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Enigma Russia, specchio di noi europei

di Geminello Alvi - 03/11/2009

Noi europei arriviamo ogni volta qui compiaciuti di essere tali, e in questo stato di privilegio volentieri poi ci appassioniamo a ricercare quale sia davvero la diversità russa. Ovvero a cercare di capire che cosa mai, buono o cattivo non importa, farebbe questo immenso Paese diverso dai nostri. E però, si sia nordici o mediterranei, comunque alla fine ci ritroviamo qualcosa di nostro, e ci confondiamo. Gli svedesi così riconosceranno gli stoicismi delle saune, i loro silenzi, la crudezza dei sentimenti; e noi latini ci compiaceremo magari invece della teatralità, dei giochi di parole, del facile commuoversi dei russi. Ma alla fine, si dovrà essere onesti, e dire che la vera natura dei russi resta un enigma. Anche perché, se poi in questo mosaico esaustivo di pezzi d'Europa che sono i russi si cerca un qualche ordine, o una prevedibilità, alla fine non la si trova.
E neppure poi serve a molto la storia. Perché per quanto siano state diverse le cause, e di molti dei difetti presenti si possa incolpare certo il dispotismo comunista, tuttavia anche col capitalismo gli esiti alla fine non possono dirsi del tutto migliori. E infatti quando a tavola parlo col responsabile di una multinazionale, il quale recluta anche giovani russi per i suoi corsi di formazione, me lo conferma. Come da noi in Europa, pure qui le università non sono più quelle di una volta. Ai tempi dei comunisti gli studi erano più seri, i talenti migliori, per quanto immeschiniti dagli inconcludenti, però favoriti dalle parentele nel partito. Ma nell'insieme, proprio come da noi in Italia, può ora dirsi che prima l'università era più seria. E certo ogni nazione ha il suo di passato. Ma resta il fatto che uno studente degli Anni Sessanta, in Russia o in Italia, studiava meglio, si concentrava e alla laurea sapeva più di un giovane di oggi. E il reclutatore mi parla appunto di giovani russi vestiti alla moda, figli di ricchi ma senza talento, il cui fine principale è adeguarsi alle maniere e ai vestiti delle pagine delle pubblicità di scarpe sui giornali. Insomma l'indebolirsi della capacità di concentrazione e dei talenti dei giovani pure qui risulta palese.
Eppure non ci sono stati gli inetti di sinistra a occupare l'istruzione. Ci ha pensato il denaro maldistribuito a fare il disastro. E neppure la situazione risulta gran che diversa, se si guarda all'economia. È di questi giorni su Itogi un'intervista di tale Surkov, personalità mi dicono di una certa quale influenza, il quale ha ben chiara la gravità della situazione economica. Con buon senso spiega che alla economia della Russia alla lunga il gas non può bastare, e che occorre mutare la struttura produttiva. È poi quello che il presidente Medvedev ripete ogni giorno in tv. Tuttavia infine ben poco si fa. Come del resto in Italia, ormai da due settenni, si dice che occorre cambiare, elevare produttività e riformare lo Stato. Ma alla fine il nostro Pil oggi resta circa quello di dieci anni fa, per non dire dei dati pro capite. Ma qualche diversità, viene da dire, esisterà almeno nella politica estera. Certo che sì, e dalle vicende in Georgia si può dedurre che i russi abbiano tratto un qualche motivo di quiete e di orgoglio. E tuttavia vari analisti hanno visto non poche pecche dell'esercito russo in quella guerra. Inoltre non è più chiaro di chi sia il Caucaso russo. In Inguscezia chiunque comandi è a rischio attentato e in Cecenia la situazione si è normalizzata, ma cedendo di fatto il potere al non rassicurante Kadyrov. Insomma la situazione di questi confini non è risolta. Né aiuta la demografia. A Mosca la massa dei ciorni, come qui chiamano gli asiatici o i caucasici, è impressionante. Non può proprio dirsi insomma che in Russia cogli immigrati siano messi meglio che in Francia coi musulmani, in Germania coi turchi, anzi. Ed ecco perché mi trovo, come dicevo all'inizio, a non vedere poi la differenza; benché europeo che pure sente il fascino della diversità della Russia. Perché appunto la conclusione a cui infine si arriva è enigmatica: per quanto alla fine qui si ricerchi un male o un bene caratteristici dei russi, infine ci si ritrova come davanti a uno specchio. E però adesso, proprio mentre lo sto scrivendo, mi viene in mente che Berdjaev diceva proprio questo. Il gran filosofo russo, che consiglierei al lettore di rileggersi, spiegava la Russia così: come specchio dell'Europa, e dell'Occidente. E in effetti l'enigma dell'anima russa è forse tutto qui: essa ripete, cova, e deforma, quanto non può dirsi infine davvero suo, ma nostro. Ci rispecchia.
Ma allora la potenza degli eventi, la teatralità degli estremi, persino il talento nella menzogna, qui dipendono forse da questo vestirsi di quanto non è loro. Forse di russo c'è solo questa nudità, passiva, che tanto irritava del resto i peggiori europei come Hitler. Essa prevale ogni volta, aiutata dalle durezza e dagli spazi della natura sempre estremi. E forse la Russia è raccolta tutta in questa passività; che però talora all'improvviso si inquieta, come eccitata o incupita dal voler esser qualcosa di diverso dalla trasparenza. Come è del resto qui pure il cielo, ch'è d'una potenza che in Europa non si immagina: sempre grigio in spazi immensi così da ingombrare tutto. Nei libri di Eliade, studioso di genio delle religioni, in effetti si spiegava che la religione dei russi antichi, prima di divenire cristiani, era una religione del cielo. E che in essa dovesse esservi pure un che di estremo, anzi manicheo, viene confermato dal fatto che Bog, il nome di Dio in russo, è se ben ricordo lo stesso degli iranici. Gli spazi interminabili della Russia che riflettono tutto, questi cieli vuoti ma incombenti, patirebbero dunque gli stessi estremi delle culture iraniche. In effetti qui il male e il bene si sentono di più, e peggio ancora si soffre del vuoto. Perché è questa l'altra cosa di cui poi ci si accorge: il deserto delle menti e dei cuori c'è anche qui, e anzi direi più terribile che da noi, perché privo nella più parte dei casi dei nostri lussi e svaghi. E anzi addirittura si può arrivare a dire che il deserto dello Spirito è qui peggiore.
Eppure, non saprei come dirlo, ma c'è un’immoralità che almeno si sa tale. Qui incombe come una sciagura l'assenza di grandi esempi e di spiriti sommi. Cosa che in Italia o in Europa non è neppure immaginabile. Comunque sia, colmare il vuoto e l'indolenza che ne deriva, bugiarda eppure idealista, ha pensato in qualche maniera in questi anni Putin. Anima, quanto mai enigmatica, la quale però ha agito appoggiandosi con intelligenza alla sola forza che dopo il disastro dell'Urss ancora reggeva: quella degli apparati militari e di sicurezza. Olga Cristasnovshkaia ha in questi anni spiegato nei suoi bei libri di sociologia che il ruolo nel potere delle élite militari e della sicurezza supera ormai di molto persino quello dei tempi sovietici. Dopo il disastro dei giovani comunisti ai quali Gorbaciov si era incautamente rivolto, solo capaci di arricchirsi, quale altra alternativa c'era del resto per la Russia? E se la Russia è poi davvero questo spazio che tutto riflette, e così tanto persino da annullare il tempo, cosa altro si poteva fare? Amministrando questo loro spazio pigro e patologico, perché appunto in esso si perde ogni percezione consueta del tempo, la Russia zarista ha vinto Napoleone, e quella comunista Hitler. E quei venti o trenta anni per i quali ancora dureranno i vantaggi dell'export di gas pure essi evolveranno dunque a spazio di un'attesa. Insomma starei dicendo che qui i calcoli pratici degli americani servono a poco, e che un qualche dispotismo è inevitabile in Russia. In un certo senso dovremmo anzi penso compiacercene, perché almeno così il mistero lievita verso un esito futuro enigmatico e diverso. Giudicherei ributtante il divenire americani di tutti i russi. Sarebbe uno specchiarsi deformato e insano, com'è già in certi casi per alcuni, non per tutti, dei nuovi ricchi. E del resto se si auspica poi qualcosa di diverso, qui come altrove, si dovrebbe chiederlo non alla economia ma alla cultura. Ma essa come da noi pure qui si è persa. E tuttavia le librerie di Mosca sono in ogni ora del giorno piene, e questo alfabeto cirillico ha una sua potenza di grafica, che lascia senza fiato. Eppure pure lui è soltanto metamorfosi di qualcos'altro: di Bisanzio. Nei mille specchi della Russia si è impresso pure l'Impero romano d'oriente. E quanto di terribile vi è stato nel potere politico in Russia è dipeso pure da questa Roma greca putrefatta. Il perverso codificarsi del potere, la contaminazione del male che ne è derivata sono, direi, in fondo l'esito di un potere astratto e cattivo come era quello di Costantinopoli.
E come allora si può reclamare dai russi una maniera d'essere più diretta, all'inglese, se ogni ingenuità non sorvegliata, ha avuto per loro e per secoli come esito ogni tortura, e Siberia, e rovina dei propri cari? Mosca è ricolma in questi giorni dei cartelloni del film «Zar», un colossal dedicato a Ivan il terribile. Io invece la sera rivedo beato un film del 1979, gioiello del cinema russo. Si titola «Ocenni Marafon», Maratona d'autunno. Storia grottesca, ma recitata splendidamente di un molto mite professore che soccombe all'amante, alla moglie e al vicino di casa. Ridotto, per non scontentare nessuno, a mentire a tutti. Alla fine pure lui è solo specchio che soffre la menzogna, ma la asseconda. Riecco, in un film splendido, lo stesso enigma.