sempre in progress. Ognuno di noi ha diritto all’interpretazione autentica del proprio pensiero: almeno questo!

Sarebbe da sviluppare il tema del rapporto fra stampa, media e democrazia, sempre che di democrazia possa darsene un concetto chiaro e non problematico. Esiste già una letteratura al riguardo. Molti altri ne hanno detto. Qui di nuovo c’è che io nella mia concreta persona tocco con mano quello che prima era soltanto teoria, sentito dire. Caspita! Ognuno di noi sa, o almeno crede di sapere quel che pensa e quel che vuole. Ci si aspetterebbe di essere giudicati e valutati per quello che si dice di pensare e di volere, non per ciò che altri pretendono tu abbia detto o pensato. E se possono esserci equivoci, nulla di più semplice che chiarire alla fonte e prendere atto di ciò che la fonte dice. Elementare, ma la montatura che ho potuto sperimentare sulla mia pelle prova che così non è. Vogliono che tu sia quel che loro vogliono e non quello che tu sai di essere. Poco serve ribadire a chi è in mala fede che mi riconosco interamente nei valori racchiusi nell’art. 3 della nostra costituzione, il cui principio antidiscriminatorio si estende anche all’interpretazione storica dei periodi più controversi. Non solo la stampa – come durante “Piombo Fuso” – è divenuta essa stessa parte di una guerra di sterminio vera e propria, ma anche l’interpretazione della storia – tradizionale ambito professionale di storici e filosofi – è diventato prerogativa di giornalisti e di politici ignoranti e corrotti, che spesso si alternano nei ruoli.

(Segue: ho ancora cose da dire connesse a questo post. Non posso esprimere in un istante ciò che penso: il pensiero è più veloce della mano e della bocca che lo esprime. I miei abituali lettori sono pregati di basarsi sul numero di versione e sulla data.)