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Blair, le bugie, l'Irak

di Mario Braconi - 09/12/2009

A quasi quattro anni dall'inizio della guerra in Iraq, la Gran Bretagna si interroga ancora una volta sulla legalità della sua malaugurata scelta bellica. Questa è la volta della Chilcot Inquiry, una commissione di inchiesta presieduta da Sir John Chilcot, il cui obiettivo è analizzare il coinvolgimento della Gran Bretagna nelle ostilità in Iraq dalla metà del 2001 fino al 2009. La commissione, apertasi lo scorso 24 novembre, si sta concentrando sulle "modalità con le quali si è svolto il processo decisionale (relativo all'invasione), al fine di determinare che cosa sia effettivamente successo e di trarre utili insegnamenti dalla passata esperienza. Il suo obiettivo dichiarato è assicurare che, qualora simili circostanze si verifichino in futuro (premessa spaventosa, n.d.r.), il governo che sarà al potere in quel momento si trovi nella condizione di gestirle nel modo più efficiace e nell'interesse del paese".

Perfino in un paese nel quale il controllo delle emozioni è considerato virtù nazionale (l'"immobile labbro superiore" britannico), l'adesione di Blair al folle progetto militare di Bush e dei suoi scagnozzi costituisce un trauma collettivo. Cui si spera di porre rimedio tramite il rituale delle commissioni d’inchiesta: la Butler Review (2004), il cui obiettivo era valutare il lavoro dell'intelligence britannica sulle - inesistenti - armi di distruzione di massa in Iraq e la Hutton Inquiry, che avrebbe dovuto indagare sul presunto "suicidio" del Professor David Kelly, esperto governativo di biologia, uno dei pochi ad aver letto in anteprima il celebre dossier del Governo britannico secondo cui Saddam Hussein disponeva di armi di distruzione di massa in grado di colpire la Gran Bretagna in 45 minuti.

Si tratta, in gran parte, di sedute di psicoanalisi collettiva. Per il resto, le commissioni si sono dimostrate uno spreco di tempo e denaro: la Butler Review, chiamata a giudicare sull'operato di servizi segreti che hanno costruito un casus belli su un dossier taroccato venduto sottobanco dal noto "sòla" Niccolò Pollari del SISMI direttamente alla Casa Bianca, si è limitata concludere che si poteva fare meglio, senza peraltro identificare i responsabili della vergognosa truffa costata migliaia di vite innocenti.

La Hutton Inquiry, dal canto suo, ha incredibilmente concluso che il professor Kelly si è suicidato; inoltre, la Hutton Inquiry, è ha censurato per lesa maestà Andrew Gillighan, il giornalista BBC che ha intervistato Kelly prima della sua morte misteriosa: si era infatti spinto a scrivere che "forse" Downing Street era a conoscenza della falsità del report - un'ipotesi che, leggendo quanto segue, è più che credibile. Per quanto la commissione abbia fatto il possibile per insabbiare il caso, lo scorso 5 dicembre sei medici hanno iniziato un'azione legale finalizzata a riaprire l'inchiesta sulla morte del professore: dal loro punto di vista, infatti, la recisione dell'arteria ulnare - causa di morte ufficiale di Kelly - non sarebbe stata sufficiente a causarne il decesso.

Come nota Adrian Hamilton sull'Independent, basta scorrere la lista dei membri della commissione Chilcot sull'Iraq per capire che anch’essa culminerà con la produzione di un "report che, dopo aver raccolto una montagna di documenti, interrogato infiniti testimoni, portato alla luce un po' di materiale interessante per far contenti i giornalisti", finirà per confermare che "ci sono stati sì problemi nel determinare la causa della guerra e gravi carenze nella pianificazione dell'occupazione militare, ma non c'era stata vera disonestà di intenti, nessuna vera intenzione di mentire al Parlamento, nessuna autentica illegalità".

Infatti, è difficile credere che i membri della commissione siano "assolutamente indipendenti" e dotati di punti di vista "eterogenei" come pure pretendono di essere. Non solo nessuno dei componenti, infatti, a suo tempo ha preso posizione contro la guerra in Iraq; non solo il suo capo, Sir Chilcot, è noto per essere stato uno degli esaminatori più molli della Butler Review - ma tra i suoi membri vi sono due storici, Michael Freedman, convinto assertore degli interventi militari "umanitari", e Martin Gilbert, che ammira Bush e Blair al punto da spingersi a paragonarli, rispettivamente, a Roosevelt e Churchill.

L'intervento di David Manning (ex consigliere dell'ex Primo Ministro Tony Blair sulla politica estera) davanti alla Commissione Chilcot è particolarmente interessante: secondo Mannig, nel corso dell'incontro presso il ranch della famiglia Bush in Texas (6 aprile del 2002), Blair, pur ammettendo che la politica del suo Paese era di sostenere le Nazioni Unite nel loro tentativo di disarmare Saddam Hussein, era "assolutamente disposto a considerare un cambio di regime nel caso le misure delle Nazioni Unite non avessero funzionato".

Dunque, Blair, fin dall'aprile del 2002 (vale a dire, circa 11 mesi prima dell'inizio delle ostilità) era pronto ad andare in guerra, anche se al Parlamento (e al Governo) continuava a dire il contrario: ad esempio, il 16 luglio 2002, la sua risposta alla domanda "ci stiamo preparando ad una guerra?" fu un secco diniego. Del resto, un documento segreto passato sottobanco al Daily Telegraph lo scorso 21 novembre (ma disponibile in rete sul sito Wikileaks dall'agosto del 2008), conferma che il Generale Graeme Lamb stava lavorando sull'ipotesi di una guerra addiritttura nel febbraio del 2002.

David Manning, inoltre, è rispettivamente autore e destinatario di due memo segreti, anche essi disponibili in internet (www.afterdowningstreet.org) dal 2005, che si rivelano altrettanto - se non più - imbarazzanti per Blair: nel primo, datato 14 marzo 2002, Manning riferisce al Primo Ministro di un incontro one-to-one con Condi Rice, nel quale i due hanno parlato diffusamente della questione Iraq. "E' evidente che Bush ti è grato per il sostegno e si è reso conto che per questa ragione ti stai rendendo inviso."

Scrive Manning a Tony Blair: "Gli ho detto che tu non cambierai idea sul tuo supporto all'idea del cambio di regime, anche se devi gestire una stampa, un Parlamento ed una opinione pubblica con orientamenti molto diversi da quelli americani. Ma gli ho anche detto che insisti nella tua idea che, se si deve operare un cambio di regime in Iraq, il tutto deve essere fatto con molta attenzione e produrre i risultati sperati. Non possiamo permetterci di fallire. La faccenda degli ispettori deve essere gestita in modo da convincere gli Europei e gli altri che gli USA tengono nella giusta considerazione la giustizia internazionale, nonché l'insistenza di diverse nazioni sull'esistenza di una base legale per dichiarare la guerra. Il ripetersi del rifiuto di Saddam ad accettare libere ispezioni può costituire un valido argomento".

Nel secondo, del 18 marzo 2002, Manning riceve la relazione dell'allora ambasciatore britannico negli USA, Christofer Meyer, sul contenuto di un incontro che quest'ultimo ha avuto con Wolfowitz (allora vice ministro della Difesa USA). Nel corso del meeting, scrive Meyer, "gli ho riferito che il Regno Unito sta pensando seriamente di pubblicare un documento che giustificherebbe la guerra." Questi documenti, certamente in grado di mettere in grave difficoltà Tony Blair, sono stati passati alla commissione Chilcot, anche se a Manning non è stato finora chiesto di commentarli.

L'eccessiva delicatezza della commissione ha fatto molto arrabbiare Philippe Sands, avvocato e professore universitario molto critico verso le politiche di Bush e Blair: "Sono rimasto scioccato dall'interrogatorio; sorpreso e deluso dalla decisione della commissione di non mettere Manning sotto pressione sui temi cui si riferiscono i due memo segreti", ha riferito al cronista del Guardian che lo ha interpellato.

Blair dunque era convinto di invadere l'Iraq sin dall'inizio, anche se, giustamente paventando una "rivolta pacifista", si è guardato bene dal far conoscere la sua strategia non solo al Parlamento, ma perfino ai membri del suo governo. Solo il 23 luglio 2002 i membri del gabinetto vennero informati della decisione del primo ministro di invadere l'Iraq. Qualche giorno più tardi Lord Goldsmith, Attorney General, scrisse un breve documento sulla sua carta intestata, firmandolo di suo pugno, nel quale sosteneva che: 1) un cambio di regime in Iraq non avrebbe reso legittima la guerra; 2) era esclusa la possibilità di attaccare l'Iraq con il pretesto della legittima difesa; 3) in nessun caso sarebbe stato possibile spacciare l'invasione dell'Iraq per intervento umanitario; 4) le delibere ONU degli anni Novanta contro Saddam non sarebbero state di alcuna utilità per i fini del governo inglese.

Insomma, almeno in un primo momento, Goldsmith decise di non vestire i panni dell'assolutore ufficiale di Blair. Anzi, mise nero su bianco le sue perplessità, cosa che fece infuriare Blair (aduso a comunicazioni verbali e con pochissimi testimoni) al punto da vietare a Goldsmith di partecipare alle riunioni di governo, a meno non vi fosse esplicitamente invitato dal premier.

Secondo il Daily Mail, foglio popolare e reazionario ma da sempre contrario alla guerra in Iraq, che ha rivelato il primo dicembre lo "scoop" della lettera di Goldsmith, egli è una persona onesta schiacciata dai mastini di Blair (la Baroness Morgan e Lord Falconer). E' possibile che i metodi di Blair e la sua allergia alla verità abbiano creato qualche problema a Sir Goldsmith; ma bisogna pur ricordare che c'è la sua firma sotto lo stringato documento datato 17 marzo 2003 (tre giorni prima dell'inizio della guerra in Iraq), con il quale, di fatto, egli sosteneva che la guerra era legale. Una squallida storia di vigliaccheria e di tornaconto personale, visto che Goldsmith deve tutto (titolo compreso) al suo vecchio amico Tony.

Anche se la commissione Chilcot non arriverà probabilmente da nessuna parte ed è comunque escluso che Blair venga accusato per crimini di guerra (per avere mandato la Gran Bretagna in guerra senza alcuna causa) e/o per violazione delle norme della convenzione di Ginevra (per aver spedito soldati al fronte con pochissima preparazione, causandone la morte nonché un non valutato "danno collaterale" civile), c'è almeno da augurarsi che l'opinione pubblica britannica (e non solo) si renda conto di che tipo di personaggio sia Tony Blair.