Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Enrico Mattei e Silvio Berlusconi: una comparazione storica

Enrico Mattei e Silvio Berlusconi: una comparazione storica

di Claudio Moffa - 17/11/2009

Fonte: claudiomoffa



Una premessa sul titolo del mio intervento: il termine “poteri forti internazionali” potrebbe sembrare poco scientifico rispetto ad altri più tradizionali, la categoria dell‟imperialismo ad esempio. In realtà ogni termine ha i suoi difetti: se si guarda all‟uso odierno del termine imperialismo da parte della sinistra estrema, esso è quasi sempre un alibi per buttare in antiamericanismo superficiale l‟analisi e la denuncia di una rete di potere ben più complessa e specifica: in genere ci si tende a mascherare dietro il presunto coraggio della vetusta ortodossia terminologica marxleninista per non distinguere fra capitalismo industriale e capitalismo finanziario, e per non indagare i rapporti di forza concreti fra imperialismo in generale e la fattispecie sionista. Capitale bancario e estremismo ebraico: i due poteri forti che riguardano sia una sostanziosa parte della storia passata del nostro paese sia, anche, l‟odierno scontro politico italiano.
Orbene, sono uno storico, un cultore e studioso della vicenda Mattei, ho sentito una proposta di confronto fra Berlusconi e Gelli, e qui vorrei riproporre, proprio con l‟obbiettivo di aprire una finestra di riflessione su tale questione oggi forse più virulenta che mai, un diverso confronto: fra Berlusconi e Mattei. Dico riproporre perché questo argomento è stato avanzato nel maggio scorso in un articolo in prima pagina di Libero di Feltri, a firma Renato Besana: Besana appunto paragonava “il Cavaliere” a Mattei nella consimile lotta contro (per lui) “gli yankee” ricordando fra i capitoli di prova l‟accordo
 Rielaborazione dell‟intervento al seminario di Per il Bene Comune, Ferrara 25 ottobre 2009.
Gazprom-ENI inviso agli USA tanto quanto quello che Mattei aveva siglato con l‟URSS ai tempi di Kruscev; l‟accordo con l‟EDF francese che ricorda quello fra Mattei e De Gaulle; gli attacchi a quella politica da parte degli “Stati Uniti” e dell‟ “Inghilterra” e l‟avversione di Indro Montanelli verso Mattei negli anni Sessanta (quattro articoli velenosi sul Corriere della Sera l‟estate prima che Mattei fosse ammazzato) e verso Berlusconi negli anni Novanta. L„articolo di Libero accennava anche al sostegno di Mattei alla guerriglia algerina, senza poter indicare l‟odierno corrispettivo berlusconiano: ma probabilmente riferendosi alla Libia. Un paragone apparentemente monco: ma in generale, anche azzardato e senza fondamento?
I poteri forti contro Enrico Mattei
Non è facile rispondere all‟interrogativo. Delineiamo innanzitutto i due personaggi e i due contesti storici. La vicenda Mattei si è dipanata in una Italia semidistrutta dalla guerra e bisognosa di ricostruzione e sviluppo, e di energia per la ricostruzione e lo sviluppo; ha avuto come teatro interno il sistema partitico della prima Repubblica, caratterizzato da una dialettica tanto forte quanto reale fra antifascismo e fascismo (si pensi al luglio 60) che rendeva fragile-ambiguo anche il significato da attribuire agli interessi e all‟identità nazionali; si sviluppo‟ facendo sponda su una DC in contrapposizione netta col PCI e col PSI dopo la rottura del „48, cui lo stesso Mattei aveva contribuito sul fronte delle associazioni partigiane; e su un contesto internazionale caratterizzato da un bipolarismo forte fra USA e URSS e dalla grande stagione della decolonizzazione.
Rispetto a questo quadro Mattei mostra di possedere e di saper attuare una sua strategia forte, nel “senso della storia” da una parte, ma anche contro i “padroni” della storia di quel periodo. . Ex partigiano egli è, così, nettamente schierato dalla parte dei popoli coloniali e delle loro rivendicazioni economiche, fino a sostenere la guerriglia algerina e ancora prima, a creare un‟alleanza di ferro con Nasser, il campione dell‟antisionismo arabo dell‟epoca, per questo accusato da Israele di essere antisemita, anzi, di più, un novello “Hitler”. Nonostante i tempi difficili per un patriottismo che sfuggisse all‟accusa o al sospetto di neofascismo, Mattei si mostra nello stesso tempo grande patriota, proteso alla difesa dei veri interessi nazionali dell‟Italia, che individuava correttamente in una politica di amicizia e collaborazione – nel rispetto totale delle nuove indipendenze sancite dalla decolonizzazione – con i paesi produttori di petrolio, soprattutto quelli arabi del Vicino Oriente. Anticomunista e cofondatore della Gladio, non esitò da una parte ad aprire
all‟URSS attirandosi le critiche di gran parte della stampa occidentale, e dall‟altra a sostenere il milazzismo in Sicilia, la giunta fascio-comunista che isolava proprio il suo partito DC, nella fattispecie della corrente fanfaniana. Un atto inaudito per i tempi, che rompeva il tabù della dialettica fascismo-antifascismo sulla base non di un compromesso di basso profilo, ma di una strategia di liberazione della Sicilia dal sottosviluppo, dall‟emigrazione e dalla mafia. Proteso col suo progetto verso l‟altra sponda del Mediterraneo - l‟Africa e il Vicino oriente – Mattei infine non mancò di sognare una Europa terza come De Gaulle, con cui ebbe convergenze significative anche se caduche (a causa della morte nel „62) sull‟Algeria, sul petrolio di stato, e probabilmente sull‟idea della neonata Europa del Trattato di Roma del „57.
Il dipanamento di questa infaticabile azione politica si attuò d‟altro canto a fianco di una strategia economica che puntava a risolvere, e avrebbe risolto, la tradizionale carenza di energia dell‟Italia: da una parte grazie alle prospezioni interne – la scoperta del metano e la conseguente metanizzazione non solo dell‟industria ma anche dell‟economia domestica (bombole a gas nei paesini e gas condutture nei centri urbani) – e dall‟altra con gli accordi rivoluzionari con i paesi produttori, la famosa “formula ENI che non solo garantiva fino al 75 per cento degli introiti agli Stati partners, ma comportava anche la compartecipazione aziendale degli stessi paesi produttori a tutto il processo di estrazione, lavorazione e vendita del greggio. Un ultimo accenno alla filosofia culturale, umana e economica di Mattei: non laureato non aveva alcun complesso nei confronti degli intellettuali, che anzi chiamò a collaborare – anche e soprattutto quella di sinistra – con il periodico aziendale ENI Il gatto selvatico; fu molto attento ai diritti dei lavoratori, pretendendo semmai dai dirigenti di dare anima e corpo al progetto rivoluzionario ENI, senza gli esosi compensi tipici delle future generazioni dell‟industria di stato; era buono d‟animo, non buonista; infine era uno sviluppista convinto, sostenitore delle grandi opere, dalla diga di Assuan in Egitto al nucleare in Italia. Tanto era convinto di questa opzione Mattei, che nel 1957 previde nell‟arco di 10 anni la nascita di una industria nucleare italiana, a partire dalla centrale oggi in disuso di Latina. Un progetto ardito che introduce la domanda chiave: con quali poteri forti non solo interni ma anche internazionali si scontro‟ la vicenda Mattei? Chi potevano essere i mandanti veri dell‟attentato in cui morì il 27 ottobre 1962? E fino a che punto è azzardato il confronto con Berlusconi?
Non voglio entrare qui in un peraltro inesistente dibattito storiografico, ma mi preme ricordare che non si capisce nulla, ma proprio nulla della vicenda Mattei e della morte di Mattei senza considerare almeno tre aspetti della sua azione di manager e di leader DC:
1) il nucleare appunto, che Besana dimentica nel suo articolo e con cui Mattei sfidava già allora gli equilibri internazionali e in particolare mediterranei: oltre a Latina, bisogna ricordare la centrale di Garigliano, di possibile finalità militari. Una sfida fra l‟altro a Israele, che stava avviando la nota centrale di Dimona nei primi anni Sessanta, sotto lo sguardo preoccupato di un altro grande dell‟epoca, Kennedy;
2) la centralità del conflitto arabo-israeliano come effetto indotto sicuramente dalla strategia economica dell‟ENI (Israele non aveva petrolio) ma forse anche da fattori più politici: Mattei era al Cairo il giorno prima che Nasser dichiarasse la nazionalizzazione di Suez; si impegna in un duro contenzioso con Israele dopo che le truppe di Tel Aviv avevano occupato nell‟ottobre 1957 i pozzi italo-belgi-egiziani di Abu Rudeis, fino a chiedere nel „57 ai suoi colleghi di governo di poter avviare una campagna di stampa contro lo Stato ebraico che rifiutava di risarcire l‟ENI: gli rispose il sottosegretario Folchi, nel settembre di quell‟anno, chiedendogli di non farlo (la campagna era possibile, anche perché l‟ENI già possedeva il Giorno) perché una tale iniziativa avrebbe comportato problemi anche con gli Stati Uniti, dove i circoli finanziari legati a Israele erano molto influenti nel Congresso. Come dire, Walt e Meiersheimer anticipati di un cinquantennio. Infine, l‟ “ultima battaglia” di Mattei è esplicitamente contro Israele, con cui collaborava da tempo a sua insaputa il suo vice Cefis, tramite l‟ANIC, una delle tante consociate dell‟ENI. “Non collaboreremo mai con Israele” scrisse Mattei all‟ambasciatore della RAU a Roma a proposito di quello scandalo lanciato in Germania e ripreso anche dalla stampa araba. Un anno dopo, pochi mesi dopo gli attacchi velenosi del “grande” (??) Indro Montanelli sul Corriere della Sera, articoli probabilmente ispirati da Cefis nel frattempo espulso dall‟ENI, Mattei moriva nell‟attentato di Bascapé. Tutte queste cose sono raccontate e documentate nel libro collettaneo Enrico Mattei, il coraggio e la storia dal sottoscritto: un libro che ristagna da circa un anno e forse più nella redazione culturale de Il Corriere e che non sembra meritare nemmeno una segnalazione. Eppure si tratta di documenti d‟archivio sconvolgenti tutta la storiografia su Mattei, che in genere individua – rieccolo l‟antiamericanismo e l‟antimperialismo facili, stile Francesco Rosi – i nemici di Israele solo nelle Sette sorelle (con cui in realtà Mattei era prossimo a un accordo, poi siglato da Cefis), nella solita CIA (ma Mattei avrebbe dovuto incontrare Kennedy) o magari,
nella versione anticomunista doc, nel KGB. Tutte verità secondarie (che anche il KGB fosse ben infiltrato da Israele è dato di fatto banale, considerata la storia dell‟URSS fino e oltre Stalin) che tendono ad occultare quella principale: è Israele e il sionismo il principale nemico oggettivo di Mattei. Anche per quel che riguarda il capitolo Algeria, visto lo scontro duro fra l‟FLN e la comunità ebraica della colonia francese, e il filoisraelismo noto del capo dell‟OAS, Jacques Soustelle. In effetti, la vicenda Mattei merita una radicale revisione storiografica, come quella di Kennedy: anche per Kennedy il dibattito sembra polarizzarsi fra la patacca del rapporto Warren (l‟assassino sarebbe il “comunista” Oswald) e i soliti petrolieri: ma Kennedy ebbe rapporti amichevoli con Nasser, scrisse a Levi Eskol la sua intenzione di far ispezionare la neonata centrale di Dimona, e pose il problema del signoraggio. Indizi indubbiamente interessanti per capire anche la vicenda e la morte del presidente americano.
3) Il capitale bancario era una preoccupazione anche per Mattei, nemico di Cuccia come racconta Gianfranco Galli in uno dei suoi libri (vedi il mio intervento sul sito mastermatteimedioriente.it. in occasione dell‟inaugurazione del Master Enrico Mattei in Vicino e Medio Oriente 2008), all‟epoca già ben attivo e pericoloso. Sicuramente, la filosofia manageriale-industrialista e sviluppista di Mattei portavano il presidente dell‟ENI a mal sopportare l‟altro tipo di capitalismo, quello speculativo e parassitario.
Questi nemici soprattutto stanno dietro sia la morte di Mattei, sia la vicenda Mattei tutta, ivi compresa la campagna di stampa internazionale durissima contro il presidente dell‟ENI, i cui articoli Mattei volle raccogliere in ben 34 volumi della collana L’oro nero. Sotto queste tre contraddizioni possono essere facilmente ricomprese le interpretazioni storiografiche classiche del “caso Mattei”, ma come fattori secondari: non certo la ridicola bufala di Fanfani come mandante dell‟attentato di Bascapé, ma per parlare delle ipotesi più serie, la pista OAS (come già detto filoisraeliana, e alla quale facevano riferimento la comunità ebraica algerina); la Cia dell‟allora già complessa struttura lobbistica del potere negli Stati Uniti; le Sette sorelle con l‟anglo-olandese Shell, il KGB e, di converso, il presunto “filo comunismo” di Mattei, motivo di scandalo per i ben pensanti dell‟epoca: ma si è sicuri che gli attacchi micidiali del columnist americano ebreo Sulzberger, o dello stesso Montanelli, corteggiatore (respinto) della signora Golda Meir come ebbe a rivelare lui stesso, rientrino nella dialettica comunismo-anticomunismo? O questo modo di leggere la realtà è simile a quello di Berlusconi quando da una parte vede in una manifestazione moscovita con i cartelli di Stalin, solo una dimostrazione “patriottica”, e dall‟altra se la
prende con i magistrati “comunisti” ben sapendo che non sono comunisti, ma qualcos‟altro?
L’euromediterraneismo di Silvio Berlusconi e Massimo D’Alema
E Berlusconi, appunto?
Fra contraddizioni e ambiguità il governo Berlusconi si è trovato a confrontarsi con problemi e poteri forti non indifferenti:
1) Il primo, di natura strutturale e generale, è lo strapotere bancario messo in discussione dalla linea economica di Giulio Tremonti, non a caso al centro a fine ottobre di una semicrisi nella compagine governativa. Da questo punto di vista Berlusconi mostra di schierarsi, nella storia articolata del capitalismo italiano, dalla stessa parte di Mattei: finisce per scontrarsi col capitale bancario simboleggiato all‟epoca del fondatore dell‟ENI dall‟ormai scomparso Cuccia, per difendere le esigenze di finanziamento delle piccole e medie industrie; e in una fase storica di contrapposizione fra i due capitalismi, è in conflitto con la finanza speculativa: che questo sia dovuto solo a “interessi personali” (lo scontro con De Benedetti è anche questo), secondo vulgata “progressista” denigratoria che peraltro non regge, perché anche questo conflitto avrà pure delle ragioni oggettive; oppure all‟industrialismo e al produttivismo che nei fatti hanno segnato la sua carriera di capitalista, questo è problema secondario.
2) Un secondo capitolo cruciale, di carattere geopolitico, in cui effettivamente ben calza il confronto con Mattei, è quello dell‟alleanza con la Russia di Putin: non è da poco. Putin, salvatore della patria russa come Stalin ai tempi dell‟invasione nazista, ha liberato il suo popolo dal peso opprimente della rapace e criminale “famiglia” di Eltsin, quel gruppo di finanzieri russo-ebrei che hanno approfittato del crollo del sistema sovietico per razziare le proprietà statali e arricchirsi affamando il paese. Ad uno ad uno Putin ne ha eliminato lo strapotere economico e anche mediatico. Chi è finito in prigione, chi è stato costretto alla fuga all‟estero come l‟ex presidente della Sinagoga di Mosca (e sostenitore della guerriglia islamista cecena) Boris Berezowsky. L‟alleanza di Berlusconi con questo grande leader e statista del nuovo millennio – vedi il discorso di Monaco a due anni fa, sul necessario multipolarismo nelle relazioni internazionali - non è da poco quanto a poteri forti minacciati: è un grosso rischio. Non è un caso che tutta l‟intellighentzia ebraica e filoebraica transnazionale – in Francia Bernard Henry Levi e Glucksman, etc - riversi periodicamente appelli di odio contro il “cattivo” Putin, a lui attribuendo episodi di repressione o di sangue anche quando non
esiste alcuna prova al proposito, con la stessa disinvoltura con cui gli stessi firmatari imputano al premier italiano tutti i delitti immaginabili ed inimmaginabili. Il mondo oggi è tale: la Russia di Putin gioca un ruolo di sponda essenziale negli equilibri internazionali e in sede ONU, per l‟Iran di Ahmedinejad e per i movimenti di liberazione in Vicino e Medio Oriente. Allearsi con Putin, può evocare su quel piano di irrazionalità tipico di tutti gli estremismi i fantasmi di un antiisrealismo pregiudiziale, che individuare in Berlusconi sarebbe però completamente sbagliato. Berlusconi è sfacciatamente filoisraeliano.
3) Infine anche l‟opzione nuclearista evoca sia Mattei sia gli eredi odierni dei poteri forti che fecero fuori il fondatore dell‟ENI nel 1962 e crocifissero il presidente del CNEN Ippolito con uno scandalo ambiguo che ne segnò la fine della carriera: questo resta vero sebbene il nucleare italiano di oggi non abbia la stessa valenza dirompente che aveva negli anni Cinquanta e Sessanta, non solo per la maggiore controllabilità della sicurezza degli impianti delle generazioni successive a quella della centrale di Latina, ma anche per il ruolo di apripista di fatto svolto negli ultimi decenni sia dalla Francia – paese-pilota dell‟alternativa energetica nucleare in Europa – sia da casi come quello, oggi, dell‟Iran, che quali ne siano gli sviluppi comunque ha incrinato un tabù occidentale che dura dai tempi dell‟assassinio di Kennedy.
Ma dedurre da quanto appena detto che Berlusconi stia percorrendo lo stesso solco di Mattei, capofila assieme a Gronchi di quel filo rosso “euro mediterraneo” che ha costituito l‟anima “proaraba” della politica estera della Prima Repubblica, e che ebbe negli anni Settanta e Ottanta i suoi principali esponenti in Moro e nel duo di Sigonella Craxi-Andreotti, sarebbe azzardato.
Qualcosa resta, ma in modo attutito, come del resto nel caso di D‟Alema: D‟Alema ha svolto una linea di mediazione effettiva in Libano (e perciostesso, oggettivamente più a difesa della resistenza del Libano che dell‟aggressione israeliana) e la missione ONU al confine fra i due paesi è giuridicamente e politicamente diversa da quella afghana; ha anche ricordato, durante la guerra di Gaza del gennaio 2009, che Hamas è stata consacrata dal voto popolare e dunque è interlocutore ineludibile della trattativa con Israele: ma la guerra del 1999 contro la Jugoslavia è stata un battesimo “atlantico” dagli effetti drammatici e altamente negativi per quella stessa linea di contrasto della degenerazione del diritto internazionale, che egli in generale sostiene.
Quanto a Berlusconi, ha siglato lo storico accordo con la Libia; contrariamente a D„Alema su Cermis, ha battagliato con l‟Amministrazione USA sul caso Calipari, l‟agente dei servizi
segreti italiani ucciso dall‟“americano” Lozano; ha accettato regole di ingaggio basse in Iraq – in disaccordo con certi commentatori di destra, come Jacchia – ma tutto questo non ha conferito, almeno fino a adesso, un profilo alto al suo euromediterraneismo.
Il fatto più grave è costituito dal mutamento delle regole di ingaggio in Afghanistan, con gli effetti drammatici che si vedono, e in nome di un malinteso patriottismo: Mattei fu un eccezionale, tenace e coraggioso patriota, difensore dell‟italianità in ogni paese che raggiungeva con la formula ENI. Ma la bandiera tricolore che egli portava in giro per il mondo sventolava sui pozzi petroliferi co-gestiti in parità di diritti con i paesi fratelli arabi e islamici; non sulle caserme delle truppe d‟occupazione in lotta contro il presunto “terrorismo” dei movimenti di liberazione nazionale. Questi, Mattei li armò, in Algeria, scontrandosi con quell‟OAS che lo minacciò di morte, legata all‟oltranzismo israeliano, e a cui geopoliticamente corrisponde oggi in modo “perfetto” e in una situazione storica profondamente diversa, il terrorismo criminale, a-territoriale transnazionale e antiislamico di Al Qaeda.
In realtà l‟Afghanistan, assieme alla Palestina (rifiuto di riconoscere Hamas) e all‟Iran (prese di distanza e condanne ufficiali del sacrosanto diritto di Teheran a sviluppare il nucleare civile secondo diritto internazionale e secondo Statuto dell‟AIEA), dimostra(no) come sia problematico il confronto fra Berlusconi e Mattei: la storia non si fa con i se, ma non c‟è ombra di dubbio che Enrico Mattei mai avrebbe potuto battersi per il nucleare italiano senza riconoscere un analogo diritto a Nasser o a qualsiasi altro paese suo partner; mai avrebbe accettato di partecipare a interventi militari contro Stati sovrani, per di più islamici: neppure in un quadro ONU, che peraltro non è quello della cosiddetta missione di pace in Afganistan. Mai inoltre, avrebbe tollerato i pre-giudizi antislamici (altra cosa è la lotta al terrorismo qaedista o all‟immigrazione clandestina) che infiorano qui è là i commenti e le esternazioni di certi mass media e politici del centrodestra. L‟apertura al mondo arabo di Mattei era a tutto campo, dettata dai principi guida dell‟anticolonialismo da una parte e da esigenze geoeconomiche (il petrolio), dall‟altra: Nasser innanzitutto – campione di laicità e di progressismo “populista” – ma anche l‟FNL algerino e le monarchie libica e marocchina.
Questa è l‟eredità positiva lasciata da Mattei, che continua una tradizione mediterranea già avviata negli anni Ottanta del secolo XIX col ministro egli esteri Stanislao Mancini, poi proseguita in chiave colonialista e repressiva da Mussolini, e infine ripresa sì in epoca postbellica, ma dentro una cornice completamente nuova, quella dell‟eguaglianza di tutti gli Stati indipendenti e del rispetto della loro integrità territoriale: secondo i combinati dell‟art. 2 e dello stesso capitolo VII della Carta di San Francisco correttamente letti. Invece
nella missione afghana viene resuscitato un spirito interventista di tipo colonialista (il fardello presunto dell‟uomo bianco in salsa post-11 settembre), con tanto di esaltazione del carattere “guerriero” dei nostri soldati. I filmati ENI sulla collaborazione Egitto Italia a Abu Rudeis, parlano un linguaggio stentoreo da Film Luce degli anni Trenta, ma con un contenuto radicalmente diverso: vi si esalta la “fraterna collaborazione” fra tecnici egiziani e italiani, un “valore aggiunto” che dice chiaramente che Mattei si muoveva lungo coordinate non solo meramente economiche e commerciali, ma anche ideologiche e di solidarietà internazionale.
Queste dunque le differenze. Perché, e fino a che punto, questa diversità fra i due personaggi?
Il perché è abbastanza chiaro: l‟euromediterraneismo “debole” di Silvio Berlusconi è comprensibile nel quadro di tre contesti generali radicalmente diversi rispetto all‟epoca di Mattei: quello storico, caratterizzato dalla fine del bipolarismo e dunque dall‟indebolimento della stessa opzione non allineata e terzaforzista, su cui faceva quanto meno sponda Mattei per dipanare la sua strategia petrolifera e geopolitica; quello politico internazionale, caratterizzato da un fenomeno che la politologia “corretta” tende di fatto a occultare rifiutando di ricucire in un quadro unitario eventi visibili si potrebbe dire angolo del pianeta: e cioè la crescita esponenziale dell‟influenza del sionismo in tutto il mondo: non solo nell‟Africa dei conflitti, come ricordato recentemente da Gheddafi, ma anche nella Russia della famiglia finanziaria di Eltsin (fino alla svolta di Putin, che infatti è un referente fondamentale di Berlusconi), negli Stati Uniti dei neocons, nell‟Italia della gogna mediatico-giudiziaria a Craxi e Andreotti; nell‟Europa orientale degli stati satelliti del finanziere Soros e di Israele, Georgia compresa; nei Balcani, sconvolti dalla distruzione della Jugoslavia non allineata; nell‟Iraq di Saddam Hussein, nemico numero uno di Israele nell‟ultimo quarto di secolo … il tutto dentro un sistema economico caratterizzato da una escrescenza finanziaria paurosa, causa ultima della crisi attuale, e ben diverso dal sistema capitalistico del dopoguerra. Certo oggi il panorama sta cambiando, perchè Obama non è Bush, Berlusconi non è Prodi, Putin non è Eltsin, l‟Iran non è l‟Iraq, ma gli effetti tragici del clima degli anni Novanta ancora non sono stati superati.
Infine, il contesto interno è caratterizzato da un problema immigrazione in buona parte islamica di vaste proporzioni i cui effetti sociali, economici e culturali, se non sono risolvibili col buonismo suicida della sinistra, nel centro destra vengono però spesso trasferiti sul piano internazionale, senza distinguere come si dovrebbe fare (e come lo stesso Le Pen fa in Francia) fra questione islamica interna e presunta questione islamica
nei paesi islamici. Una deriva che rischia di alimentare lo scontro generale con l‟Islam e conciostesso rafforzare i poteri forti che contrastano Berlusconi e il centrodestra, anche dall‟interno dell‟alleanza governativa. Un condizionamento con cui Berlusconi deve fare tutti i giorni i conti.
Dunque, bisogna azzerare il problema? Non esiste un “caso Berlusconi” come all‟epoca ci fu un “caso Mattei”? Sarebbe segnale di ottimismo incosciente pensarlo: in realtà il tasso di conflittualità non lo si misura in termini di radicalità della linea politica perseguita misurata secondo criteri astratti e astorici, senza considerare cioè i mutamenti degli equilibri generali dagli anni Cinquanta ad oggi fra poteri eversivi e poteri costituzionali in tutti i paesi dell‟Occidente. Tutta la storia della repubblica italiana è segnata da casi oscuri e minacce contro chiunque abbia sfidato il mondo della finanza pura e il potere bancario e le loro proiezioni politiche. Tutta la strategia della tensione degli anni Sessanta e Settanta porta il segno-indizio dell‟oltranzismo israeliano.
Il “caso” Berlusconi non fuoriesce da questo quadro. Per questo il linciaggio su internet contro il Presidente del Consiglio, definito uno scherzo da burloni, è una cosa seria. Sono minacce di morte, che evocano della vicenda Mattei il più grande e esiziale errore del geniale ed eroico fondatore dell‟ENI: il non premunirsi di un vero apparato di sicurezza e sorveglianza, fino a creare il terreno per il fatale attentato del 29 ottobre 1962. Quel giorno maledetto, quando il pilota dell‟aereo di Mattei in attesa sulla pista dell‟aereoporto di Catania, incredibilmente e incoscientemente solo a guardia del velivolo, abbandonò la postazione per andare a rispondere a una misteriosa telefonata, lasciando il campo libero alla troika assassina – un finto carabiniere e due finti tecnici aereoportuali - che piazzò indisturbata la bomba nell‟aereo precipitato a Bascapé