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Tettamanzi, il pelagiano dalla scomunica facile

di Martino Mora - 13/12/2009

Riceviamo e pubblichiamo (ndr)                                  

“Lupi rapaci”, “bestie spirituali” ed “eretici”. Così il cardinale Dionigi Tettamanzi ha classificato coloro che lo hanno contestato recentemente. Del resto, questa volta ai leghisti è andata ancora bene, se pensiamo che in passato, quando era ancora vescovo di Genova, l'esimio cardinale, in un'intervista al TG3, paragonò la Lega Nord addirittura al demonio: “La Lega vuole dividere l'Italia. E chi vuole dividere, si sa è il demonio”. Parole da ricordare.
L'arcivescovo di Milano non è quindi nuovo a demonizzare (nel senso letterale del termine) chi non gli piace politicamente. Quindi il riferimento a “lupi rapaci“,bestie spirituali” ed “eretici”non dovrebbe sorprendere chi non confonde il buonismo sbandierato con la misericordia e la bontà del cuore.
Visto però che Sua Eminenza tira in ballo gli eretici (in maniera un po' grottesca, visto che non si tratta di una disputa dottrinale, ma tutta politica), forse si potrebbe discutere di certe sue posizioni  teologiche piuttosto dubbie.
Mi sembra, infatti, che dietro a certe posizioni ecumeniche, umanitarie e filo-islamiche del cardinal Tettamanzi vi sia celata, nemmeno in maniera troppo recondita, una forte componente pelagiana.
Pelagio, come molti sanno, era un frate irlandese del IV secolo, che sosteneva essere sufficiente, ai fini della salvezza, il libero arbitrio umano, la libera decisione di scegliere il bene e rifiutare il male. Sant'Agostino e poi la Chiesa tutta condannarono questa posizione teologica, rilevando come essa comportasse quale conseguenza l'irrilevanza della fede in Cristo, nel suo sacrificio e nella Resurrezione. L'irrilevanza, quindi, della Grazia ai fini della salvezza.
Bene, dietro  ogni modernismo teologico, come notava Augusto Del Noce, vi è il pelagianesimo. Del Noce si riferiva soprattutto all'umanitarismo, cioè a quella filantropia, sganciata dal sacro e dalla trascendenza, che ha preso piede anche all'interno del mondo cattolico. Da questo punto di vista, si potrebbe notare che più volte è stato rimproverato al cardinale Tettamanzi (ad esempio da Antonio Socci) di aver infarcito i suoi discorsi con termini come “solidarietà”, “dialogo”, “apertura”, “accoglienza”, e di avere ridotto al lumicino i riferimenti a Cristo.
Allo stesso modo, Tettamanzi si batte come un leone per la libertà religiosa dei musulmani ( cioè, tradotto, per la costruzione di nuove moschee), ma si guarda bene non solo dal chiedere apertamente qualche forma di reciprocità, ma anche dall'invitare i preti della sua diocesi a parlare di Cristo con i fedeli di altre religioni.
Certo, qui Tettamanzi è in buona compagnia. Non è stato forse papa Wojtyla a dichiarare che crediamo nello stesso Dio dei musulmani? Ma se crediamo nello stesso Dio, che bisogno c'è allora di proporgli Cristo? Lo stesso vale, ovviamente, per gli ebrei.
E' evidente che la fede in Cristo, in questa prospettiva, non è più considerata essenziale per la salvezza. Quindi non siamo forse ritornati al pelagianesimo nella sua essenza teologica? Il messaggio, la morte e la resurrezione di Cristo ritornano all'inessenzialità.  L'ossessione per l'uguaglianza, per i punti di contatto, per ciò che unisce, l'ostinato occultamento delle differenze conducono a questo. Perché la differenza del cristianesimo, la sua essenza, è Cristo. Non basta credere in un Dio creatore. Perché colui che salva è Cristo.
E' ora di finirla di vedere cristiani o semi-cristiani dappertutto: negli atei i “cristiani anonimi” (Rahner), negli ebrei i “fratelli maggiori”, nei musulmani i “fratelli minori”, eccetera.  Le differenze ci sono. Non occorre lanciare scomuniche, ma solo tenerne conto. E' Cristo a dividere. Vogliamo occultare Cristo?
Ecco, io vedo nell'umanitarismo e nell'ecumenismo spinti del cardinale Tettamanzi e di tanti altri ecclesiastici un rifiorire della vecchia tentazione pelagiana. Ciò nasce dal conformismo verso lo spirito dei tempi, ma anche dalla mancanza di intelligenza teologica (a volte dall'ignoranza tout court). Come ha scritto Alain Besancon, l'intelligenza del cristiano è innanzitutto intelligenza teologica. Nella curia milanese ne vedo poca.