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Quando l’America divenne la Terra Promessa (II parte)

di Filippo Ghira - 23/11/2009


 

La prima grande ondata di immigrazione ebraica dall’Europa negli Stati Uniti e a New York in particolare si ebbe nella seconda metà dell’Ottocento. Erano per lo più ebrei tedeschi relativamente benestanti che non trovarono molte difficoltà a stabilirsi in America e ad avviare attività che nel tempo di una generazione li portarono in alto nella scala sociale. Alcuni diventarono banchieri e furono accolti a pieno titolo nell’establishment della Costa Orientale degli Usa, caratterizzata da persone che avevano un’alta considerazione di se stesse, ritenendosi una sorta di aristocrazia in quanto (e a volte lo erano davvero), discendenti dei Padri fondatori del Mayflower. Diverso fu il flusso di ebrei europei che arrivò negli Stati Uniti dal 1880 circa in poi. Erano soprattutto ebrei dell’Europa orientale provenienti dai ghetti e dagli shtetl dell’impero russo. I villaggi ebraici della Polonia, dell’Ucraina e della Galizia. Erano per lo più molto poveri e si portavano dietro pochi bagagli. E se gli ebrei tedeschi che li avevano preceduti si erano stabiliti nella parte alta di Manhattan, loro si stanziarono invece nella parte bassa dell’isola, nel Lower East Side e a Brooklyn nel quartiere di Williamsburg. Si creò così una situazione piuttosto curiosa per la quale gli ebrei tedeschi guardavano ai nuovi arrivati con un senso di superiorità misto a disprezzo che scomparve solamente quando vennero alla luce gli orrori successi in Europa.
Una ostilità che, è bene ricordarlo, riemerse negli anni trenta e quaranta quando furono procuratori di origine ebrea tedesca a perseguire penalmente i gangster ebrei orientali. Tutto il mondo è Paese comunque, basti pensare che gli immigrati meridionali degli anni cinquanta a Torino nutrivano molto spesso lo stesso atteggiamento di superiorità nei confronti degli immigrati degli anni sessanta e settanta che li avevano seguiti a lavorare alla Fiat, definendoli addirittura “terroni”. Trovare qualcuno che è più “terrone” di te a volte può infatti rappresentare un’occasione di conforto e di legittimazione. Non si deve però credere che questa sorta di ostilità tra vecchi e nuovi arrivati fosse solamente una conseguenza dell’immigrazione. Anche in Europa il famoso articolo di Theodor Herzl sulla necessità di dare vita ad un “focolare ebraico” in Palestina, quando uscì determinò uno steccato tra ebrei tedeschi e austriaci da una parte e orientali dall’altra. Una ostilità ben descritta da Stefan Zweig ne “Il mondo di ieri”. Noi siamo ebrei, dicevamo i primi, ma soprattutto ci sentiamo pienamente assimilati e partecipi del mondo in cui viviamo. Siamo cittadini tedeschi ed austriaci, viviamo in una realtà tollerante e cosmopolita. Cosa è mai quindi questa idea balzana di Herzl di costruire una nuova Patria in Palestina e di obbligarci a ricominciare da zero? Ben diversa la reazione degli ebrei orientali che accolsero con entusiasmo il manifesto di Herzl e vi videro l’occasione per sfuggire alle persecuzioni. Alcuni, quelle di idee socialiste, emigrarono sulle sponde del Mediterraneo e vi crearono i primi kibbutz, le fattorie collettive. Altri fecero una scelta totalmente diversa e varcarono l’oceano cercando una nuova patria laddove si prometteva che i sogni potevano diventare realtà. Gli uni e gli altri si portarono comunque dentro una rabbia antica unita alla determinazione di non subire più angherie e violenze da nessuno. A New York, perché è lì che si concentrò l’immigrazione, i nuovi arrivati si trovarono ammassati nei ghetti dell’East Side, nella parte bassa di Manhattan e dall’altra parte dell’East River a Williamsburg. La necessità di resistere alle inevitabili angherie da parte della polizia (quasi esclusivamente composta da irlandesi) e di difendersi dagli attacchi di immigrati di altre comunità (come gli italiani) già organizzati in bande, finì per spingere gli ebrei orientali a creare strutture di autodifesa che però, come sempre succede in questi casi, finirono per essere utilizzate dai membri di esse per taglieggiare ed opprimere i propri correligionari e compagni di sventura. La dinamica di quanto successe fu la stessa sia per gli italiani (calabresi, napoletani e siciliani) che per gli ebrei.

Il dopoguerra
e il Proibizionismo
Fino alla conclusione della Prima guerra mondiale la malavita, irlandese, italiana o ebraica, non si era data una vera e propria struttura organizzativa. I vari gruppi gestivano i propri affari limitando il proprio raggio d’azione al quartiere o alla città di residenza. A cambiare totalmente la situazione furono due fatti. Il primo, la fine della Prima guerra mondiale in Europa che riportò a casa centinaia di migliaia di soldati che si ritrovarono smobilitati e disoccupati. Per molti di loro la guerra aveva cambiato radicalmente la concezione dell’esistenza. Quando sei stato abituato ad usare le armi e ad uccidere il tuo nemico per sopravvivere, quando ti sei reso conto che la tua esistenza e quella degli altri vale meno di niente, dopo aver visto i tuoi simili cadere morti a migliaia attorno a te, dopo essere rientrato in patria ferito nel corpo e nell’anima ed avere visto che ci sono persone che con la guerra si sono arricchite stando dietro una scrivania di una banca di Wall Street, può succedere di essere tentati di utilizzare la “competenza” acquisita in guerra (ossia la bravura nell’uccidere il prossimo) per bruciare le tappe e cambiare in meglio il proprio status sociale. In altre parole diventare ricco e sfuggire alla miseria che la vita di quartiere ti prospetta. Fu anche da questo tipo di uomini che emersero i futuri gangster.
Il secondo fatto che determinò il punto di svolta fu l’avvento dell’era del Proibizionismo con il XVIII emendamento (il Volstead Act ) del 16 gennaio 1919, una legge con la quale in tutto il territorio degli Stati Uniti vennero proibite la produzione, il trasporto e la vendita di bevande con una percentuale alcolica superiore allo 0,5%. A vederla, a distanza di tanti anni, quella legge appare per quello che fu: un’assurdità bella e buona perché andava contro un’abitudine consolidata della popolazione statunitense. Il whisky infatti aveva accompagnato la nascita e lo sviluppo degli Usa ed era considerato un elemento caratterizzante dello stile di vita americano. Ma si deve tenere conto che quella legge, che portava il nome del deputato repubblicano Andrew Volstead, fu imposta all’America cittadina e democratica dall’America rurale e repubblicana che in quel momento era all’opposizione nel Congresso.
L’assurdo consistette infatti nel fatto che gli Usa in quell’anno erano retti da una amministrazione democratica (quella di Wodrow Wilson) che durò fino alla fine del 1920. Ma gli Stati Uniti erano stati investiti da una ventata di moralismo a causa dei disordini sociali causati dall’alcol, dopo il ritorno dei reduci dal fronte di guerra europeo e la conseguente disoccupazione che seguì alla riconversione delle industrie da una produzione bellica ad una di tipo civile.
Fra quanti tornarono dal fronte ci fu uno dei nomi più famosi della malavita ebraica prebellica, Eduard Osterman (nella foto) il cui cognome fu anglicizzato in Eastman. Il soprannome di Monk (monaco) gli veniva dalla sua aria austera e dal timore che incuteva. Era partito per il fronte nel 1916 dopo 10 anni passati nel penitenziario di Sing Sing. Eastman rappresenta il passaggio dal vecchio tipo di gangster artigianale con una sua banda di quartiere al nuovo tipo di malavita organizzata che allunga le sue mani nel traffico di alcol e di stupefacenti, nello sfruttamento della prostituzione, nell’infiltrazione nei sindacati e che di conseguenza stabilisce un ferreo rapporto con la politica. A New York ad esempio la sede del Partito Democratico a Tammany Hall fu sempre considerata il ricettacolo di ogni tipo di corruzione e di legami sporchi. Monk Eastman, che per il suo eroismo in guerra era stato decorato e poi graziato dal governatore di New York, non riuscì ad adattarsi alla nuova realtà che stava nascendo. Venne ucciso il giorno di Natale del 1920. Al suo funerale un picchetto militare gli rese l’onore delle armi.

(2.continua)