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A spasso nella Camera senza vita

di Mattia Feltri - 05/11/2009

 

 

Arrivano le scolaresche, come al solito, e il commesso gli dice: «Ora vi conduco al piano nobile». I ragazzi sono delusi: a Montecitorio non c’è seduta ed è come andare allo zoo e trovare vuota la gabbia dei leoni. Si gira qua e là nel deserto. Questo palazzo dovrebbe essere il palcoscenico della frenesia, dello scalpiccìo.

Dovrebbe essere la capitale del confabulare fitto, della densità per metro quadro, e invece è teatro di una settimana sorda e grigia, dentro e fuori. Uno dell’ufficio stampa conduce in visita un paio di amici: «Ne approfitto». Vedranno scale maestose e quadri secolari e sentiranno l’eco dei loro passi. La buvette sembra un caffè storico in decadenza. I baristi hanno confezionato pochi panini e di varietà ridotta. «Ma che c’è di strano? E’ come se fosse sempre lunedì o martedì mattina o giovedì sera o sempre venerdì».
Gianfranco Fini, il presidente, si era ripromesso di mettere al chiodo i deputati, farli votare ogni santo giorno, anche il sabato fosse stato necessario. Invece, normalmente, si vota un giorno e mezzo alla settimana, come nelle legislature scorse. Secondo le statistiche, dall’inizio della legislatura un deputato lavora in media diciassette ore e sei minuti alla settimana, purché non sia mai assente. Nella legislatura scorsa erano sedici ore e mezzo. L’andazzo dura da un po’. «Questo posto non conta più nulla», dice Franco Giordano di Sinistra e Libertà, uno dei tanti ex parlamentari che vengono qui a sbrigare faccende. La politica qui non si fa più, dice. Lo dicono tutti: i deputati non sono eletti, ma selezionati. Si rimpiange il famigerato voto di preferenza, quando entravano in Parlamento i più votati, non i meglio piazzati in lista. «Almeno rispondevano a qualcuno, e non solo al capo», dice Enzo Carra del Pd. Anche lui è di quelli che rimangono qui, ci sono i lavori in commissione.
Ma per capire l’unicità di questa settimana bisogna andare all’agenzia di viaggi interna. Al mercoledì, spiegano, c’è sempre la fila perché all’indomani si conta di tornare a casa. Questo mercoledì ci si girano i pollici. La decisione di Fini - serrare l’aula perché non c’è niente da discutere, non ci sono i soldi per coprire la più sgangherata delle proposte di legge - è una mezza furbata. Ci sono leggi che non costano nulla. E poi la settimana prossima doveva essere di quelle da dedicare al territorio d’elezione, e invece si voterà: una semplice inversione del programma. La verità non sono tanto i quattrini. Un funzionario apre il computer e squaderna i dati: centouno leggi approvate, novantatré di iniziativa del governo, tre di iniziativa mista, cinque di iniziativa parlamentare. Cioè, in un anno e mezzo i seicentoquindici deputati hanno prodotto cinque leggi. Che poi è un paradosso lamentarsene, visto che c’è un ministero dedicato alla riduzione delle norme.
A Montecitorio ora pare di essere tutti amici. Ci si imbatte con lo stupore del naufrago che credeva di stare su un’isola deserta. I cronisti si raccontano storielle. I politici non si ritraggono all’analisi. Alla barberia hanno affilato i rasoi sin dalla mattina presto per due clienti. Ma anche qui nessuna meraviglia: «E’ quasi sempre così». Semmai il problema è che temono di essere licenziati, sebbene neghino, ma se continua così... Uno come Giancarlo Mazzuca, che è stato direttore del Quotidiano Nazionale e adesso è deputato del Pdl, fatica a dismettere il broncio: «Ci danno dei fannulloni, ma io sono uno che ha sempre lavorato e lavoro anche qui. In commissione si sgobba. E’ che vorrei fare di più, dare un contributo concreto, ma ormai questo è un votificio e basta. Sempre che ci sia da votare». Dice che se tornasse indietro forse si candiderebbe ancora, forse no.
Enzo Carra è in una giornata di vena. Il suo ruolo in commissione Trasporti lo illustra così: «Diciamo che mi arriva una segnalazione, che so? Il treno Roma-Bari fa sempre ritardo. Io scrivo un’interrogazione e fra sei mesi il ministro mi risponde che meglio non si può fare per ragioni economiche, organizzative ecc.». E così illustra il suo ruolo in commissione Vigilanza: «Chiedo a Mauro Masi per quale ragione la Rai abbia deciso di togliere i suoi canali dal pacchetto Sky, dal momento che, bla bla bla, bla bla bla, e lui alla fine risponde: perché abbiamo deciso così». Il lavoro in commissione, dice Carra, è scorante. Il lavoro di parlamentare è un misto di impotenza, vittimismo e sciatteria. Nessuno propone più nulla perché tanto sarebbe inutile: il governo blocca tutto. Ci sono progetti di legge, per esempio quello sull’incentivazione alla produzione e al consumo di biocarburanti, presentato dal deputato Bellotti del Pd, che è stato esaminato il 28 ottobre del 2008 e rinviato e mai più visto.
Una bella verità la dice Franco Giordano: «Fateci caso, una volta uno ci teneva a dire che era onorevole o senatore. Adesso dice che è avvocato o commercialista e poi, semmai, che è parlamentare». Dice che la sfera privata ha completamente preso il sopravvento su quella pubblica. Per lui è un male. «Io vedo ex prefetti ed ex generali languire prossimi alla depressione», dice Mazzuca. Siedono su divanetti, in Transatlantico. Qualcuno esce a fumare sotto due gocce di pioggia. «Le cose stanno così - dice disincantato Roberto Rao, dell’Udc -, martedì sera, in commissione Giustizia, la maggioranza è stata battuta sugli animali da compagnia. Si doveva stabilire la non punibilità dei veterinari in alcuni casi, e qualche collega novizio della commissione aveva capito che si autorizzavano le mutilazioni... Diciamo che succedono un po’ di pasticci, anche in aula. Da che si vota con le impronte digitali, i casi dei pianisti si sono molto ridotti e la maggioranza va sotto spesso. Forse anche per questo si vota e si lavora sempre meno».
Soltanto che c’è questa settimana di vuoto programmato: è la bandiera bianca issata sul pennone di un palazzo che pare aver perso non soltanto la sacralità, ma qualsiasi significato. Qui, in piazza, alla mattina nessuno più srotola uno striscione di protesta.