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Yang Lew Chan

di Emilio Michele Fairendelli - 29/11/2009

Yang Lew Chan,
Maestro di Tai Chi Chuan
allievo di Chang San Feng,
monti del Wu Tang, Cina,
secolo XV

tai-chi

Quante volte, dopo la fine del mio apprendistato, e più ancora da quando Maestro Chang ebbe lasciato il corpo, mi sono chiesto quale sia il legame più importante tra l’allievo ed il proprio Maestro, quello che sta, irriducibile, al di sopra di ogni altro.
Quale sia il simbolo che, insieme, essi disegnano nel mondo aldilà delle forme.
Sono trascorsi tanti anni da quella primavera in cui Maestro Chang si era risolto a scegliere un nuovo allievo.
Eravamo in sette, nel cortile del Tempio Rosso.
Chang San Feng stava in piedi, in cima alla scalinata, tra i due grifoni alati di pietra.
Ci era stato chiesto di eseguire uno dei passaggi più difficili della Forma lunga, il serpente.
Chang avrebbe potuto interrompere l’esecuzione in qualsiasi momento e l’aspirante avrebbe dovuto fermarsi per riprendere solo ad un suo nuovo comando.
Considerando il passaggio e l’equilibrio assoluto che ne regolava ogni istante, il compito era estremamente difficile.
Alcuni fallirono.
Io credetti di avere eseguito il passaggio in modo mediocre, come chi riesca ad evitare la caduta solo affrettandosi.
Quando tutti ebbero finito, Chang restò in silenzio per un tempo lunghissimo.
Aveva perfettamente giudicato come ognuno era stato in grado di eseguire il passaggio.
Cosa cercava, dunque?
Altro, qualcosa di più.
Congedò gli altri e scelse me.
Per venti anni, vissi con Chang San Feng nel Tempio.
Trascorrevo con lui ogni istante della giornata, sino al tramonto.
Allora ci salutavamo con il segno, il pugno della mano destra avvolto dalla mano sinistra, un leggero inchino, a chiudere in noi il lavoro del giorno e il Tao dell’intero universo.
Io indugiavo ancora un poco nei vasti giardini del Tempio, guardavo le aiuole colorate che imbrunivano, il morire del sole.
Poi cadevo anch’io in un sonno leggero, guadagnando simboli strani e sconosciuti che stavano sospesi nel cielo di opale dei sogni, immobili e vibranti ad un tempo, come aquiloni.
Non conoscevamo donne, cibi speziati, bevande fermentate.
Alla pratica della Forma venivano dedicate più di dieci ore al giorno.
Verso la perfezione assoluta che Maestro Chang chiedeva non si procedeva più per correzioni formali; l’eccellenza esteriore era stata da tempo raggiunta e superata, oramai ogni progresso poteva trovarsi solo nel modo in cui la Forma si relazionava all’universo, comprendendolo, compenetrandolo e modificandolo.
Così nella prima guardia la mano che davanti al corpo proteggeva il petto apriva leggermente lo spazio tra le dita e queste, con la loro punta, toccavano le sfere del Tao, la realtà intera ed una.
Il volto allora sorrideva, lo sguardo attraversava il muro del Tempio e percorreva tutta la rotondità della terra.
Muovendo nei quattro cancelli dovevamo sentire, accordarci al lento gravitare dei pianeti e di ogni altro astro al nostro zenith, corpo dell’universo a sua volta intento ad eseguire la Forma suprema.
Rivedo Maestro Chang davanti a me, ai piedi del grande tiglio argentato, io e lui in un cono di luce, luce che lui riceveva per primo, filtrava e centrava per me.
Così Chang San Feng esercitava l’arte essenziale dell’insegnamento, quella che non procede per esempi o parole ma tramite l’influsso, l’energia sottile, azione diretta che non chiede nulla, neanche il comprendere.
Quando il mio apprendistato ebbe termine, Maestro Chang stabilì che avrei dovuto lasciare il Tempio e insegnare l’arte lontano, nella regione di Ho Pei.
Prima di andarmene volli dire al Maestro quanto lo amavo.
Chang rispose che lasciandomi andare gli pareva di perdere eppure di guadagnare tutto, sapendo che avrei insegnato e trasmesso la Forma, e con quella una parte di lui, a una discendenza.
“Siamo stati io e te, Yang Lew.
Io e te, il Maestro e l’allievo, e non c’è cosa più grande, perché così agisce il Tao in Sè, dal grano di sabbia alle coscienze degli uomini.
Verranno nel futuro dell’umanità giorni in cui non vi saranno più Maestri, giorni dove gli insegnamenti, sconvolti a terra e coperti dalla polvere, potranno essere conosciuti solo cadendo.
Allora un gesto, il viso di una donna, la virgola scura che un uccello incide nel cielo, le parole e la verità di una frase, il vento e la pioggia di una giornata, le notti stellate saranno per noi gli unici Maestri possibili.
Beato chi in quei tempi disperati vorrà e saprà leggere quei segni, Yang Lew, chi comprenderà che nonostante le apparenze non c’è differenza tra quegli insegnamenti e quelli del Tao, della Forma e della sua perfezione che tu hai ricevuto in questa vita da Chang San Feng”.