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Campanello d'allarme per Obama

di Michele Paris - 04/11/2009

  

 

A un anno esatto dalla trionfale conquista della Casa Bianca di Barack Obama, il Partito Democratico americano ha dovuto incassare martedì, come previsto, due pesanti sconfitte nelle uniche competizioni in calendario quest’anno per eleggere nuovi governatori: in Virginia e New Jersey. Se anche la tornata elettorale era stata presentata da molti, soprattutto repubblicani, come un referendum sul presidente, le due vittorie dell’opposizione nei due stati orientali dicono in realtà poco in previsione delle ben più importanti elezioni di medio termine del prossimo anno. Decisamente più rilevante invece a livello nazionale è stata un’elezione suppletiva, vinta dai democratici, per un seggio alla Camera dei Rappresentanti nello Stato di New York, trasformata dagli stessi repubblicani in una vera e propria scommessa sul futuro del proprio partito.

Dal punto di vista dell’impatto mediatico, il voto in Virginia e New Jersey era indubbiamente quello di maggiore interesse, dal momento che soprattutto nel secondo stato, tradizionalmente di orientamento democratico, lo stesso Obama aveva investito molto del suo capitale politico per sostenere il governatore in carica Jon Corzine. Ex presidente di Goldman Sachs, quest’ultimo aveva visto il proprio indice di gradimento crollare nell’ultimo anno in seguito alle gravi conseguenze causate dalla crisi economica nel suo stato. Incalzato dall’ex procuratore federale, il repubblicano Christopher J. Christie, Corzine nulla ha potuto per assicurarsi un secondo mandato nonostante l’ingente somma spesa nella campagna elettorale di tasca propria, ben tre comizi tenuti con Obama nelle ultime settimane e una serie di offensive mediatiche nei confronti del suo rivale.

Christie alla fine ha raccolto il 49% dei consensi contro il 44% di Corzine, in uno stato nel quale gli elettori registrati come democratici sono 700 mila in più rispetto ai repubblicani e che dodici mesi fa nelle presidenziali era stato conquistato da Obama con 17 punti percentuali di vantaggio su McCain. A contribuire in maniera decisiva alla vittoria repubblicana nel New Jersey sono stati la disoccupazione alle stelle, il deficit di bilancio fuori controllo e un livello di tassazione in continua crescita. Il neo-governatore da parte sua ha beneficiato del ruolo di primo piano giocato nello smantellamento di una vasta rete di corruzione che ha coinvolto negli ultimi mesi numerosi politici democratici. Una vicenda quest’ultima che ha pesato fortemente sulle motivazioni degli elettori del governatore in carica, molti dei quali infatti hanno deciso di non recarsi alle urne.

Se la competizione del New Jersey appariva come quella più a portata di mano per il partito del presidente, le speranze di ribaltare la situazione in Virginia erano andate invece svanendo nelle ultime settimane. La netta sconfitta subita del senatore dello Stato R. Creigh Deeds (41% dei consensi) per mano dell’ex procuratore generale Robert McDonnell (59%) giunge tra l’altro in contemporanea ai successi repubblicani messi a segno anche per le cariche di vice-governatore e procuratore generale. Funzioni tutte ricoperte fino a due giorni fa da democratici, i quali l’anno scorso con Obama avevano anche espugnato la Virginia nelle presidenziali per la prima volta dal 1964.

Con Mark Warner e Tim Kaine i democratici avevano occupato il posto di governatore in questo stato negli ultimi otto anni ma la debolezza del candidato Deeds era apparsa evidente poco dopo le primarie vinte ai danni del più agguerrito veterano clintoniano Terry McAuliffe. Durante la campagna elettorale i democratici avevano cercato in tutti i modi di dipingere McDonnell come un conservatore radicale, portando alla luce una sua tesi per un master universitario conseguito due decenni fa e nella quale dava giudizi pesantemente negativi sulle madri single e sulle donne lavoratrici. Il candidato repubblicano tuttavia è riuscito ad evitare lo scontro sui temi sociali, focalizzando la sua corsa attorno alla creazione di posto di lavoro e al sentitissimo problema dei trasporti pubblici, riuscendo così a fare breccia tra gli elettori indipendenti dei distretti settentrionali che nel 2008 avevano giocato un ruolo decisivo nella vittoria di Obama.

Il dato più significativo in chiave nazionale che emerge dalla Virginia e dal New Jersey, paradossalmente, sembra in ogni caso non essere troppo negativo per il presidente. Secondo gli exit poll, Obama rimane infatti piuttosto popolare in entrambi gli stati, come indica un livello di gradimento solo leggermente inferiore rispetto allo scorso anno, malgrado le difficoltà e le incertezze dei primi mesi del suo primo mandato. Ciò che appare evidente è piuttosto, da un lato, l’apatia di una parte dei suoi elettori (giovani e minoranze etniche) che hanno disertato le urne e, dall’altro, il sostegno offerto ai candidati repubblicani dai cosiddetti indipendenti, in genere molto preoccupati dell’andamento dell’economia americana.

L’abilità di Obama di mobilitare gli elettori a sostegno di altri candidati democratici, oltre che in Virginia e New Jersey, è stata messa alla prova poi anche nel 23esimo distretto congressuale dello Stato di New York, dove la Casa Bianca era in qualche modo intervenuta in una vicenda dagli sviluppi tutti particolari. L’elezione speciale in questo distretto solidamente repubblicano si era resa necessaria in seguito alle dimissioni del deputato dell’opposizione John McHugh, nominato Segretario dell’Esercito degli Stati Uniti. La competizione per il seggio vacante alla Camera dei Rappresentanti aveva attirato da subito l’attenzione dell’establishment politico di Washington, soprattutto degli esponenti di spicco del Partito Repubblicano.

Per l’elezione suppletiva, i repubblicani locali avevano inizialmente scelto la parlamentare statale Dede Scozzafava, le cui posizioni a favore dell’aborto e dei diritti gay, così come il suo appoggio al piano di stimolo all’economia di Obama, avevano però suscitato le critiche immediate dell’ala più conservatrice del partito. La competizione si era trasformata allora in una sorta di resa dei conti interna tra moderati, convinti che il futuro del partito risieda nel coinvolgimento di candidati ed elettori centristi, e conservatori, fautori di un ritorno ai valori originali del partito. Le personalità di punta del partito, a partire dall’ex candidata alla vice-presidenza nel 2008 Sarah Palin, avevano allora manifestato il proprio sostegno ad un terzo candidato, il poco conosciuto Douglas Hoffman, in corsa sotto le insegne del Partito Conservatore.

In seguito alle enorme pressioni subite, Dede Scozzafava qualche giorno prima del voto aveva così deciso di farsi da parte, teoricamente per non divedere il voto repubblicano favorendo il candidato democratico Bill Owens. Il giorno successivo al ritiro dalla competizione tuttavia, la candidata originaria del Partito Repubblicano, su richiesta della Casa Bianca, annunciava il suo appoggio proprio all’ex rivale democratico, tirandosi addosso le ire dei suoi colleghi e determinando verosimilmente l’esito del voto.

L’inaspettata vittoria da parte di Owens, centrata grazie a tre punti percentuali di margine su Hoffman (49% e 46%), rappresenta uno smacco per quei conservatori decisi a dare una netta svolta a destra al partito su scala nazionale e che a partire dalle elezioni del novembre 2008 hanno accresciuto la loro influenza tra i membri dell’opposizione al Congresso. Il livello di mobilitazione dei sostenitori di Hoffman e l’aperto sostegno offertogli nel corso della campagna elettorale da testate conservatrici importanti come il Wall Street Journal e il Weekly Standard, ma anche di anchormen popolari come Rush Limbaugh o Glenn Beck di Fox News, era sembrato galvanizzare la base repubblicana, ma ha in definitiva allontanato quella fetta decisiva di elettori moderati attestati su posizioni socialmente più liberal.

L’esito di questa elezione locale, se consente ad un Obama relativamente in affanno di prendere una boccata di ossigeno in vista delle imminenti battaglie al Congresso su temi delicati come la riforma sanitaria, impartisce una lezione severissima ad un Partito Repubblicano sempre più in mano alla destra radicale e virtualmente sparito dagli stati del nord-est del paese. Non è un caso infatti che, come indicano i più recenti sondaggi, a fronte di una popolarità in calo dello stesso presidente, quella della delegazione parlamentare repubblicana risulti addirittura inferiore al venti percento.

Oltre alle suddette elezioni, martedì negli Stati Uniti si è votato poi per molte altre competizioni locali e per alcuni referendum in vari stati. Tra le altre, va segnalata la conquista della carica di sindaco di New York per la terza volta consecutiva del miliardario Michael Bloomberg. Anche se ampiamente prevista, l’affermazione di Bloomberg è arrivata però con un margine molto ristretto nei confronti del suo sfidante, il democratico William Thompson (51% a 46%). Un attestato di sfiducia nei confronti del sindaco uscente che aveva frantumato ogni record di spesa in una campagna elettorale municipale spendendo oltre 100 milioni di dollari per assicurarsi un terzo mandato dopo aver dissolto il limite di due incarichi consecutivi con una manovra legislativa pochi mesi fa.

Nel Maine, infine, grande delusione c’è stata per i sostenitori dei diritti degli omosessuali. In questo piccolo stato del New England infatti gli elettori hanno deciso di annullare una legge adottata dalla legislatura locale la scorsa primavera che legalizzava i matrimoni dello stesso sesso. Dopo un’identica sconfitta rimediata in California nel novembre del 2008, il movimento gay sperava con questo voto di capitalizzare il via libera dato alle unione tra persone dello stesso sesso negli ultimi mesi da quattro stati americani: Connecticut, Iowa, New Hampshire e Vermont.