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Bisogna dire oppure si deve tacere quello che si può dire?

di Francesco Lamendola - 14/11/2009


Sabina mi guarda un po' maliziosa, con gli occhi scintillanti, prima di chiedere:
«Non era Wittgenstein che diceva: "Bisogna tacere quello che non si può dire"?»
«Sì, era lui.»
«Secondo me, era un mistico. Del resto, ho sentito dire che la sua stanza somigliava a quella di un monaco medievale: un letto di ferro, una sedia, dei libri, e null'altro. Anzi, ora che ci penso, mi pare di aver letto da qualche parte che preferiva dormire direttamente sul pavimento… Oppure mi sto confondendo con l'imperatore Giuliano?…
Be', ma non ha importanza. Che i filosofi dormano pure dove gli pare, non è di questo che volevo parlare.  Stavo dicendo… vuoi davvero il mio parere?»
«Sì, certo. La tua opinione mi interessa molto.»
«Ebbene, ricapitoliamo la questione. Se ho compreso bene, il tuo scrupolo è questo: si può continuare a parlare, o meglio a scrivere, se si possiede la consapevolezza di non essere giunti, nella vita pratica di ogni giorno, alle medesime altezze che si sono invece sfiorate nella meditazione e nella riflessione? Ho espresso bene i termini del problema?»
«Perfettamente.»
«Ora, coloro che ascoltano, oppure leggono, i discorsi "illuminati" di una persona, si immaginano che essa debba avere raggiunto un eccelso livello di consapevolezza spirituale, anche se quella persona non lo ha mai affermato, né ha fatto nulla perché lo credessero; anzi, ha ribadito più volte di non ritenersi un maestro, ma solo un viandante alla ricerca della verità.»
«E poi, un giorno…»
«E poi, un giorno, quei tali ammiratori che la hanno messa su di un piedistallo, hanno occasione di conoscerla da vicino, e vedono che anch'ella è umana, perfettamente umana: con i limiti e i difetti propri di ogni essere umano. A quel punto sorge in essi una reazione, pensano che le cose dovrebbero stare altrimenti; pensano che vi sia una incoerenza…»
«Ma di chi è la colpa, se lo hanno messo su un piedistallo? È forse giusto aspettarsi che un essere umano non abbia dei limiti; è giusto imporgli di essere quasi un simbolo di perfezione, e poi reagire con stupore davanti alla scoperta che tale non è?»
Sabina sorride, comprensiva:
«Ma questa, mio caro, è la natura umana. Non sei stato tu ad affermare che ciascuno dovrebbe diventare il maestro di se stesso? Eppure, mettitelo bene in testa, la maggior parte delle persone non ne ha alcuna voglia; o meglio, lo vorrebbe, ma pensa che sia troppo faticoso. Allora, trasferisce su di un altro le proprie aspettative, i propri desideri di elevarsi e di purificarsi: si accontenta di vivere di luce riflessa. Ma non gli va, poi, di scoprire che anche quella luce non è poi così brillante, vista da vicino, quanto si immaginava.»
«Come se ne esce?»
«Per come la vedo io, non c'è alcun problema.. Il problema ci sarebbe se quella persona avesse recitato una parte, per far credere di essere altro da se stessa. Se si è limitata ad esporre i risultati delle proprie ricerche e delle proprie esperienze, senza secondi fini e senza cercare alcun vantaggio per sé, allora mi sembra evidente che non è affatto incoerente. Se, nella vita pratica, non è ancora all'altezza di certe sue intuizioni speculative, ciò dimostra soltanto che calare gli ideali nel reale non è mai cosa facile e automatica. L'importante è la purezza delle intenzioni.»
«Quindi, tu non pensi che, per non prestare il fianco a critiche o per non alimentare malintesi, quella persona debba tacere?»
«E perché dovrebbe farlo? Oppure i suoi discorsi avevano un doppio fine, miravano ad acquisire qualche vantaggio personale?»
«Nessuno, nel modo più assoluto. Né un centesimo, né una poltrona.»
«Perché, allora, comunicare ad altri i risultati della propria speculazione?»
«Per un bisogno di chiarificazione interiore, ma anche per essere di aiuto ad altri viandanti in difficoltà. Chi ha già percorso una parte del sentiero, può dare qualche buona indicazione a chi ancora non lo conosce. Tutto qui.»
«E infatti, questa è una buona cosa. Un movente disinteressato, generoso. Gli altri possono fare l'uso che credono di quelle idee: che non sono a pagamento, in ogni modo. È come quando ti viene fatto un dono: tu puoi utilizzarlo, oppure no; ma certo, un danno non te ne viene.»
«Tuttavia, c'è ancora un qualcosa che mi infastidisce… non so bene cosa.»
«Il fatto stesso che ti faccia di tali scrupoli, dimostra la tua buona fede. Altri non se ne farebbero. Del resto, gente che critica se ne trova dappertutto. Molti criticano per invidia, anche se si farebbero scorticare vivi, piuttosto di ammettere che si tratta di questo.»
«Eppure - domando -, quando si fanno discorsi elevati sulla ricerca spirituale, non si dovrebbe essere anche in grado di mostrarne la fondatezza, appunto nella sfera della propria vita?»
«Certo, su questo non c'è dubbio: ma non è cosa che si possa realizzare in perfetta simmetria con la chiarificazione interiore. Le cose, prima si capiscono, poi si mettono in pratica. C'è sempre un certo sfasamento temporale: nessuno riesce a sintonizzare perfettamente la teoria e la pratica, senza passare attraverso una fase di transizione.»
«Già, una fase di transizione… Chi è alla ricerca della verità - non di una verità preconfezionata, ma di una verità conquistata passo a passo, avanzando, per così dire, sulla propria pelle, e pagando in prima persona, ha bisogno di un certo tempo per calare nella vita di ogni giorno ciò che ha compreso mediante la meditazione e la riflessione… E non è solo questione di tempo»
Sabina annuisce, sorridendo:
«No, certo. È una rivoluzione interiore: bisogna che l'uomo vecchio incominci a morire, perché  possa venire alla luce l'uomo nuovo. Una faccenda delicata, e non indolore.»
«No… non indolore», convengo.
«Quindi, giudicando dall'esterno, questa fase può dare una impressione di incoerenza. In effetti, l'uomo vecchio incomincia a morire poco a poco; a volte ritorna, poi arretra nuovamente, e, alla fine, scompare. E mano a mano che questo scompare, emerge l'uomo nuovo: non senza momenti di esitazione e di incertezza, nei quali sembra che sia sul punto di eclissarsi.»
Rimango un po' in silenzio, pensieroso, fino a quando Sabina mi chiede:
«A che cosa stai pensando?»
«Penso che questa supposta incoerenza, o meglio questa sfasatura fra ciò che si è compreso e ciò che si sta vivendo, è proprio il segno che una persona si trova impegnata ad evolvere, a spingersi verso le regioni superiori del proprio spirito. Se rimanesse ferma, non si noterebbe alcuna discrepanza, perché tutto sarebbe a un livello ugualmente basso.»
«Sì, è così. Nelle persone spiritualmente poco evolute, e non interessate né impegnate nel tentativo di sviluppare la propria parte migliore, non vi è alcuna distanza fra ciò che pensano e come si muovono nella sfera della vita di ogni giorno. Non devono accordare una cosa con l'altra, entrambe sono a pari livello: vale a dire ferme, e molto in basso.»
«Sì, questo è un forte argomento; direi che mi convince.»
«È un po' come dire che chi non fa nulla, non commette mai un errore; e chi non si mette in cammino, non rischia di imboccare una strada sbagliata. Né rischia di farsi sorprendere dalla pioggia o dalla neve: se ne sta al calduccio, presso il caminetto, con le pantofole ai piedi. Ora i tuoi scrupoli si vanno placando?»
«Mi sembra di sì.»
«Dunque, siamo arrivati ad una conclusione: dobbiamo fondare l'associazione degli oppositori di Wittgenstein. E tu, mio caro, sarai proclamato anti-Wittgenstein onorario.»
«Perché mai?»
«Perché lui metteva l'accento sull'aspetto negativo della comunicazione, affermando che bisogna astenersi dal pronunciare le cose che non possono essere dette; mentre tu stai mettendo l'accento sull'aspetto positivo, ossia sul fatto che è bene esprimere liberamente i discorsi che possono essere fatti, anche se non molti amano farli o udirli, perché suonano un po' scomodi rispetto a molte nostre abitudini mentali. Tu hai compreso che non bisogna tacere quello che si può dire; o, se preferisci, che si deve dire quello che può essere detto.»
«E se qualcuno dovesse fraintendere il messaggio?»
«Ti risponderò con una contro-domanda: è forse colpa mia se un altro, invece di guardare la Luna che gli sto indicando, si fissa a guardare il mio dito?»
«Un dito, è solo un dito», osservo, meditabondo.
«Appunto: è un mezzo per indicare qualcos'altro. Non si può farti un addebito del fatto di segnare le cose con il dito. Ciascuno di noi mostra le cose come sa e come può; ciascuno di noi ha un proprio linguaggio, un proprio stile, e dei valori personali.»
«Ciascuno ha il proprio linguaggio, Sabina, ma la verità è una sola.»
«D'accordo: ma chi potrebbe guardarla dritto, senza restarne abbagliato? La verità che possiamo intuire, è solo una fuggevole scaglia di luce; e quella che possiamo esprimere e comunicare, non è che un pallido riflesso di questa.»
«Aggiungo: e non appare mai perfettamente uguale a se stessa, perché noi siamo in movimento. Ora la vediamo sotto una determinata luce, ora sotto un'altra; ora da lontano, ora da vicino. Ieri la vedevamo in un modo, domani la vedremo in un altro.»
«Giusto. Né questo farà di noi degli incoerenti.»
«No, l'incoerenza è un'altra cosa.»
«Bene.» E i suoi occhi scintillano, come due stelle.
«A proposito: mi viene in mente un altro paragone. Quelli che si dolgono di non vedere incarnate sino in fondo le alte verità spirituali descritte a parole da una certa persona, assomigliano a quei fanatici dantisti i quali pretenderebbero che dalla bocca di Dante non siano mai usciti altro che dei versi nobili e perfetti.»
«Invece, ogni tanto, anche a Dante sfuggivano dei versi così, così… Neanche il leone più gagliardo può ruggire ad ogni istante… Anche i leoni hanno il diritto di dormire, qualche volta; di riposare, come tutte le altre creature della terra. »
«Ma c'è di peggio - riprendo. - Quei tali fanatici dantisti, scommetto che non accetterebbero mai l'idea che il sommo poeta aprisse la bocca anche per domandare un pezzo di formaggio, ogni tanto, o magari per chiedere al ciabattino entro quanti giorni gli avrebbe riparato le scarpe; oppure, infine, per russare la notte, nel sonno, come un qualsiasi mortale che abbia qualche inconveniente di respirazione…»
«Già: avrebbero dovuto uscirgli dalle labbra solo petali di rosa.»
A questo punto Sabina assume la sua solita aria maliziosa e mi domanda, socchiudendo gli occhi con impertinenza:
«A proposito, eccellenza: lei russa, di notte?»
«Oh, be', questa poi…»
«Che cosa c'è? Che ho detto di tanto strano o sconveniente?»
«Signorina, proprio lei mi domanda se russo alla notte? Non le sembra di esagerare un poco, con tutta questa ostentazione di innocenza?»
A questo punto scoppiamo a ridere entrambi, con la complicità di sempre.
«Ormai ti tengo in pugno - mi dice alla fine, minacciandomi con finta severità - Posso andare in giro a dire a tutti che, la notte, russi come una fanfara, e rovinarti per sempre la reputazione di filosofo e di ricercatore spirituale. Distruggerei la tua credibilità.»
«Un filosofo non deve russare, questo è poco ma sicuro. E meno ancora potrebbe farlo un ricercatore spirituale. Va bene, mi arrendo: ponga lei le condizioni; firmerò qualunque cosa, ma la prego, non mi rovini.»
«La condizione sarà una sola, ma spietata: continui a scrivere.»
È strano; ma non ho mai capito veramente quando scherza, Sabina, e quando invece fa sul serio.