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Aristoi

di Luciano Fuschini - 12/11/2009

    



Su questo sito è frequente il richiamo al fascino della figura del ribelle aristocratico, il cui spirito si eleva al di sopra della massa. Suggestioni mediate da Nietzsche, Junger, Evola. Questa attrazione ha un valore esistenziale ma la figura romantica dello spirito superiore incompreso e fiero della sua superiorità morale non ha alcun rilievo politico. Invece vale la pena discutere il progetto di  un sistema in cui il governo sia affidato agli aristoi, ai migliori. Una sana aristocrazia, contrapposta alle degenerazioni della finta democrazia rappresentativa. Ci si imbatte però nella questione di fondo: chi e come stabilisce quali siano i migliori? Troppo spesso si considerano aristocratici quelli che si autoproclamano tali. Per tutta l’epoca feudale gli aristocratici furono semplicemente i discendenti delle famiglie nobiliari. La nobiltà di sangue. Ma il fatto di discendere da coloro che un tempo furono considerati i migliori non è affatto garanzia di valore. I discendenti dei Grandi potrebbero essere dei perfetti cretini o dei delinquenti, non abilitati a esercitare il ruolo guida di una nazione. La stessa obiezione è valida per le monarchie ereditarie. La rivoluzione francese ha fatto piazza pulita di questa pretesa. Quella rivoluzione ha avuto molti torti, da essa sono scaturite parecchie brutture della Modernità, ma su questo punto la parola della sua ghigliottina resta definitiva.
Dopo la rivoluzione francese, la definizione delle aristocrazie, cioè di chi sia abilitato a governare, si esprime attraverso questo quesito: quali criteri adottare per la selezione delle élites? La risposta della Modernità è: la classe dirigente viene selezionata attraverso la competizione elettorale. Solo i più fanatici apologeti del sistema possono continuare a sostenere che così vengono premiati i migliori. Basta passare in rassegna i nostri parlamentari e i nostri ministri, e controllare la loro fedina penale, per scoprire che non di aristoi si tratta. Basta una ricognizione rapida fra gli amministratori locali per scoprire abissi di mediocrità.
Ogni tipo di società produce spontaneamente le sue élites. In una comunità bellicosa il governo sarà affidato a chi si è distinto in battaglia. Oggi è impensabile un governo dei guerrieri, quando la guerra è computerizzata e robotizzata, mentre i migliori combattenti della parte avversa si autoeliminano facendosi saltare in aria. In una comunità che avverte fortemente il senso del sacro, il governo è affidato ai sacerdoti. Anche questa soluzione oggi sarebbe del tutto anacronistica, stante la realtà della separazione laica fra Stato e Chiese. A ben guardare, in Occidente l’ultima forma di governo dei sacerdoti fu il comunismo. In esso si pretendeva dagli aspiranti capi l’interpretazione corretta dei sacri testi del marxismo-leninismo. C’erano anche le scuole di partito a tal fine, in qualche modo paragonabili ai seminari preteschi che selezionavano i migliori fra gli aspiranti sacerdoti. Il comunismo è stato una dittatura dei sacerdoti più che dei burocrati: la burocrazia è solo una modalità di gestione, non una tipologia di governo. Non parliamo poi di dittatura del proletariato, che mai si è realizzata e non si sa bene cosa possa essere essendo una contraddizione in termini. Nessuno, se non qualche bizzarro nostalgico, rimpiange la fine di quel governo dei sacerdoti che fu il comunismo. Oggi i nuovi sacerdoti sono gli intellettuali: ricercatori, tecnici, scrittori, operatori dei media...
Nessuna di queste categorie si configura come un’élite dirigente. Sono tutte al servizio della vera aristocrazia prodotta dalla Modernità. Essendo l’economicismo il cardine del sistema, la moderna aristocrazia è data dai grandi banchieri e dai grandi imprenditori. Loro sono gli aristoi, ci piaccia o non. Viviamo sotto la cappa plumbea del governo dei mercanti e degli usurai, nell’epoca della Tecnica e dell’Economia. Questa epoca ha prodotto la sua aristocrazia. Come sempre, come ovunque, sono le forme concrete dell’organizzazione sociale a produrre le loro élites e il loro tipo di civiltà.
Queste considerazioni valgono anche a proposito della discussione su politeismi e monoteismi. Già il Machiavelli dei “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio” , mezzo millennio fa, scriveva che la religione pagana dei Romani era terreno fertile per le virtù civiche, mentre il cristianesimo induceva gli animi alla rassegnazione e al servilismo. Leopardi, duecento anni fa, lamentava la perdita di vitalità, di sana vigorìa, di libera immaginazione, di forza delle illusioni, che caratterizzavano il mondo pagano e che sono svanite con la modernità cristiana e la prevalenza dell’ “arido vero”. Egli anticipava Nietzsche in tante sue pagine dello Zibaldone e delle opere in prosa. Da robusto pensatore quale era, e non solo il lamentoso poeta di una troppo facile vulgata, sapeva bene che il rimpianto per il paganesimo perduto era del tutto sterile perché quel mondo era finito per sempre. Era il prodotto di un approccio ingenuo con l’ambiente naturale e sociale, un approccio non più riproducibile. Gli aspetti paganeggianti che la Modernità ripropone per le sue dinamiche interne sono il divismo, la cura del corpo, diventata ossessiva, il rinnovato interesse per astrologia, scienze occulte, esoterismo, come reazione allo scientismo e al razionalismo. Quando si pretende di recuperare il paganesimo con atti volontaristici, si cade nel ridicolo dei riti leghisti alle sorgenti del dio Po. Queste riproposizioni intellettualistiche di forme spirituali del passato non possono essere altro che caricaturali.
In conclusione: sia l’emergere di una nuova aristocrazia, sia il delinearsi nelle coscienze di una spiritualità nuova, potranno verificarsi con le mutate condizioni della civiltà. Nostro compito è tenere vivo l’obiettivo di un comunitarismo saldamente radicato nel territorio, nelle collettività circoscritte capaci di individuare nel proprio seno, con forme di democrazia diretta, i più competenti e i più virtuosi, gli aristoi; una comunità che incoraggi l’iniziativa di agricoltori e artigiani, in un’economia prevalentemente di autoproduzione e autoconsumo, nella messa al bando di qualunque forma di speculazione finanziaria, senza con questo cadere in oscurantismi e fughe nel passato. Costruire questa alternativa dopo il grande disastro di civiltà che si profila è il compito di tutti i non intruppati . Dalle forme concrete che assumerà questa alternativa scaturiranno le nuove élites e la nuova religiosità. Vagheggiare aristocrazie antiche di Eroi o revivals pagani è pura letteratura, magari di alto livello come in molti brevi saggi pubblicati su questo blog, ma sempre e solo letteratura.