Finalmente una buona notizia, anche per le dimensioni del Paese in questione, l’India, che ha finalmente deciso di prendere più sul serio i cambiamenti climatici, agendo di conseguenza. Ma sarà davvero sufficiente a contrastare il “climate change”, o tutti questi sforzi saranno vanificati dalla supremazia che petrolio e carbone continuano (e continueranno) ad avere?

Sebbene l’India, immenso e popolatissimo Paese, sarà colpito probabilmente più di molti altri dagli effetti dei cambiamenti climatici, se non altro perché la produzione del suo cibo è largamente dipendente dalle acque provenienti dai ghiacciai himalayani che si stanno ritirando rapidamente, è stata finora una questione di orgoglio non rispondere alle richieste delle nazioni più ricche di limitare le sue emissioni di gas serra.

Ci sono molte ragioni per questo, e non tutte deplorevoli. La prima è la stessa che le nazioni Occidentali si trovano ad affrontare anche con la Cina, che ha spesso rimproverato ai paesi più industrializzati di fare grandi asserzioni (si ricordi la riunione dell’ultimo G8) sul bisogno di tagliare le emissioni, ma che nella maggior parte dei casi non vengono tradotte in politiche nazionali o misure concrete per contenere le loro emissioni. Anche l’India, infatti, ritiene necessario perfezionare politiche globali in tal senso. Politiche che però le nazioni ricche,sedicenti e sviluppate evidentemente non hanno nessuna intenzione di onorare.

Gli indiani sono anche dolorosamente consapevoli del fatto che le nazioni ricche del passato impedirono intenzionalmente alla loro nazione di “svilupparsi”. L’Inghilterra, per esempio, proibì l’importazione di calicò (stoffa di cotone) dall’India per proteggere le sue industrie tessili. Si arrivò addirittura al punto di tagliare i pollici ai tessitori indiani, in modo da impedir loro di fare dei prodotti di qualità superiore. Come la rivoluzione industriale in Inghilterra fu possibile anche prevenendo lo sviluppo economico indiano, in molti adesso ritengono si voglia salvaguardare la supremazia economica Occidentale limitando le emissioni del colosso asiatico, con “la scusa” dei cambiamenti climatici.

Anche a causa dell’elevato e costante aumento di industrializzazione, il bisogno di energia indiano è enorme, tanto che si sta investendo pesantemente in centrali a carbone, trascurando il grande potenziale esistente che potrebbe permettere di produrre grandi quantità di energia rinnovabile.

La buona notizia è che improvvisamente il governo ha annunciato investimenti per la produzione di 20GW di energia solare entro il 2020, un ottavo della capacità di produzione di elettricità di tutta l’India. Cina e Giappone hanno obiettivi simili, ma poiché la maggior parte dell’India è più vicina all’equatore, essa ha maggiori potenzialità degli altri due Paesi se si considera il fatto di sfruttare l’energia solare. La notizia sarebbe ancora più buona, se gli indiani non iniziassero ad avere gli stessi stili di vita spreconi e frenetici di europei e soprattutto nord-americani. Ma questo sarebbe chiedere troppo.

Le cattive notizie, invece, mostrano l’India anche al centro di un programma per aumentare le sue capacità di sfruttamento del carbone, per una produzione di energia pari a 79GW (equivalente all’intera produzione di elettricità del Regno Unito!) entro i prossimi tre anni. Le nuove centrali ad energia solare, infatti, non sostituirebbero le altre forme di generazione di elettricità, ma le affiancherebbero solamente.

Diciamo da ottimisti che almeno l’India sta spendendo 19 miliardi di dollari in investimenti atti a dimostrare di fare qualcosa per fronteggiare il “climate caos” in corso, a differenza di molti, troppi altri Paesi più o meno industrializzati. Se poi prenderà anche impegni a Copenhagen sarà tutto da vedere. Ma anche il più lungo viaggio inizia con un singolo passo.