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levi-str... yawn

di Simone Rossi - 03/12/2009



“Quando il lavoro è separato dalla sua funzione magica, perde la sua vitalità. Cioè, quando una tribù comincia a fare bambole per i turisti, è finita”.

Sai chi lo diceva? William Burroughs. Ma pensa te.

Massì, sono selvaggi, cosa vuoi che ne sappiano. Avranno seicento nomi diversi per le loro piantine, ma il loro cervello è tremendamente pratico: no buono da mangiare, no buono da pensare, me non gli dà nome. E invece. Chi c’è stato, tra gli Indiani d’America, sa che esiste una vera e propria erpetologia indiana. “Erpetologia” vuol dire elenco di rettili, se te lo stavi chiedendo. Un elenco di nomi e caratteristiche di serpenti che non si mangiano e non curano le malattie e non ci si fanno le borsette: perché investire tante energie intellettuali nel catalogare fette di realtà che in pratica non servono a nulla? A cosa serve questa scienza?

Ecco, i selvaggi l’hanno capita: prima di servire a soddisfare bisogni, la scienza risponde a un’esigenza di ordine. Si catalogano i nomi dei pezzi del mondo per gestirne meglio la complessità. Per questo, ovunque si trovi un pensiero che ordina gli oggetti del mondo – la tavola periodica, la cerimonia Hako degli indiani Pawnee, Wikipedia – si può parlare a rigore di razionalità: la sistematicità è la cifra di ogni pensiero razionale, e “razionale” non vuol mica dire per forza “scientifico”.

L’architrave del razionalismo occidentale (yawn) è il modus ponens: se piove, mi bagno; ma piove; dunque, mi bagno. Il razionalismo postula la linearità della catena causale, con annessi i Tre Principi Fondamentali di ogni ragionamento logico: identità, non contraddizione e terzo escluso. Modus vuol dire modo (grazie tante), ma anche “confine”, “limite” (da cui moderato, per esempio). Questa è la base del razionalismo così come ce l’ha tramandato il pensiero greco: una logica che sta alla base della matematica e delle cosiddette scienze “dure”, per non parlare della programmazione informatica.

Ma è greco Aristotele come sono greci i misteri eleusini: il mondo ellenico è continuamente attratto dall’apeiron, l’infinito. L’infinito è ciò che non ha modus. Sfugge alla norma. E’ smodato. Il rapporto causa-effetto è solo uno spicchio dei possibili nessi che possono stabilirsi tra due eventi: uno spicchio enorme, coerente, funzionale, economico, inoppugnabile e tutto quanto. Ma c’è dell’altro. Ci sarà sempre dell’altro. Il modus ponens è posto per limitare l’infinito, il caotico. Ma l’infinito c’è. Il pensiero ermetico - il pensiero magico - è un modo di ragionare che contempla l’infinito. Ermetico da Ermes, il Mercurio dei romani: padre di tutte le arti e protettore di ladri e mercanti. Ubiquo, in continua metamorfosi, contemporaneamente vecchio e bambino, Ermes è la negazione stessa dei principi di identità e non contraddizione.

Il pensiero magico è il modo di pensare degli sciamani. Non è un’alternativa alla scienza: piuttosto si alterna alla scienza, cedendole in alcuni momenti quell’inventiva e quell’apertura all’indeterminato che la rigidità di un Metodo talvolta non concede. Il pensiero magico non è una proto-scienza abbozzata e informe, utile solo per i risultati che (casualmente?) suggerisce alla scienza “vera”: pretendere di ridurre lo sciamanesimo a una tappa primitiva dell’evulozione tecnica e scientifica significherebbe rinunciare a ogni possibilità di comprenderlo.

Ci sono due modi diversi di pensare, perché due sono i livelli in cui la natura può essere interpretata: uno deterministico (quantitativo) e l’altro simbolico (qualitativo), ed è solo il gioco di specchi di questi due piani che può permetterci di (provare a) capire il mondo. A volte una metafora spiega una situazione molto meglio di una dimostrazione scientifica, e i matematici, semplicemente, non possono farci nulla. A volte, per fare piovere, l’unica è la danza della pioggia.

Ecco, io tutte queste cose le ho imparate da Claude Levi-Strauss, che i miei mi hanno mandato a scuola. Perché lo strutturalismo, in fondo in fondo, me lo diceva sempre il mio prof, si spiega con le banane: se io dico “La banana è la banana”, per dire che la banana è sempre buona, io dico due volte la parola “banana”, ma la seconda volta è diversa dalla prima, perché è la posizione che determina il valore di un elemento, mica l’elemento in sé. Questo è lo strutturalismo di Levi-Strauss: banane spostate. Toh, piove.