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L'alchimia medievale, come lo sciamanismo, pensava che certe malattie vengono dai demoni

di Francesco Lamendola - 30/11/2009


Numerose opere alchemiche circolavano già nel Trecento sotto il nome di Raimondo Lullo, il grande filosofo catalano nativo di Palma di Maiorca, nato nel 1235 e morto nel 1315; ma pare che siano tutte apocrife, anche perché, a quell'epoca, era opinione largamente diffusa che un vero filosofo fosse anche esperto di astrologia, alchimia e scienze occulte, ivi compresa la più misteriosa e inquietante di tutte: la magia.
E la Penisola Iberica del Due e Trecento, essendo punto d'incrocio di ben tre culture e di tre diverse tradizioni esoteriche - la cristiana, la musulmana e l'ebraica - era, anche da questo punto di vista, un luogo decisamente privilegiato.
Fra le opere apocrife attribuite a Raimondo Lullo, un posto eminente spetta al «Liber de secretis naturae seu tractatus de quinta essentia» (ricordiamo che, per l'alchimia medievale, la «quintessenza» di una sostanza era il raggiungimento della sua assoluta purezza, cosa che poteva essere ottenuta solo dopo cinque distillazioni successive, che ne eliminassero via via tutte le impurità).
In questa sede, non ci interessa il significato complessivo di quest'opera, ma solo il breve capitolo dedicato alla cura della malinconia, corrispondente al concetto odierno di depressione - che, in accordo con la scienza del tempo, era attribuita ad un eccesso di secrezione della bile, il cosiddetto «umor nero», entrato poi nel linguaggio comune a designare, appunto, uno stato d'animo tetro e sconsolato.
E ci interessa perché, in accordo con la scienza medievale, l'ignoto autore del trattato ritiene che una possibile causa della malinconia sia anche l'influsso dei Demoni; influsso che può essere neutralizzato con particolari farmaci estratti dalle erbe: appunto, con la «quinta essenza» di un apposito distillato, di cui viene fornita la composizione. Da notare che, anche prima di Raimondo Lullo, la questione specifica della «quinta essenza» travalicava il campo puramente alchimistico e coinvolgeva questioni di teologia e di morale, riguardanti il libero arbitrio dell'uomo e il problema della purificazione dal male dell'anima umana.
La credenza che i Demoni si potessero scacciare mediante apposite sostanze medicinali, e, più precisamente, mediante i fumi prodotti dalla loro combustione, poggiava sia su di un libro deuterocanonico dell'Antico Testamento, il Libro di Tobia, che è anche una ricchissima fonte relativa all'angelologia e alla demonologia ebraiche successive alla deportazione in Babilonia, sia su un testo decisamente proibito, la «Clavicula Salomonis» o la «Piccola chiave di Salomone», interamente dedicato ai segreti della magia, anche se travestito, in qualche modo, da libro pseudo-religioso, anche mediante il richiamo al re giudeo, famoso per la sua saggezza.
Nel Libro di Tobia viene narrato di come un angelo inviato da Dio, Raffaele, soccorre Tobi, figlio di Tobia, nel corso di una pericolosa missione: recarsi da Ninive, in Assiria, in una remota regione della Media, nella città di Rages, per ritirare del denaro depositato presso un fiduciario; e concludere un matrimonio con Sara, la figlia di un ebreo di nome Raguele, residente a Ecbatana, sulla quale pesava un amaro destino: il demone Asmodeo, di lei invaghito, aveva già ucciso i suoi sette precedenti mariti, la notte stessa delle nozze, prima che potessero unirsi a lei.
Ecco le istruzioni di Raffaele a Tobi su come comportarsi la sera delle nozze, utilizzando le interiora di un pesce che essi avevano catturato nel corso del viaggio, sul fiume Tigri (Tobia, 6, 16-18) traduzione dalla «Bibbia di Gerusalemme»):

«… Ascoltami, dunque, o fratello: non preoccuparti di questo demonio e sposala. Sono certo che questa sera ti verrà data in moglie. Quando però entri nella camera nuziale, prendi il cuore e il fegato del pesce e mettine un poco sulla brace degli incensi. L'odore si spanderà, il demonio lo dovrà annusare e fuggirà e non comparirà più intorno a lei. Poi, prima di unirti con essa, alzatevi tutti e due e pregate. Supplicate il Signore del Cielo perché venga su di voi la sua grazia e la sua salvezza. Non temere: essa ti è stata destinata fin dall'eternità. Sarai tu a salvarla…»

Così viene fatto; e, quando il demonio fugge per effetto dell'odore delle interiora del pesce, bruciate insieme all'incenso, è ancora Raffaele ad intervenire, per assicurarsi che egli non possa mai più ritornare e molestare ancora Sara ed il suo novello sposo (id., 8, 1-3)

«Quando ebbero finito di mangiare e di bere, decisero di andare a dormire. Accompagnarono il giovane e lo introdussero nella camera da letto. Tobia allora si ricordò delle parole di Raffaele; prese dal suo sacco il fegato e il cuore del pesce e il pose sulla brace dell'incenso. L'odore del pesce respinse il demonio, che fuggì nelle regioni dell'Alto Egitto.  Raffaele vi si recò all'istante e in quel luogo lo incatenò e lo mise in ceppi…»

Questo, il racconto del Libro di Tobia, il cui autore sembra essere vissuto intorno al 200 a. C., forse in Palestina e che lo scrisse, probabilmente, in lingua aramaica (la stessa parlata da Gesù Cristo e dai suoi contemporanei); opera che presenta punti di contatto con un altro libro ancor più misterioso, la cosiddetta Sapienza di Achikar, scritto apocrifo molto più antico, risalente forse al V secolo avanti Cristo.
Ma torniamo a Raimondo Lullo e all'alchimia medievale, o meglio, all'opera apocrifa che va sotto il none del filosofo catalano, e alla sua trattazione della malinconia.
Dopo aver descritto molto realisticamente i sintomi di questa malattia e aver spiegato quali erbe, distillate, siano in grado di combatterla, il libro afferma che «a queste infermità qualche volta si aggiungono i Demoni, che, con quelle, tormentano il malato»; dopo di che pone la questione di come sia possibile che i Demoni, che sono privi di corpo materiale, possano essere scacciati mediante medicine materiali.
Un Gassendi, richiamandosi alla tradizione aristotelica secondo l'interpretazione di Averroé, a tale interrogativo non avrebbe avuto difficoltà a rispondere che i Demoni, come del resto gli Angeli, NON sono privi di corpo, poiché nessuno spirito creato, tranne Dio solo, è di sostanza totalmente incorporea, e sia pure di una corporeità estremamente sottile.
Ma l'autore del libro pseudo-lulliano rifugge da una tale spiegazione, evidentemente troppo vicina alle dottrine materialistiche dell'atomismo epicureo, e risolve la questione sia richiamandosi al Libro di Tobia, inteso qui anche come depositario di una verità scientifica, sia all'argomento teologico della onnipotenza divina, mediante la quale Dio può agire sui puri spiriti anche per mezzo di cose materiali; ma, con ciò, appare evidente che non è il farmaco della quinta essenza a scacciare il Demonio, bensì l'intenzione di chi lo ha preparato e, soprattutto, la preghiera devota di chi vi fa ricorso per essere liberato da una infestazione maligna.
Il capitolo si conclude con un invito a servirsi con fiducia della tecnica della quinta essenza e ad aggiungervi l'iperico, considerato un estratto vegetale di particolare efficacia in simili frangenti. Vale peraltro la pena di notare che, mentre il Libro di Tobia descrive una infestazione diabolica ai danni di una casa, capace di colpire a morte alcune persone specifiche (i sette precedenti mariti di Sara), il trattato pseudo-lulliano si riferisce ad una azione diabolica che agisce sulla salute delle persone, causando loro forme particolarmente acute di malinconia, ivi compresa la tendenza al suicidio.
Scrive, dunque, l'ignoto Autore de «Il trattato della Quinta Essenza» (a cura di Enrico Cardile, Catania, Giuseppe Brancato Editore, 1991, pp. 128-133):

«La vera esperienza insegna che tutti i malinconici sono preda a pensieri orribili, il tetro umore è lor prodotto dalla milza, e per influsso di porosità si trasmette sino al cervello, dal quale muovono la fantasia e l'immaginazione che ne risentono forte turbamento. Il sonno produce orribili fantasmi ela veglia cogitazioni spaventose. Talvolta tale umore è così violento da generare epilessia o apoplessia. Per di più, a queste infermità qualche volta si aggiungono i Demoni, che, con quelle, tormentano il malato. Accade che qualche infermo impazzisca, parli con se stesso, sembri discutere con altri uomini invisibili, e venga a così acuta disperazione, da suicidarsi.
La cura di queste infermità è la nostra Quinta Essenza, oppure la nostra Quinta Essenza, nella quale si pongano le seguenti medicine:
                 Erba fumaria
                 Centaurea maggiore
                 Epitimo
                 Timo
                 Pietralazola
                 Elleboro nero.
Tieni queste medicine nella nostra Quinta Essenza per tre ore e poi danne all'infermo per due volte al giorno ed una volta la notte, ungendo pure con quella esternamente tutto il corpo, ma in modo particolare dalla parte della nuca. Questo rimedio depura il cervello, toglie la malinconia, rallegra l'infermo, e, se non s'interrompe, lo sana perfettamente in dieci giorni.
QUESTIONE. - Com'è possibile che i Demoni, i quali non hanno corpo, si scaccino dai corpi con medicine? Essi non possono sentire gli effetti e le impressioni delle medicine, perché è chiaro che ogni potenza per agire deve avere un obietto.
RISPOSTA. - A risolvere tale questione, possono addursi diverse ragioni: ragioni logiche e ragioni tolte dalle Sacre Scritture. E cominciando da queste ultime, ricordiamo che nel Libro di Tobia è detto che i Demoni si possono scacciare con le virtù delle medicine materiali: con suffumigi e sacrifici. E ciò si prova per fede. Dicesi inoltre al capitolo 6 del medesimo Libro che Tobia pose una parte del fegato sui carboni ardenti, e scacciò il Demonio da tutta la casa: "Tobia pose parte del fegato sopra la brace, e fu cacciata ogni sporta di Demoni".
Ma volendo spiegare la questione con ragioni naturali, teniamo presente i tre principî di causa, effetto e giustizia. Rimossa la causa si rimuove l'effetto: Giustizia è, poi, quella, con la quale si dà a ciascuno ciò che è suo. Ora i Demoni si uniscono ai corpi per la mala disposizione dell'umore corrotto, o dell'infezione malinconica che crea nella fantasia figure tristi, lugubri, orribili e conturba l'intelletto: i Demoni usano prendere simili forme e abitare in luoghi oscuri e solitari. Ma essendo cacciato dal corpo, per virtù della Quinta Essenza quell'umore che era causa della venuta dei Demoni nel corpo, segue che essi Demoni se ne vanno non avendo dove soffermarsi.
E d'altro canto la Divina Onnipotenza, che può e potrà far stare nell'Inferno le qualità degli elementi senza le loro proprie sostanze, e coessenziali, sino al giorno del Giudizio, per castigo imposto dalla sua divina giustizia, può, pure, far partire essi Demoni sotto l'operazione di cose materiali: acciocché la verità della sua potenza, che si commuta con essa giustizia, abbia un soggetto nel quale operare col suo atto, secondo la gravità della colpa. In caso diverso, l'uguaglianza della sua verità sarebbe distrutta per mancanza di libero arbitrio., che produrrebbe un uso limitato della potestà divina, secondo lo  stato e la disposizione delle creature, il che è impossibile. È ,invece, vero che, che Dio ha libero arbitrio, e può usarlo con le creature disponendo la pena seconda la quantità della colpa, e la gloria secondo il merito. Non è, dunque, da dubitare, che Dio, per sua giustizia, non sottoponga i Demoni ad alcune cose materiali.
La risoluzione di questo quesito è anche manifesta nella "Clavicola di Salomone", con la quale si dimostra che gli uomini sono costretti a fare buone o tristi opere, con virtù di parole, pietre e piante.
Il fuoco infernale e i Demoni tormentano le anime dannate, a moltiplicazione della loro pena, e per quanto la sostanza di queste anime non sia composta dei quattro elementi, tuttavia il supplizio si avvera per ordine della divina giustizia. Perché chi pecca contro una sostanza infinita, pecca, diremo, infinitamente, ed è degno di qualunque pena. Ora, oltre all'essere privati della visione di Dio, i dannati sono sottoposti a materiali tormenti.
Dobbiamo, quindi, riconoscere, che le materiali medicine sono di potente rimedio a scacciare i Demoni da qualunque corpo.
Userai dunque la medicina sopraddetta,
e sanerai tutti gli indemoniati, apoplettici
e malinconici: ma specialmente se
vi aggiungerai l'erba ipericon, altrimenti
chiamata caccia Demoni, ovvero
erba perforata. Il suo profumo
manda via i Demoni da
ogni corpo e da
ogni casa.»

Per il lettore moderno, questa pagina presenta un interesse di tipo storico, non scientifico, dal momento che, secondo il nostro paradigma culturale, le malattie di qualunque genere, comprese quelle di tipo psicologico, non hanno certo a che fare con gli spiriti.
D'altra parte, la convinzione esposta con tanta sicurezza nel «Trattato della Quinta Essenza» presenta forti analogie con la credenza diffusa in tutte le forme di sciamanismo, da quello dei popoli siberiani e centro-asiatici ai popoli dell'area del Pacifico e all'America Settentrionale e Meridionale. Anche gli sciamani  compiono un viaggio astrale per individuare e sconfiggere gli spiriti maligni che si sono impossessati dal malato; come fa, nel Libro di Tobia, l'angelo Raffaele con il demone Asmodeo, li inseguono e li legano, affinché non siano più in grado di tornare e di nuocere al soggetto che avevano infestato.
Non sarà tuttavia inopportuno osservare che la medicina sciamanica, a detta anche di numerosi testimoni occidentali, alcuni dei quali medici o comunque provvisti di discrete nozioni scientifiche, possiede una sua innegabile efficacia, e non può assolutamente essere liquidata come una congerie informe di superstizioni, prive di ogni valore terapeutico.
Il problema è che i paradigmi culturali sono fra loro incommensurabili e che non è possibile giudicare i contenuti di un paradigma diverso dal proprio: li si può solamente accettare e studiare con amore e desiderio di comprenderli, ma difficilmente si giungerà a condividerli.
La credenza che talune malattie siano provocate dall'azione degli spiriti maligni presuppone, a sa volta, la credenza in una dimensione soprannaturale, popolata, appunto, da presenze spirituali, ora benevole, ora nemiche dell'uomo. Una civiltà che, come la nostra, abbia voltato le spalle a questo genere di visione della realtà, ovviamente non potrebbe accettare neppure il suo logico e naturale corollario, ossia la responsabilità degli spiriti maligni nell'insorgenza di taluni disturbi di natura fisica e psichica.
Ma questo non significa che una tale credenza sia, di per sé, sbagliata e inaccettabile: significa, semplicemente, che i nostri presupposti culturali ci impediscono di farla nostra e di condividerla; anche se, in fondo, è quella dei nostri padri. In ogni caso, noi non abbiamo alcun diritto di assolutizzare il nostro sapere. L'esperienza ci mostra che esso viene continuamente sottoposto a revisione; ed è logico pensare che, fra alcuni secoli, o forse anche meno, esso apparirà esotico e bizzarro ai nostri discendenti, quanto e più di quel che appaia tale a noi il sapere sciamanico o il sapere alchimistico e farmaceutico dei nostri progenitori medievali.
Del resto, diceva Baudelaire che il maggior servizio che si può rendere al Diavolo, è quello di mettere in ridicolo la sua esistenza. Perciò, se egli esiste veramente, che cosa vieta di pensare che lui, o i suoi Demoni, possano realmente agire sulla salute e sulla mente degli esseri umani, allo scopo di danneggiarli quanto più possibile, per invidia verso di essi e per odio verso Dio?