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Editoria in crisi? O giornali venduti?

di Uriel - 19/11/2009

Fonte: wolfstep

Tempo fa si accenno’ al discorso della fine dei giornali e del giornalismo , riguardante alcune teorie che  vorrebbero l’ultimo giornale stampato tra due anni. Personalmente ho gia’ sentito quella tiritera riguardo ad un altro media, che invece non solo non e’ sparito ma e’ tornato migliore di prima. Cosi’ volevo scrivere cosa io ne pensi.

La crisi che sta colpendo i giornali e’ simile, per molti versi, a quella che colpi’ le radio anni fa. Circa 20. Come si diceva allora, la colpa era del nuovo media (la TV commerciale) che stava nascendo e rubava tutta la pubblicita’ alle radio. Che non erano tantissime, le grandi radio, e ad eccezione delle radio politiche libere , non si era visto molto di piu’. E poiche’ le radio libere a finalita’ politiche non avevano lasciato nulla dietro di se’, in pratica c’erano poche radio.

Le radio pubbliche erano una discarica per chi era fallito in TV o per chi intendeva arrivarci, come Arbore. Nessuno era davvero interessato a quel che faceva. Ascoltare la radio significava immettersi in un processo tetro e ripetitivo, nel quale uno speaker leggeva le notizie con tono neutro, metteva musica e leggeva le dediche usando lo stesso tono per i funerali e per i matrimoni, e ti diceva che la sua radio trasmetteva sui trentatre’ metri virgola due come se da quel numero dipendesse la stabilita’ del cielo.(1)

Questo fatto era dovuto essenzialmente ad alcuni fattori:

  • Eccesso di professionismo. Lo speaker era un dipendente, che parlava di Jazz o di Rock perche’ era il suo lavoro, magari documentato ma niente passione.
  • Mancanza di uno scouting. In radio si entrava per conoscenza e raccomandazione, come in ogni settore statale. Non c’era modo per chi avesse una passione di praticare.
  • Asservimento ai partiti e agli sponsor. Notizie come la tossicita’ di un colorante passarono tranquillamente in sordina , e la presenza di un barbiturico capace di far nascere bambini senza braccia fu data quasi sottovoce dalle radio di stato.
  • Con l’eccezione dei notiziari, niente di quanto si diceva alla radio riguardava il cittadino davvero.

Questo mix di obsolescenza e asfissia partitica si supero’ grazie alla crisi del media. Improvvisamente “la TV commerciale mise in crisi la radio,” che perse effettivamente in grandi sponsors, e specialmente gli ascolti. In realta’ era cosi’ inascoltabile che avrebbe chiuso comunque. Il governo, anziche’ dare aiuti alle radio le lascio’ a se’ stesse, lasciandole di fatto morire. Pensavano anche loro che fosse la fine. Il settore delle frequenze fu regolato solo nei primi anni ‘90 , e ci fu una sostanziale anarchia nell’assegnazione che duro’ per tutti gli anni ‘80.

In quegli anni successe qualcosa di incredibile. In migliaia di paesini italiani (compreso il mio) si fondarono delle radio di piccole dimensioni. Erano stanze di un edificio leggermente piu’ alto della media, ricoperte coi cartoni delle uova per migliorare la sonorita’, con una lampadina al posto del campanello per entrare ove sedeva lo speaker, e tanti dischi.

A fare gli speaker, spesso ed inizialmente, erano dei ragazzi (spesso liceali) che avevano un grande vantaggio: amavano davvero un certo genere musicale, parlando la lingua dei loro coetanei. Ma avevano anche voglia, entusiasmo, spesso lavoravano gratis. E avevano idee. Fantasia.

I padroni delle microradio erano spessissimo dei tipi che ci volevano fare due soldi. Ma lasciavano fare: avevano capito che se fai una trasmissione di musica ma sbagli a pronunciare il nome di un cantante sei finito. Cosi’, un mio compgno di classe(2) pote’ fare il suo programma Dark (all’epoca il gotico si chiamava cosi’)  semplicemente presentandosi vestito da dark in radio. Il padrone ricordo’ di aver visto gente vestita cosi’ a Ferrara, e decise che esistendo quella moda un programma ci stava.

Cosi’ lui, col soprannome di Julian,  inizio’ a fare il suo programma dark, dal nome geniale di “Maledetta Primavera”, e dichiaratamente ispirato “al tema dell’autunno , della tristezza romantica e della paranoia”. Roba che i CCCP sembrano i Leningrad Cowboys. Degli allegroni.

La cosa buffa e’ che quel ragazzo non aveva MAI ascoltato altri programmi radio, ma aveva la SUA idea di radio.  Detestava la radio. Ma aveva una sua idea. Nelle due ore a settimana fece di tutto, dal leggere poesie dell’ottocento romantico inglese tra una canzone e l’altra al parlare di quadri che ritraevano l’autunno nebbioso inglese. Finche’ ebbe l’idea di fare “Rose Nere: parlaci della tua tristezza”: scelse un serata nebbiosa della bassa ferrarese e chiese alla gente in ascolto di chiamarlo, guardare fuori dalla finestra (3) ispirandosi e raccontare le sue tristezze. Ne usci’ una roba incredibile che fece qualcosa come sei mesi di successo, poi fu chiuso da una petizione con la scusa che i Joy Division fossero “un gruppo di nazisti che si ispiravano alle torture dei campi nazisti”. (In realta’ succedeva che alcune donne telefonarono a raccontare di essere tradite, finche’ non chiamo’ quella sbagliata. La tristezza e’ pericolosa. Tutti i regimi vogliono solo gente sorridente per questo.)

Comunque, tant’e': oggi noi sappiamo che il “reality” sia un successo, e quindi non ci stupiamo. MA negli anni ‘80 era quasi impensabile prendere una telefonata in diretta non controllata, fatta col telefono che si udiva squillare alla radio, e mandarla online. La gente comune, poi.

Morale della storia: era un gran casino.  Nascevano programmi metal che si intitolavano “Fuck off and die”, e il “notturno” era il regno dello swacco sociale. Ma era un momento di estrema competizione e di estrema creativita’. Da quel mondo iniziarono a crearsi i primi network di radio, che alla fine divennero le prime grandi radio come le conosciamo oggi. E molti di quei ragazzini che lo facevano gratis per hobby oggi sono dei professionisti che magari conoscete bene perche’ vi tengono compagnia.

Oggi la radio commerciale e’un gigante dell’intrattenimento, ha una seconda vita ed e’ enormemente diversa da come era la radio morente di quei periodi.

Morale: ad essere in crisi non era la radio, ma era la precisa radio per come veniva fatta. Una radio vecchia, priva di idee, usata come trampolino, una radio inutile. Che venne quindi soppiantata.

Nessuno dei professonisti delle radio morenti, pero’, aveva mai ammesso che la crisi fosse colpa, in ultima analisi, sua. Nessuno cioe’ ebbe mai il coraggio di dire che la radio stava morendo perche’ era fatta male , da gente che non aveva passione ed idee, che veniva dal mondo dei raccomandati e che faceva cose che non interessavano piu’  nessuno.La colpa era TUTTA, tutta, della TV commerciale che toglieva pubblicita’. In realta’ era arrivato al capolinea un modo preciso di fare la radio.

Lo stesso sta accadendo oggi ai giornali. Ad essere arrivato alla fine e’ il modo di fare giornalismo, che e’ in ultima analisi analogo a quello della radio morente.

  • Eccesso di professionismo. Il giornalista e’  un dipendente, che parla di internet o di musica perche’ e’ il suo lavoro, magari documentato, ma niente passione. Devo fare un articolo sul jazz entro stasera, da dove comincio?
  • Mancanza di uno scouting. Nei giornali  si entra per conoscenza e raccomandazione, come in ogni settore massonico. Non c’e’ modo per chi ha la passione di iniziare davvero.
  • Asservimento ai partiti e agli sponsor. Nessun giornale critica apertamente le banche, o le aziende di TLC , o chiunque si faccia una buona pubblicita’ sulle loro pagine.
  • Con l’eccezione dei notiziari, niente di quanto si dice sui giornali riguarda il cittadino per davvero.

I mali sono essenzialmente gli stessi, e stanno portando lentamente alla fine dei giornali attuali. Giornali che stanno pagando premi enormi ai loro manager, negli USA, stanno scomparendo. Accusano Google e Internet di averli affamati; non si rendono conto di stare facendo un pessimo giornalismo, asservito , standardizzato, privo di passione, privo di un vivaio di veri giornalisti, fatto di cio’ che un redattore decide di scrivere, senza chiedersi se sia utile per il cittadino.

Cosi’, non ho dubbi sul fatto che il pessimo giornalismo di oggi sia in crisi e che presto finira’ di esistere. Ma non c’entra Internet e non c’entra affatto la raccolta pubblicitaria. E’ scaduta la qualita’ del prodotto, semplicemente.

Parlavo in questi giorni con un collega americano. Parlavamo di mutui e di crisi e io dissi che in Italia c’era stata una moratoria dei mutui casa per il 2010. Spiegai cosa sia successo e lui (che e’ uno di quegli americani sanguigni, che pronuncia un fuck ogni 3 parole) si incazzo’ perche’ , e aveva ragione, sui giornali USA non era stato detto che qualche governo avesse fatto questo. Gli americani non sanno, non hanno avuto uno straccio di notizia a riguardo , sul fatto che le banche italiane abbiano deciso una moratoria. D’altro canto, sanno quasi tutto sulla d’Addario. Se voi foste un’americano con un mutuo, vi incazzereste? Lui si.

Se foste in un paese che giorno dopo giorno vede scomparire la propria ricchezza mentre la TV e i giornali gridano che la crisi e’ finita, cui si propaganda la preziosa teoria che togliere la casa ad un padre di famiglia e’ giusto se non puo’ pagare , non vi piacerebbe discutere di un modo per uscirne, visto che il casino lo hanno fatto le banche? Non vi piacerebbe avere un’idea di cui discutere?

Bene, la stampa americana NON ha menzionato la cosa. L’americano che lavora con me era molto incazzato, per questo. Oggi si e’ fatto un’idea chiara sulla stampa americana. Questi sono i giornali USA: filtrano sistematicamente qualsiasi cosa sia straniera e funzioni bene, o meglio che da loro. Ci sono americani che credono che la Svezia non sia una democrazia perche’ ci sono re e regina.

NESSUN AMERICANO sa che ci sono paesi in europa ove la lobby in parlamento e’ un reato, come in svezia e (parzialmente) la Germania. I loro giornali non glielo dicono. Non glielo hanno mai detto: alcuni hanno il sentore di vivere in un paese che ha trasformato il parlamento nel corrispondente funzionale della mussoliniana “camera dei fasci e delle corporazioni”, ne hanno la percezione, ma quasi nessun giornale spiega loro che esistono paesi i quali garantiscono un alto tenore di vita, di democrazia , ove si pensa che le lobby siano un crimine contro il paese. There is no way like the american way.

Cosi’, con una qualita’ della stampa cosi’ miserabile, non c’e’ da stupirsi se un popolo che usa internet stia abbandonando i giornali: non perche’ iinternet tolga risorse pubblicitarie, ma perche’ i giornali americani hanno sempra guardato il mondo dal buco della serratura, lasciando filtrare pochissime cose: il russo durante il comunismo sapeva molte piu’ cose riguardo all’europa , rispetto agli americani di oggi.

E’ ovvio che un simile giornalismo sia condannato a morte, cosi’ come lentamente e’ condannato quello italiano. E’ inutile dire che questi giornali non sono riusciti a trovare un modello di business valido su internet: il vero problema e’ che non ci sono piu’ riusciti neanche nel mondo reale. Hanno aumentato i propri costi ed il proprio manageent fino a diventare aziende pesantissime. Dopodiche’ hanno avuto bisogno degli sponsor, ma quelli grossi, da business plan. Divenendone schiavi. Guai a criticare un software. Guai a criticare un prodotto. Guai a criticare un’azienda. Perderesti il contratto pubblicitario. Puoi fare finta di criticarli, ma non criticarli davvero.

In un mondo ove si e’ in crisi per via delle banche, praticamente solo la blogsfera ha avuto il coraggio di accusarle. Sui grandi giornali americani si e’ detto un ammasso di sterili stronzate, perche’ di fatto i finanzieri erano soci, e tutto si e’ risolto con editoriali insipidi che hanno detto “ci vuole un’etica del mercato”, o “ci vuole piu’ controllo”. Tutto qui?

In confronto, un paese ove posso sentire un giuslavorista di Torino spiegare alla radio commerciale il rapporto tra mondo del lavoro e credit crunch sembrava la Repubblica delle idee di Kant.

Questo e’ quello che penso: sta morendo un giornalismo pessimo, e sta morendo perche’ e’ pessimo. Magari nel 2010 uscira’ l’ultima copia del Times, ma di certo non morira’ il giornalismo in se’.

Negli USA si sta discutendo di trattare i giornali come entita’ senza fine di lucro, come onlus, per un motivo preciso: come nel mondo delle radio, piccoli giornali stanno nascendo. C’e’ passione. Ci sono idee. C’e’ la voglia di fare e non solo di guadagnare.

Alcuni di questi giornali , nelle grandi citta’, hanno gia’ stracciato i grandi giornali, che nessuno legge piu’. Dei giornali di quartiere hanno fatto a pezzi il glorioso New York Times, proprio cosi’. Sul territorio. Dicendo la verita’.

Mentre il NYT va ad intervistare il capo della lobby dei medici , il quale dice che la swine flu sia sotto controllo e che alla fine e’ meglio vaccinare tutta la famiglia, i piccoli giornali vanno ad intervistare il medico di reparto, il quale dice che no, non e’ sotto controllo ma per le persone sane non significa nulla, e non bisogna intasare gli ospedali e sarebbe meglio vaccinare invece le persone piu’ deboli, che sono meno numerose ma piu’ in pericolo. E cosi’ il piccolo giornale fa un servizio migliore alla comunita’, pur intervistando un medico meno blasonato, e dicendo quello che interessa alla gente: cosa devo fare?

Questi giornali non sono un fenomeno marginale, e sono il motivo per il quale si discute negli USA di mettere i giornali sotto il Chapter 503c, che disciplina le fondazioni senza fine di lucro, come sono questi giornali di volontari e appassionati: niente azionisti, niente “la prima cosa e’ fare valore per gli azionisti”, niente manager col premio e le stock option.(4)

Cosi’ no, ho gia’ sentito questi discorsi sulla radio e la radio e’ rinata, proprio grazie al crollo dei muffoni dell’etere. E oggi stanno chiudendo i muffoni della carta stampata. Non cadra’ il mondo solo perche’ spariscono loro, e non finira’ il giornalismo.

Finira’ il loro PESSIMO giornalismo, al massimo. E l’ultima copia del Times sara’ solo l’ultima copia di un giornale che oggi filtra cosi’ tanto le notizie da non dare agli americani la notizia che vorrebbero sapere: che no, non e’ obbligatorio che le banche tolgano loro le case per colpa di una crisi che hanno causato le banche stesse; e’ possibile agire diversamente, e se ne dovrebbe parlare. Ma loro non lo sanno.

Il Times non glielo dice.

E per questo chiudera’: perche’ non glielo dice.

Non chiudera’ per colpa di Internet.

note

(1) Questa cosa dei metri di radio ha rovinato la mia infanzia. Quando studiai il concetto di frequenza d’onda e capii che cavolo significava, risolsi uno dei miei nodi edipici. Fu quasi un omicidio rituale del padre, diciamo il corrispondente freudiano di una distruzione rituale di una vecchia radio Phonola sul termosifone della cucina.

(2) E di paesello. Fuggi’ anche lui, non so che fine abbia fatto.

(3) La sera, nella nebbia , c’e’ un silenzio ed un’atmosfera incredibile. Non so se sia la nebbia a cmbiare le caratteristiche meccaniche dell’aria bloccando i suoi o altro, ma se siete soli a casa guardare fuori e meditare  e’ di un piacevole che ha dell’ incredibile.

(4) E’ per questo che quando sento inglesi ed americani dare lezioni di liberta’ di stampa mi viene da ridere: i loro giornali sono nella merda specialmente perche’ il pubblico non si fida piu’ di loro come fonte di notizie, tanto hanno scritto panzane, e loro danno lezioni ad altri?