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L'enigma dei petroglifi di Pusharo, i più importanti dell'Amazzonia

di yuri leveratto - 23/11/2009

Fonte: yurileveratto

 

Il mio viaggio ai petroglifi di Pusharo ha avuto luogo nel 2008.
L’obiettivo principale era quello di analizzare da vicino uno dei più importanti petroglifi del mondo, sia per complessità che per grandezza, e approfondire così lo studio di etnie amazzoniche che percorsero la zona in epoche risalenti al mesolitico, quando il clima in Amazzonia era diverso dall’attuale.
Il viaggio ha avuto inizio dal paesello di Atalaya, sulle rive del Rio Alto Madre de Dios, da dove, insieme all’amico Fernando Rivera Huanca, mi sono imbarcato su una lancia a motore con destinazione Lactapampa. Quindi, il giorno successivo abbiamo risalito il Palotoa e abbiamo dormito nel villaggio indigeno di Palotoa-Teparo.
Nel villaggio dei Matsiguenkas (autoctoni di etnia Arawak), ho conosciuto Guillermo, che il giorno successivo, ci ha accompagnato fino al magistrale intaglio, insieme all’amico Saul Robles Condori.
In circa 4 ore di cammino siamo giunti presso il Rio Shinkibeni, dove si trovano i petroglifi, uno dei luoghi archeologici più importanti d’America, anche se poco conosciuto.
Il sito è stato scoperto nel 1921 dal Padre Vicente de Cenitagoya, che lo ha interpretato come un insieme di lettere gotiche.
A mio parere la maggioranza dei segni incisi nella parete principale di Pusharo, lunga circa 25 metri e alta 4 (vi sono in totale tre pareti di petroglifi separate l’una dall’altra), sono di origine amazzonica e sono stati fatti usando delle pietre dure, forse sotto l’influsso di allucinogeni come l’ayahuasca. Ci sono alcuni simboli di origine incaica, ma a mio parere sono stati fatti in epoche più recenti da antenati dei Matsiguenkas, che furono influenzati dal passaggio nella vallata di alcuni Incas (forse la mitica spedizione dell’Inca Pachacutec).
Vi sono alcuni simboli che meritano un’analisi specifica. Il cosiddetto “volto di Pusharo” o figura cefaliforme tipo “maschera” (ripetuto almeno 6 volte), è la figura più enigmatica dell’intera parete. La mia opinione è che rappresenti semplicemente la tribù alla quale appartennero gli autori del magistrale intaglio, quasi a significare una demarcazione territoriale. (C’è un volto più “grossolano” anche nella seconda parete).
I petroglifi di Quiaca, che ho studiato e catalogato nel mio recente viaggio nel dipartimento di Puno a mio parere sono da relazionare con Pusharo, in quanto presentano anch’essi dei “volti” molto simili, anche se più stilizzati (in tutto due).  

 

A Pusharo vi sono poi molti segni astratti, spesso cerchi concentrici o spirali, che potrebbero essere stati fatti sotto l’influsso dell’ayahuasca. Vi sono dei circoli semplici, doppi o concentrici. Quindi una struttura semicircolare suddivisa in rombi a loro volta punteggiati che potrebbe significare un calendario. Vi sono poi alcuni simboli astronomici come il sole, con raggi rettilinei o triangolari.
I simboli zoomorfi non sono molti: vi è un insieme di punti che ricordano un’orma di felino, alcune linee serpentiformi e alcuni segni tridigiti, come fossero orme di uccelli. Forse il fatto che i simboli zoomorfi non siano molto numerosi potrebbe far pensare gli autori dei petroglifi fossero solo all’inizio di un lungo processo che li avrebbe portati più avanti a sviluppare dei veri e propri culti totemici (culto del felino, serpente e condor, tipici delle civiltà andine).
Anche se ho visitato Pusharo più di un anno fa ho voluto aspettare a trarre delle conclusioni a riguardo, soprattutto perché volevo prima analizzare e interpretare i petroglifi di Quiaca, che secondo me sono opera della stessa etnia amazzonica, che era in cammino dalla selva alla sierra, intorno al sesto millennio prima di Cristo. La selva amazzonica durante il mesolitico, non era così spessa e intricata come lo è attualmente e i popoli che vi vivevano potevano muoversi con meno difficoltà, rispetto ad ora.
Probabilmente viaggiarono verso la sierra, percorrendo le vallate dell’Alto Madre de Dios e del Rio Inabari (poi Huari Huari e Quiaca), per scambiare prodotti tipici della selva (coca, oro, piume d’uccelli, piante allucinogene e medicinali), con prodotti andini (cereali come la quinua o quiwicha, e camelidi come i lama, alpaca, guanaco e vigogna).
Anche il nome Pusharo, che si ritrova nella vallata di Quiaca, cambiato in Poquera, e quindi nella civiltà andina Pukara (antesignana di Tiwanacu), che forse significa “fortezza”, potrebbe significare che l’etnia amazzonica che percorse le vallate dalla selva alla sierra abbia “esportato” questo termine.
Secondo alcuni linguisti, gli indigeni Uros, che vivono nel lago Titicaca, avrebbero una lontana origine Arawak, quindi amazzonica. Sono loro i discendenti dell’etnia Pusharo che attraversò le vallate dell’odierno Madre de Dios in direzione della sierra alcuni millenni or sono?
L’analisi genetica del Dna degli Uros, confrontato ad esempio con quello dei Matsiguenkas potrebbe darci risultati sorprendenti. Per ora solo l’indagine sul campo, cercando di analizzare i vari elementi in nostro possesso ci può avvicinare alla verità, svelando i misteri della preistoria dell’Amazzonia, ancora poco conosciuta e studiata da un punto di vista archeologico.